L'intervento

Protezione umanitaria, bisogna far presto

Cécile Kashetu Kyenge - 11 Gennaio 2015

Cecile Kashetu KyengePochi giorni fa, la polizia austriaca ha respinto, mentre ancora si trovavano sul territorio italiano, in via preventiva, decine di profughi provenienti dalla Siria. Molte le donne e i bambini. Alcuni di loro sono stati costretti a scendere dai treni diretti a Monaco prima ancora di raggiungere la frontiera con l’Austria, di fronte alle nostre autorità che hanno assistito esclusivamente da spettatori. Alcune donne insieme ai loro bambini si sono opposte. Hanno proseguito fino in Austria, dove la polizia ha deciso di multarle e rispedirle indietro in Italia. Da qui ritenteranno, come altre migliaia di siriani. L’unica colpa di questi rifugiati? Volersi ricongiungere con i propri familiari e conoscenti nel Nord Europa, ma il Regolamento europeo di Dublino non lo permette. Lo stesso hanno chiesto 300 profughi siriani in Grecia, che per tre settimane hanno manifestato, fino allo scorso 15 dicembre ad Atene, prima che la polizia intervenisse, per chiedere di poter essere accolti in un altro Paese europeo, viste le grandi lacune del sistema di accoglienza greco. L’economia greca è al collasso e insieme a lei l’intero sistema di assistenza sociale. Questi episodi rappresentano, però, solo la punta di un iceberg. Ci mostrano quanto sia eccezionale questo momento storico e quanto sia urgente arrivare ad una vera gestione europea delle emergenze umanitarie nel cuore del Mediterraneo. Centinaia di migliaia di persone fuggono da guerre, dittature e abusi dall’Africa e dal Medio Oriente in un flusso che non ha precedenti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Senza speranza si affidano ai mercanti di morte, unica via per raggiungere la salvezza, e a migliaia muoiono in quello che oggi è diventato un grandissimo cimitero alle porte dell’Europa: il mar Mediterraneo. Neanche l’inverno ferma ormai i viaggi. I numeri diffusi nei giorni scorsi smentiscono, infatti, la propaganda: il numero di migranti soccorsi in mare nel mese di novembre è quasi quintuplicato rispetto allo stesso mese del 2013. Non era dunque Mare Nostrum a ‘incentivare’ le partenze, come i populisti hanno più volte accusato, ma una tragica crisi umanitaria internazionale che genera milioni di profughi in fuga.
Dobbiamo fare presto, serve un passo in avanti ed una vera strategia globale dell’Europa. Su questo tema il Parlamento Europeo si è espresso proprio mercoledì 17 dicembre in seduta plenaria a Strasburgo, con l’approvazione di una risoluzione, già approvata a larga maggioranza dalla Commissione Libertà civili, Giustizia e Affari interni della quale faccio parte. L’Europa deve decidere se ripiegarsi nella paura o essere forza promotrice di una nuova politica di pace e sviluppo umano nel bacino Mediterraneo. Con l’approvazione trasversale di questa risoluzione, il Parlamento ha lanciato una forte segnale politico alla Commissione. Le regole devono cambiare. Lo devono fare nella direzione di un approccio razionale e globale, soprattutto. In primo luogo bisogna restituire la speranza ai profughi, istituendo presidi in collaborazione con le organizzazioni internazionali, per l’esame delle domande di asilo già all’esterno dei confini dell’Unione Europea. Solo così potremmo evitare buona parte della partenze, oggi unica chance per raggiungere la fortezza Europa. Dobbiamo anche avviare un serio confronto con i Paesi da cui provengono i profughi, un’azione decisa soprattutto sul fronte dei diritti umani, là dove i regimi commettono ogni giorno abusi e violazioni dei diritti umani. Non vogliamo ripetere l’esperienza avviata in passato con il leader libico Muammar Gheddafi, di fatto delegato ad incarcerare i migranti e torturarli. Ma la vera sfida è racchiusa nel superamento dell’emergenza, anche attraverso nuove politiche di cooperazione e sviluppo, improntate sulla logica di un vero partenariato con i Paesi del Sud del mondo. Uno sviluppo sostenibile che ci permetta di crescere insieme. Non possiamo ripetere gli errori del passato, come nel caso dell’epidemia di ebola, dobbiamo essere in grado di avere politiche di lungo termine in grado di fare investimenti strutturali che ci permettano di prevenire le emergenze.
Con la risoluzione approvata dal Parlamento il 17 dicembre, abbiamo chiesto che l’Unione applichi pienamente i principi di solidarietà e corresponsabilità a cui è chiamata dai Trattati. Questa è un’emergenza che riguarda tutti i 28 paesi dell’Unione e non solo i paesi frontalieri. Deve esistere un meccanismo di mutuo riconoscimento dello status di asilo tra i paesi membri. Infine, dato che ogni processo di riforma richiede tempo, è necessario individuare gli strumenti idonei ad affrontare ora, in questo momento, il dramma dei viaggi in mare, in una strategia comune efficace. Senza, Triton, l’operazione in mare approntata da Bruxelles in seguito al ritiro di Mare Nostrum, rischia di essere una pura scommessa sulla vita umana. È stato sconcertante il richiamo del direttore esecutivo di Frontex, agenzia europea sotto il quale agisce l’operazione Triton, che ha rilevato nei giorni scorsi troppe azioni di salvataggio o oltre l’area assegnata, da parte della missione avviata al largo delle coste italiane. È ormai evidente. Triton non è uno strumento idoneo. O cambiano le regole d’ingaggio o gli Stati Membri si dotino di uno strumento efficace di contrasto ai trafficanti di morte e di salvataggio delle persone alla deriva.
Credo che il nostro Paese abbia perso un’occasione preziosa in questi sei mesi di Presidenza dell’Unione. Avremmo dovuto avere più coraggio. Forti di una chiara caratura morale, dovuta alla determinazione mostrata con Mare Nostrum, avremmo potuto chiedere un impegno più deciso di tutti i Paesi membri. Un impegno al quale, tuttavia, nessuno potrà sottrarsi nel prossimo futuro.

Cécile Kashetu Kyenge