Note migranti

La musica che gira intorno

Stefano Galieni - 9 Febbraio 2015

http://www.dreamstime.com/royalty-free-stock-images-musical-notes-image24528749Quando si tratta di cogliere il nuovo, la musica e le canzoni spesso riescono a fare prima e meglio di altre forme di comunicazione. Perché parlano contemporaneamente a cervello, pancia e cuore. Succede anche con l’immigrazione e l’intercultura, come prova, per esempio, l’ultimo lavoro del gruppo Le Settebocche, Simm sett’ott’enuje che contiene una ballata, San Nicola Varco, tutta in dialetto, in cui si racconta una pagina amara e rimossa della migrazione in Italia: lo sgombero di cinque anni fa a San Nicola Varco, nella provincia di Salerno, quando, nel novembre 2009, centinaia di lavoratori provenienti dal Marocco e impegnati in agricoltura, nella piana del Sele, vennero costretti ad abbandonare uno spazio abbandonato in cui avevano trovato riparo. Una canzone che riesce a informare, incuriosire, coinvolgere.
Le Sette Bocche, gruppo salernitano che sta cominciando a farsi conoscere a livello nazionale, nascono una decina d’anni fa nel Cilento, terra in cui il binomio agricoltura-sfruttamento ha acquisito una dimensione quasi archetipica. Angelo Plaitano è voce e autore dei testi e, a proposito della ballata, dice: «Quando la suoniamo, di solito mi fermo un momento per una prefazione, per spiegare le ragioni da cui nasce. Avvertiamo subito il silenzio di chi comprende bene di cosa si sta parlando e dopo averla cantata l’applauso che scatta è pieno di emozione». Il gruppo prende il nome da una sorgente d’acqua situata fra Giffoni e Faiano, dove l’acqua spunta da sette punti ravvicinati. Narra la tradizione popolare che da ogni punto sgorghi acqua di sapore diverso; un tempo i giovani invitavano le ragazze ad assaggiare l’acqua. Nascevano così nuovi amori. Cliccando qui potete leggere l’intervista completa.

Più conosciuti delle Sette Bocche sono di certo i Modena City Ramblers, che festeggiano in questi giorni i 20 anni dal primo Cd, e che l’anno scorso hanno pubblicato nel Cd Niente di nuovo sul fronte occidentale, una canzone, Fiori d’arancio e chicchi di caffè ispirata ad una storia vera sui matrimoni misti, che era stata pressocché ignorata dai media. Sembra quasi una favola quella di 3 ragazzi, Jude, Saineye e Ousmane, emigrati in Libia per lavorare, rispettivamente da Nigeria, Gambia e Niger, costretti dalla guerra a fuggire in Italia, e che da Lampedusa a Santo Stefano Di Cadore, provincia di Belluno, hanno visto cambiare  il proprio destino. Sfidando il pregiudizio si sono innamorati e sposati con tre ragazze del posto, e il paese è passato, con fatica, dal rifiuto alla diffidenza e poi alla vera accoglienza.
L’attenzione all’immigrazione non è una novità per questo gruppo, che partendo dal piacere di coniugare generi musicali diversi, ha raccontato in tanti anni numerose storie, a volte riuscita a volte fronte di sconfitta. Ne parliamo diffusamente in questa intervista  a Franco D’Aniello, fra i fondatori della band emiliana.

Il tema immigrazione, seppur da prospettive diverse, è comunque presente da tempo nella canzone italiana, cominciando con la Ballata di Attilio di Franco Trincale, e con Lu trenu de lu soli di Ninì Salomone, cantata anche dal poeta Ignazio Buttitta, dedicate entrambe alla strage in miniera di Marcinelle, e senza dimenticare Ciao amore ciao di Luigi Tenco, ultima canzone cantata prima del suicidio nel gennaio 1967. Di italiani in fuga verso la Svizzera cantava nel 1973 Giovanna Marini ne Gli Stagionali, mentre nel 1987, ad aprire uno squarcio sul mondo delle nuove immigrazioni, troviamo Nero di Francesco De Gregori, sulla vita dei venditori ambulanti. Nel frattempo Eugenio Bennato aveva sviluppato un proprio percorso che in numerose canzoni ha legato la marginalizzazione e la potenza delle capacità di resistere di chi emigra, del Meridione ieri, del mondo intero oggi. Epicentro della sua musica è il Mediterraneo, come luogo di contaminazione inevitabile. Cambiando spesso formazione, soprattutto nei vocalists, Bennato ha coinvolto nei propri gruppi musicisti provenienti da numerosi paesi e l’influenza si avverte in gran parte dei brani. Difficile citarli tutti, ma non si può non considerare: Taranta Power, Grande Sud, Ritmo di Contrabbando, Balla la Nuova Italia, Sponda Sud, Canzone per Beirut, Donna Eleonora  Ninna Nanna 2002. Dialetti e lingua italiana si mescolano a strofe cantate in arabo o wolof, aumentandone la carica di energia. Anche Teresa De Sio, è stata interprete appassionata di questi temi, a cui ha dedicato, anche da autrice, il cd Mappe del nuovo Mondo.

Gianmaria Testa, cuneese, un tempo ferroviere, oramai acclamato grande esponente della nuova canzone d’autore, già nel 2006 se ne uscì con il cd Da questa parte del mare, che prende spunto da un naufragio avvenuto nei pressi del Gargano, nel 1991, quando si giungeva dall’Albania e si cominciava già ad utilizzare la parola “invasione”. Nel 2010 Testa ha forse scritto la sua canzone più intensa sul tema, Ritals con richiami allo scrittore Jean Claude Izzo e il continuo refrain “Eppure lo sapevamo anche di noi”. Da Cuneo alla Genova di Ivano Fossati. Dipende certamente dal vivere nelle città di mare, inevitabilmente esposte all’incontro, ma forse solo da qui potevano essere pensate canzoni come Mio fratello che guardi il mondo, Pane e coraggio. Del resto le canzoni di Fossati, spesso portate al successo da altre interpreti, hanno in gran parte come elemento di sottofondo l’elemento del viaggio e dell’incontro fra culture. Di un autore comasco apprezzato soprattutto al Nord, Davide Van De Sfroos, è da non perdere Rosa Nera in cui a viaggiare è metaforicamente una chitarra, in realtà chi la suona e chi la ascolta. In questa play list tematica, non possono mancare, poi Non è un film (Fiorella Mannoia & Frankie Hi Energy) e il brano divenuto emblema del mondo rom, lo splendido Khorakhanè di Fabrizio De Andrè. Fra i gruppi che hanno fatto poi della mixitè il loro emblema musicale, brillano i napoletani Almamegretta, una per tutte la loro ormai storica Figli di Annibale con cui raccontano una contaminazione che affonda le radici nella storia più antica.

Uno spazio in più meritano poi le band meticce o di chi si è costruito un proprio ambito artistico in Italia. Dalla ormai celebre Orchestra di Piazza Vittorio agli Agricantus, che uniscono Sicilia, Mediterraneo e Svizzera fino al rapper palermitano/capoverdiano Johnny Marsiglia, alla scrittrice e cantante, anche nostra collaboratrice, Gabriella Ghermandi, alla ormai notissima Saba Anglana, solo per citare alcuni esempi estremamente interessanti di contaminazione di genere, nei testi come nelle musiche. E di Saba Englana ci pare giusto ricordare la durissima Crowded desert, tratta dal Cd, dal titolo diretto, A sud di nessun nord.

Stefano Galieni