Antirazzismo quotidiano

Treni, autobus e dintorni

Sergio Bontempelli - 9 Febbraio 2015

treno-sorridente-veicoli-treni-dipinto-da-simo-1058177Il razzismo ha molti volti e molte sfaccettature. C’è quello delle aggressioni fisiche, ma anche quello “istituzionale”, fatto di discriminazioni agite o sancite dalle autorità pubbliche. C’è l’intolleranza che corre sui social network, e che si riproduce di commento in commento, di tweet in tweet. E poi c’è la chiacchiera quotidiana, da bar: i discorsi di tutti i giorni – “vengono in troppi”, “ci rubano il lavoro” – che creano un solco di discriminazione e di disprezzo, alimentano false notizie e leggende metropolitane, creano muri tra un (presunto) “noi” e un (altrettanto presunto) “loro”.

A volte, può accadere che un addetto al pubblico – un commerciante, un barista, un funzionario, un capotreno… – abusi del suo potere, sulla base di dicerie e generalizzazioni. Gli esempi possono essere molteplici: dal barista che allontana dal suo locale un cliente rom («si sa che rubano, non ce li voglio qui dentro…») al conducente di un autobus che in un eccesso di (cosiddetto) zelo non apre le porte del suo mezzo ai passeggeri migranti… In questi casi, un cittadino comune può intervenire, senza imbarcarsi in faticose discussioni, facendo semplicemente riferimento alla legge.

L’appello al rispetto delle norme consente di ancorare la discussione a un elemento – per così dire – oggettivo, e anche “neutro” dal punto di vista valoriale. Detta in termini semplici, si tratta di assumere un atteggiamento del tipo «Lei è libero di pensarla come vuole, ma è tenuto all’osservanza di queste norme…». L’interlocutore – statene certi – vi odierà con tutte le sue forze, ma difficilmente vi darà torto: la legge è pur sempre la legge, e vale per tutti.

Vi proponiamo allora un piccolo viaggio, in diverse puntate, sui piccoli episodi di ogni giorno, in cui chiunque può intervenire con efficacia. In questo primo articolo, cominciamo dai mezzi di trasporto.

«Gli extracomunitari non pagano il biglietto»
È il caso più frequente. Un controllore sale sul treno, o sull’autobus, e chiede ai passeggeri di esibire il biglietto: chi ne è sprovvisto, o chi ne ha uno irregolare (perché non timbrato, o perché riferito a un viaggio più breve, ad esempio) incorre in sanzioni. È una cosa normale, e fa parte dell’ordinaria routine dei trasporti pubblici.

Tuttavia, va ricordato che non è possibile effettuare controlli selettivi: in altre parole, non si può chiedere il biglietto solo ai passeggeri dotati di certe caratteristiche (ad esempio, a chi ha la pelle nera, a chi è o sembra “rom”, a chi è o sembra “extracomunitario”, e così via). L’operatore ha l’obbligo di controllare tutti i passeggeri. Se non lo fa, mette in atto un comportamento discriminatorio vietato dalla legge: anche se l’immigrato di turno viene trovato senza biglietto. Le norme in materia sono molto chiare: si può fare riferimento all’articolo 43 del Testo Unico Immigrazione (decreto legislativo 286/98), che vieta ogni «distinzione (…) basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose».

L’obiezione per cui «sono sempre gli extracomunitari che non pagano il biglietto» è ovviamente priva di fondamento: nessuno studio serio ha mai accertato una particolare “propensione” degli immigrati a evadere le tariffe dei trasporti. Suggeriamo però di non addentrarsi in discussioni di questo tipo, e di richiamare con fermezza l’operatore al rispetto dei suoi doveri.

«Non hai il biglietto? Scendi dal treno…»
Un altro esempio tipico di comportamento discriminatorio è l’ipotetico controllore che, su un mezzo di Trenitalia, “pizzichi” uno straniero senza biglietto, e lo costringa a scendere alla prima fermata utile. Perché questo comportamento è discriminatorio? Non è forse giusto imporre una sanzione a chi non ha rispettato le regole? Ovviamente sì, è giusto. Qui non si vuole fare l’apologia di chi non paga il biglietto: la legge è uguale per tutti. Ma – ed è questo il punto – anche la “punizione” deve essere uguale per tutti, sennò non vale…

Ora, piaccia o non piaccia, Trenitalia non prevede che il trasgressore debba scendere (bisogna ricordare che le sanzioni non sono stabilite dalla legge, ma dai regolamenti interni di ogni gestore). Nelle «Condizioni generali di trasporto» dell’azienda ferroviaria [Parte Terza, cap. 7 su «Irregolarità e abusi», lettera e], si legge testualmente che «il viaggiatore sprovvisto dei titoli di viaggio è assoggettato al pagamento del prezzo intero dovuto più una soprattassa di €200». Una formulazione simile si trova anche nella Carta dei Servizi del Trasporto a media e lunga percorrenza (quella relativa alle “Frecce” e ai treni Intercity, per capirci).

Insomma, chi non ha il biglietto deve pagare una multa. E se non ha i soldi per pagarla subito, si vedrà recapitare a casa l’importo dovuto. Dunque, il capotreno non può far scendere l’eventuale “portoghese”: l’interruzione del viaggio è prevista solo quando il trasgressore rifiuti esplicitamente la multa [DPR 753/80, art. 23, terzo comma], o quando non si faccia identificare, cioè non fornisca i propri documenti [Condizioni Generali di Trasporto Trenitalia, Parte Prima «Norme Comuni», punto 7].

L’addetto che “sbatta  fuori dal treno” un cittadino straniero privo di biglietto commette allora un atto discriminatorio: non perché sia giusto o legittimo viaggiare gratis sui mezzi pubblici, ma perché le sanzioni devono essere proporzionate, conformi ai regolamenti, e uguali per tutti. Se vi dovesse capitare un caso del genere, ricordatelo al capotreno. E respingete al mittente le eventuali risposte di senso comune, del tipo «si sa che poi loro la multa non la pagano, nemmeno se viene spedita a casa…». Ovviamente si tratta di uno stereotipo, ma non è il caso di addentrarsi: basterà ricordare che le regole sono regole, e che gli addetti Trenitalia sono tenuti a rispettarle. Qualunque sia la loro opinione.

Questuanti e venditori
Un altro caso frequente è quello del controllore che allontana dal treno il venditore ambulante, o la persona che chiede l’elemosina. Qui, le norme sono più restrittive: esiste addirittura una legge (il già citato DPR 753/80, all’art. 30) che vieta «le attività di venditore di beni o di servizi», nonché quelle «di cantante, suonatore, e di raccolta di fondi a qualunque titolo» a bordo dei treni. La stessa norma prevede l’allontanamento dal mezzo e una multa fino a 46 euro.

In questo caso, dunque, il capotreno è obbligato a far scendere il mendicante, il suonatore o il venditore. In ogni caso, il Codice Etico del Gruppo Ferrovie dello Stato (a cui appartiene anche Trenitalia) obbliga il personale a comportarsi «con efficienza e cortesia» nei confronti della clientela (pag. 15). Non sono perciò ammissibili insulti e umiliazioni, né violenze verbali o fisiche, né offese a sfondo etnico o razziale: tutti comportamenti, tra l’altro, punibili ai sensi del Codice Penale.

Infine, è opportuno chiarire che la questua non è di per sé un reato. Chi chiede l’elemosina su un treno è responsabile di una semplice infrazione amministrativa (svolge un’attività che non è autorizzata a bordo del mezzo), ma non compie un “crimine” dal punto di vista penale.

Sergio Bontempelli