Lettera aperta

MGF, parlarne ai giovani

Valentina A. Mmaka - 30 Gennaio 2015

mutiLei è una scrittrice-attivista, che vive tra l’Europa e l’Africa. Valentina A. Mmaka è nata a Roma, ma naturalizzata sudafricana, da anni è impegnata a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle MGF (mutilazioni genitali femminili). Al riguardo ha scritto una lunga lettera aperta indirizzata agli insegnanti e ai dirigenti scolastici.

«Da anni ormai mi occupo tra le altre cose, di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle MGF, in particolare in Africa (nei paesi dove vivo) e di recente anche in Europa. Lo faccio con i mezzi e le competenze a mia disposizione, la scrittura, il teatro, la poesia, l’immaginario, la ricerca. Sono un’artista e quindi parlo da artista.
Il problema delle MGF l’ho conosciuto tanti anni fa quando vivevo in Kenya dove lavoravo con un collettivo di donne ad un progetto di teatro sociale e via via nel tempo ho raccolto testimonianze, dati, ricerche in giro per il mondo. Parte di questo materiale è confluito in un libro di prossima pubblicazione. Una delle tappe decisive del mio percorso conoscitivo delle MGF è stata nel 2011, anno in cui ho fondato a Cape Town, in Sudafrica, un collettivo di donne perlopiù immigrate da altri paesi africani, il Gugu Women Lab. L’obiettivo del collettivo era quello di identificare le possibili interconnessioni tra spazi e identità, attraverso un percorso artistico utilizzando principalmente la scrittura come mezzo di espressione. Nel corso del lavoro alcune delle partecipanti, mosse dall’intensità del lavoro collettivo e dalla presa di coscienza dell’efficacia della scrittura come strumento capace di creare impatto, hanno condiviso la loro esperienza di mutilazione. Provenienti da diversi paesi africani, Egitto, Senegal, Eritrea, Angola, Nigeria, Somalia, Kenya, le donne hanno raccontato il loro “taglio” e il percorso che hanno scelto di fare nel condividere pubblicamente quella loro esperienza rimasta soffocata nel silenzio del loro corpo ferito.
Nel 2013 sono venuta in Italia per promuovere il lavoro fatto con il collettivo nato in Sudafrica. È stata una bellissima esperienza, non solo per la risposta interessata del pubblico ma anche perché mi ha permesso di conoscere la situazione italiana sulle MGF e di prendere atto di quale sia l’impatto reale di questa tematica. Per prima cosa mi sento di denunciare il totale disinteresse dei media rispetto all’argomento. In secondo luogo le strutture sanitarie. Ho visitato consultori, ospedali, medici di base, centri di accoglienza e non ho trovato alcun riferimento sulle MGF, nessun volantino informativo, nessuno sportello apposito, nessuno che potesse fornirmi delle informazioni dettagliate su come prevenire il problema, né indirizzi o indicazioni di numeri verdi (ne esiste uno attivo in certi orari) a cui rivolgersi. Che sia capitata proprio nelle città sprovviste di simili servizi? Ma la tutela di una persona a rischio di abuso non dovrebbe essere un servizio disponibile su territorio nazionale? Ho provato a immedesimarmi in una donna che potesse avere bisogno di assistenza sanitaria o psicologica… avrebbe trovato il vuoto completo, le eccezioni preferisco lasciarle da parte perché le vittime di MGF non dovrebbero dipendere dalle eccezioni che possono incontrare sul loro cammino!
Non voglio neppure soffermarmi a sottolineare i problemi di comunicazione che le donne richiedenti asilo (quando la motivazione è il rischio di essere mutilate) devono affrontare con ufficiali di polizia che spesso sono all’oscuro di cosa le MGF siano. Senza contare la mancanza di personale specializzato (medici, psicologi) ad assistere donne e bambine in questa delicata fase di richiesta di asilo.

L’Italia è molto indietro rispetto a tanti paesi europei, dovremmo dedurre che il motivo sta nelle statistiche, nei numeri? Certo nel Regno Unito le bambine a rischio di mutilazione sono 65.000 contro le 3.500 l’anno in Italia. Un divario enorme ma non per questo meno importante. Ricordo tre anni fa Aldo Morrone, direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), lanciava l’allarme che nonostante l’esistenza della legge, c’erano medici e anziane di varie comunitè migranti che a pagamento praticavano l’infibulazione. Non c’è motivo di usare l’imperfetto perché ancora oggi ciò avviene. Questo dovrebbe far riflettere sulla necessità di educare e formare, di informare e prevenire.
Ho tentato di proporre la tematica nelle scuole, per sensibilizzare i ragazzi, attraverso la mia performance (che ha ottenuto il patrocincio di Amnesty Italia per promuovere i diritti umani) e un laboratorio, ma dopo aver ricevuto mail di apprezzamento e di complimenti per il “bel lavoro” l’interesse non si è mai concretizzato, non quanto avrebbe dovuto. Le ragioni sono diverse, mancanza di fondi, mancanza di tempo, mancanza di interesse… mi domando come siano stati impiegati i 2,5 milioni di euro annui previsti dal Governo Italiano per attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche, come indicato dalla Legge 9 gennaio 2006, n. 7, quella che sancisce il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile in Italia. È dalla scuola che si deve cominciare a costruire un nuovo modo di pensare, un nuovo linguaggio, un cambiamento culturale e una presa di coscienza che porterà ad un mondo senza MGF.
Molti non sanno cosa siano le MGF, molti non hanno idea che si tratta di un problema che riguarda ben 140/160 milioni di donne in tutto il mondo secondo l’OMS. Molti non sanno che nei prossimi dieci anni circa 30 milioni di bambine rischiano di essere nutilate. Molti non sanno che non si tratta di un fenomeno esclusivamente africano. Molti non sanno che le MGF sono diffuse nei cinque continenti e non solo per via dei flussi migratori che ne hanno incrementato il numero delle potenziali vittime, ma che sono presenti nei 5 continenti come usanza secolare. Molti non sanno che l’Islam non ne fa alcun cenno. Molti non sanno la sofferenza di coloro che subiscono le mutilazioni. Molti non sanno che le MGF sono una disabilità permanente e che possono costituire un pericolo di morte ricorrente nell’arco della vita di una donna.
Lo posso dire con certezza, perché ho parlato con la gente, ragazzi, donne, uomini, anziani, operatori sociali, medici, insegnanti, avvocati, imam. Un vuoto totale. Un vuoto dovuto alla mancanza di informazioni, i media se ne occupano quasi solo eslcusivamente quando muore qualche bambina in seguito alla mutilazione. Non se ne parla in modo non pregiudizievole, non se ne parla in modo che le comunità migranti non si sentano minacciate da un giudizio esterno. I media dovrebbero avere un ruolo determinante nell’indirizzare un dialogo publico aperto a tutti. Non possiamo certo aspettare che siano le singole associazioni o ong ad occuparsene, tra l’altro alcune di esse tendono ad essere molto conservatrici quando si tratta di collaborare con realtà che vengono dall’esterno… è la triste esperienza che mi è capitata in alcune città italiane. Occorre che nel curriculum scolastico di ogni ragazzo ci possa essere uno spazio dove si possa parlare di diritti umani e includere le MGF tra i primi argomenti. Gli insegnanti stessi dovrebbero poter usufruire di formazione (non di lezioni di di antropologia o di sociologia) e incontrarsi con attivisti e artisti che ogni giorno lottano per diffondere conoscenza su questo tema. In Italia non ce ne sono molti, ma l’Europa è piena e oggi non è così difficile abbattere le distanze geografiche per un obiettivo così importante.

