La musica che gira intorno

Sette bocche per uomini e caporali

Stefano Galieni - 9 Febbraio 2015

Digipack_2_Ante_con_Tasca_a_SinistraUn gruppo di musica popolare ancora poco noto, che allieta le feste di paese nel Cilento alternando risate, lazzi e scherzi arditi a momenti altamente drammatici. Angelo Plaitano, voce e chitarra dei Sette Bocche, ha scritto il testo della ballata San Nicola Varco, contenuta nel Cd Simm sett’ott e nuje, in cui si racconta appunto dello sgombero di San Nicola Varco. «Ne ho parlato con gli altri. Noi spesso facciamo canzoni allegre, che fanno ballare e ridere, ma ci sentiamo in dovere di raccontare anche la realtà della nostra terra e non potevamo far finta di nulla. Nella nostra provincia (Salerno) tutti conoscevano la situazione, anche la polizia. Il posto era diventato quasi evocativo. Arrivavano i migranti con contratti di lavoro regolari, ma le aziende erano fittizie e in poco tempo diventavano irregolari, “clandestini” loro malgrado. Basta passare in automobile sulla Statale, da Salerno a Paestum: d’estate si vedono gli zaini, i migranti ora dormono nelle serre o nei solchi della terra coltivata ed è una vergogna che neanche stupisce nessuno. Chi è nato e cresciuto qui sa che la terra è cattiva e ha sempre voluto un tributo di sangue, ma ci sono responsabilità scellerate legate alle leggi imposte dagli uomini. Quando la suoniamo, di solito mi fermo un momento per una prefazione, per spiegare le ragioni di questa canzone. Avvertiamo subito il silenzio di chi comprende bene di cosa si sta parlando e dopo averla cantata, l’applauso che scatta è pieno di emozione. C’è chi si indigna perché dove vivevano, almeno al coperto i lavoratori, oggi sorge un “Outlet Cilento” realizzato anche grazie al clientelismo politico. Molti di coloro che ci ascoltano hanno relazioni con le persone che arrivano dai paesi di emigrazione, sanno che quello che dice la maggior parte dei media non è la verità. Hanno come costante un riferimento al nostro mondo arcaico in cui l’attenzione è diversa. Io conosco molte persone anziane che ancor lavorano la terra e la relazione con gli immigrati nasce dallo stesso sudore».

Angelo Plaitano non nasconde le contraddizioni che si celano dietro questo mondo. «Qui si vive di espedienti. Le persone del posto si fanno assumere in agricoltura in maniera fittizia e poi si vive con la disoccupazione, ma è una guerra di sopravvivenza. È il prezzo del pomodoro che si impone in Europa che fa si che nei paesi del Magreb non si lavori e non si produca e costringe all’emigrazione. Col risultato che qui il lavoro, se accetti di romperti la schiena per pochi euro, lo trovi. Il caporalato c’è sempre stato, anche se ha cambiato faccia. Ma l’Europa dovrebbe metterci mano anche imponendo leggi diverse dalla Bossi-Fini, che impedisce di fatto l’inserimento lavorativo regolare. Si deve intervenire per far si che non sia consentito lavorare per 30 euro (30 denari) dall’alba al tramonto, dovendo pagare il trasporto nei campi, l’acqua che si beve, sperando di incontrare un padrone ospitale che ti faccia dormire nel capanno degli attrezzi. Un meccanismo di camorra da basso livello. Qui ci sono aziende antiche che risalgono al medioevo e si trovano ancora lapidi in marmo che spiegano come dare la regalia al padrone, ovvero quali sono le giornate in cui si deve lavorare gratuitamente ed è una pratica tuttora diffusa a cui ci si rassegna. Un peccato, perché poi ci sono anche delle eccellenze significative. Molti lavoratori indiani si sono specializzati nell’allevamento delle bufale. Vivono bene, sono rispettati e si sono integrati, ma si tratta di una esigua minoranza. Ascoltatela San Nicola Varco, mi frullava in testa dal 2008, ma solo nell’estate del 2013 sono riuscito a scriverla ed è stata la prima che abbiamo inciso per questo Cd».

Stefano Galieni