Reportage

Rom, racconti dalla discarica

Luca Leva & Giulia Ambrosio - 16 Febbraio 2015

-2Il cielo è grigio e carico di pioggia. C’è umidità, molta, ma soprattutto puzza, troppa puzza. «Viene da lì, c’è la discarica e poi c’è la fabbrica del gas, ne fanno uscire un po’ tutte le sere, altrimenti scoppia tutto». A parlare è un bambino di circa 10 anni, uno dei tanti che ci circondano appena entriamo nel campo. Siamo a Giugliano, a ridosso dell’ex discarica RESIT in località Masseria del Pozzo, dove da più di un anno è stata confinata una comunità Rom di  60 nuclei famigliari, circa 400 persone. Qualche chilometro più in là un grosso centro commerciale. Per il resto, solo discariche.
Sono circa 30 anni che il territorio di Giugliano ospita questa comunità rom che, fino a un paio di anni fa, occupava in realtà un altro terreno, poco distante. Il 12 aprile 2011, a seguito di una decisione della Procura della Repubblica di Napoli, il campo viene smantellato  per motivi di carattere sanitario-ambientale. Della sistemazione delle persone nessuno si fa carico. Dopo diversi spostamenti e soluzioni temporanee adottate autonomamente, con l’incalzare di proteste e minacce da parte della popolazione autoctona, le istituzioni decidono di intervenire: il 28 marzo 2013, con delibera del Commissario Prefettizio, viene allestito il campo provvisorio attrezzato in località Masseria del Pozzo, quello che noi siamo andati a visitare.


-1Per il nuovo campo, pareri sfavorevoli e autorizzazione

La Masseria del Pozzo, facente parte della cosiddetta area Vasta di Giugliano, è tristemente nota come uno dei fondi su cui, nel corso del trentennio passato, è stato versato, lecitamente e non, ogni tipo di rifiuto. Nel 2010 il geologo toscano Giovanni Balestri,  incaricato dalla Procura della Repubblica di Napoli di stilare una perizia sullo stato di salute dell’area, così scriveva: «Data quindi l’estensione delle contaminazioni, le persone e le cose coinvolte e i tempi di attuazione che si protraggono continuativamente da almeno un quarto di secolo, lo scenario che se ne ricava dalla gestione dell’area Schiavi è di disastro ambientale, unitamente all’avvelenamento di acque di falda». Dopo la relazione del professor Balestri, la stessa ARPAC, completata la caratterizzazione su 30 pozzi campione, confermava l’inquinamento dell’acqua di falda, con valori superiori alla norma di diverse sostanze tra cui fluoruri, ferro, manganese, arsenico e via discorrendo.
La Asl Na 2 dà comunque  un parere preventivo favorevole. In un secondo momento il responsabile UOPC DS 37, dottor Raffaele Russo, e il direttore dell’UOC Igiene e Sanità pubblica, dottor Armando Orlando, assumono un’altra posizione: «Da una più attenta analisi dello stato dei luoghi, poiché si tratta di un sito nel quale ricadono discariche che, allo stato, non sono ancora del tutto bonificate, e dal momento che la zona stessa è oggetto di studio da parte del Commissario delle Bonifiche, in via cautelativa, si invitano le SS. LL. a sospendere l’atto deliberativo n. 10 del 6.12.12».
Poi però arriva il via libera  per la creazione definitiva del campo, a dispetto dell’inquinamento dell’intera zona, già accertato dal “rapporto Balestri” e dalle analisi dell’Arpac ed evidenziato successivamente anche all’interno del Piano Regionale di Bonifica, approvato dalla Regione Campania nel giugno 2013. La Asl, che inizialmente aveva espresso parere positivo per poi tornare sui suoi passi, alla fine ha confermato la decisione  iniziale.

