Lavoro e non lavoro

I “neet” aumentano tra gli stranieri

- 7 Agosto 2014

È stato presentato il 30 luglio scorso il quarto rapporto annuale del ministero del Lavoro e delle politiche sociali dal titolo: Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia. Fra i tanti dati emersi, su uno vale la pena soffermarsi. Risultano in forte crescita i Neet (not in employment education and trainig), ragazzi e ragazze che non studiano e non lavorano anche quando sono minorenni. Fra questi, i figli di cittadini stranieri risultano essere circa 400 mila, con una crescita degli inattivi di 77 mila unità rispetto al 2012. Una condizione che riguarda soprattutto le donne, circa il 67%. Dallo studio emerge che nel 2013 sono 385.179 i giovani stranieri tra i 15 e 29 anni che non studiano né cercano lavoro, il 15,8 per cento dell’intera popolazione considerata. Il fenomeno coinvolge in particolare le ragazze, sia nel caso dei cittadini Ue che extra Ue, al contrario di quello che accade tra i ragazzi italiani. Le donne Neet sono infatti il 64,3 per centro tra i figli di “comunitari” e il 67,3 per cento tra quelli di cittadini non Ue, mentre tra i ragazzi italiani la componente femminile interessata dal fenomeno si attesta all’altrettanto preoccupante dato del 49,7 per cento. Una tendenza – secondo il rapporto – alla segmentazione di genere che si presenta molto più marcatamente presso alcune comunità di provenienza. Per quanto riguarda Paesi come il Bangladesh, l’India, il Marocco, la Moldova, il Pakistan e lo Sri Lanka, le “donne Neet” superano il 70% dei complessivamente stimati. «Il fenomeno dei Neet, prima considerato prerogativa degli italiani, oggi coinvolge sempre di più gli stranieri – ha spiegato Natale Forlani, direttore generale Immigrazione e politiche di integrazione del ministero –. In molti casi si tratta di giovani venuti qui in seguito a ricongiungimenti familiari. Riguarda soprattutto le ragazze, perché a incidere è soprattutto la componente culturale, che vede le donne stare a casa e gli uomini lavorare. Un aspetto questo su cui dovremo lavorare, e che è recuperabile soprattutto per le seconde generazioni. Mentre è più difficile agire sulle prime». Il rapporto si sofferma molto anche sulla crescita della popolazione straniera che risulta inattiva. In realtà è cresciuto il numero di cittadini immigrati occupati (+ 22.000) ma sono diminuiti complessivamente ed in maniera drastica i posti di lavoro in numerosi comparti. A risentirne di più i cittadini non UE e coloro che comunque sono giunti da poco grazie a ricongiungimento familiare o per aver ottenuto protezione internazionale. Fuori dalla lettura del rapporto c’è da domandarsi quanti fra questi cosiddetti “inattivi” prestano quotidianamente le proprie braccia, spesso in condizioni inaccettabili e con salari da fame, senza alcuna posizione contrattuale? Dovrebbe porsi tale quesito il Ministro dell’Interno che, in evidente malafede, continua a declamare un illusorio: «Prima gli italiani». A quando: «Prima il lavoro e i giusti contratti?»