meSono madre di tre figlie adolescenti. Viaggiamo spesso, cambiando di frequente scuole in diversi paesi e continenti, le loro classi sono sempre più rappresentative di una società culturalmente eterogenea e in movimento. Sempre più frequentemente, soprattutto da quando sono partecipi attive del mio attivismo, si domandano se le loro compagne dalla Guinea, dal Senegal, dall’Egitto, dal Cameroun, dal Kenya, dall’Uganda, dalla Nigeria, dalla Tanzania non siano già state sottoposte a questa pratica o ne siano a rischio. Non esiste un linguaggio per parlarne, né con le loro coetanee né con gli insegnanti. È triste pensare che ci sono ragazze rinchiuse nel loro silenzio, nella loro impossibilità di comunicare il loro disagio o la loro paura, a seconda dei casi. È triste sapere che non esiste un luogo, una persona, un punto di riferimento visibile, accessibile per chi voglia manifestare il proprio dissenso o chiedere aiuto per non dover soccombere all’isolamento e al dolore. È triste non sapere che ci sono compagne di scuola, amiche che hanno subìto una qualsiasi forma di mutilazione o che ne sono a rischio. Quale altro luogo se non la scuola, dovrebbe proporsi di educare in materia e di fare da tramite tra le ragazze (talvolta le bambine) e il medico o psicologo o operatore sociale?
Mi piacerebbe ricevere messaggi di insegnanti motivati che sentono l’importanza di questo argomento. Che lo sentano come esseri umani, come madri e padri, come donne e uomini, come educatori. Le MGF sono un problema di diritti umani, sono un abuso di minore, rientrano nella cosiddetta violenza di genere e pertanto vanno prevenute e ostacolate, qualunque sia il motivo per cui vengono ancora praticate.
Non è vero, cari insegnanti e dirigenti scolastici, che le MGF non costituiscono un argomento adatto alla scuola. I nostri figli sono quotidianamente bombardati da immagini e informazioni di violenze gratuite inaudite attraverso la televisione e i video giochi. Non mi porrei il problema che l’argomento delicato possa ferire la loro sensibilità e procurargli disagio. Sono altre le cose su cui bisognerebbe interrogarsi. Dedicare una riflessione su una violazione così importante non può che fare del bene, non può che motivarli nella scelta di un percorso conoscitivo e responsabile oltreché manifestare empatia con compagne che sono o potrebbero essere vittima di MGF. Esistono i linguaggi e gli strumenti per lavorare con i ragazzi in modo che ogni informazione arrivi a destinazione con il migliore effetto. Basta crederci.
Amici insegnanti dovreste sentire la necessità di confrontarvi su questa tematica. Voi per primi, per poter incoraggiare i vostri studenti a prendere parte ad un dialogo pubblico aperto e non pregiudizievole. Qualche insegnante mi ha scritto dicendomi che parlarne a scuola di MGF potrebbe fare scatenare nuove forme di discriminazione. Sono in totale disaccordo con questa teoria. Non è più discriminante lasciare i ragazzi e le ragazze a rischio, vittime dell’ignoranza e sprovviste dei mezzi per poter dire di NO e difendersi da questa tortura? C’è poca fiducia nei ragazzi, loro sono dotati di un immaginario capace di muoversi con disinvolutra anche tra le tematiche più complesse.
La mia esperienza fuori dall’Italia, parlandone nelle scuole a ragazzi e insegnanti, ha sortito diverse reazioni tutte positive: la curiosità, l’interesse, lo stupore nell’apprendere che esiste una realtà così importante, il desidero di sapere come fare a contrastare questa pratica. Bisogna investire nell’educazione di ragazze e ragazzi creando nella scuola spazi di confronto e dialogo attorno alle MGF che, ci tengo a sottolineare, sono un problema e una responsabilità che riguarda tutti, donne e uomini senza distinzione di religione, provenienza, età.

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