Anche in questo caso le politiche concrete riguardanti i Rom sono state risolte in base a una logica prettamente emergenziale. Si è lasciato si che si determinassero condizioni di auto-esclusione ghettizzanti. Ai margini dei centri abitati, al limite della soglia di dignità, istituzionalizzando forme di isolamento fisico e relazionale, precarie condizioni igienico-sanitarie, e privazione di fatto dei diritti minimi: all’istruzione, alla mobilità, alla tutela della salute. Pratiche in cui sembra di riconoscere le definizioni elaborate da Nando Sigona nel suo Figli del ghetto, Gli italiani, i campi nomadi e l’invenzione degli zingari. Nel caso di Giugliano, a quanto già detto, si aggiunge la scelta, da parte del Commissario Prefettizio Maurizio Valiante, di aver autorizzato la creazione di un campo stanziando circa 400 mila euro su un’area contaminata.

«Prima eravamo riusciti ad organizzarci con l’Unicef e tutte le mattine Nuria, uno di noi, portava tutti i bambini del campo a scuola. Ora, purtroppo, a scuola non ci vanno più». Così Giuliano, uno dei più attivi nel campo, ci spiega la situazione dei bambini: «A settembre sono stati iscritti a scuola dal Comune ma non ci hanno neanche detto dove; poi con questa storia dello sgombero siamo, ormai, in tensione continua e ogni giorno aspettiamo che arrivi la polizia per mandarci via. Così i bambini restano qui». «Noi chiediamo solo di essere aiutati a trovare una sistemazione e che i bambini vadano a scuola; è già passato un mese dall’inizio delle lezioni, così i bambini crescono senza scuola e alla fine non sanno niente» aggiunge Nuria. È un futuro migliore che questi uomini vogliono per i loro figli: «noi siamo cresciuti nei campi e senza scuola, ora sta toccando ai nostri figli e questo non ci piace. Non è vita. Siamo disposti anche a dividerci purché ci diano delle case e ci aiutino a trovare un lavoro. Per noi non è semplice chiederlo perché ci sono tanti italiani che ci rispondono che la casa e il lavoro non ce l’hanno neanche loro e quindi non possiamo pretendere nulla noi che siamo Rom».

Gli esposti e le proteste
Nell’ambito del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli si è manifestato, negli ultimi due anni, un interesse attivo verso la comunità di Masseria del Pozzo che ha visto la produzione di materiale audiovisivo – con il documentario Terrapromessa – di un reportage fotografico e di un dossier presentato alla Commissione dei Diritti Umani del Senato. «Alla fine siamo stati costretti anche a fare un esposto alla Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli Nord – ci dice Yasmine Accardo dell’Associazione Garibaldi 101. -E’ più di un anno che facciamo di tutto per cercare una soluzione dignitosa per queste famiglie e pensiamo che il modo migliore per farlo sia parlandone con loro. Tutti si sono detti disposti a sostenere anche un piccolo canone mensile, purché si tratti di abitazioni vere e la si smetta di segregarli in campi lontani dai centri abitati come degli appestati. Tra l’altro, questa volta si è andati ben oltre il limite della decenza autorizzando ed investendo centinaia di migliaia di euro per un campo su una zona notoriamente contaminata dai rifiuti, come hanno dimostrato diversi studi nel tempo e che sono correlabili alle patologie respiratorie che hanno già comportato diversi ricoveri tra gli abitanti della comunità».

Intanto, il 7 agosto scorso era stata notificata l’ennesima ordinanza di sgombero da parte del Comune di Giugliano a causa dell’elevato rischio di diffusione di malattie infettive. L’ordinanza, che prevede uno sgombero coatto in assenza di un abbandono volontario dell’area, non prevede, tuttavia, una nuova sistemazione per la comunità che, si ricorda, conta circa 260 minori. Da quel giorno nulla sembra essere cambiato. Ci sono trattative in corso per trovare soluzioni forse più dignitose ma l’inverno di pioggia e di inquinamento è passato senza alcuna prospettiva certa per le  famiglie che vivono in questa condizione inumana.

Luca Leva, Giulia Ambrosio