Dossier Caritas 2010 sull'immigrazione

Marco Palladino - 29 Novembre 2010
Presentato ieri al teatro Orione a Roma il dosser statistico 2010 sull’immigrazione, un documento che aldilà degli intenti pastorali che ovviamente ispirano gli autori è una seria e rigorosa raccolta di dati e correlazioni, un testo imprescindibile per ragionare sui temi dell’immigrazione, che la Caritas pubblica ormai da 20 anni.
di Marco Palladino

IL RAPPORTO. Il XX Rapporto sull’immigrazione copre ovviamente l’anno 2009 e non può che prendere in considerazione gli effetti della crisi economica mondiale, il crollo della produzione (specialmente nelle manifatture e in edilizia) e degli investimenti, accompagnati in Italia dalla diminuizione di 380.000 posti di lavoro, con un aumento del tasso di disoccupazione e dei disoccupati (2 milioni e 45mila). Tutto ciò predispone negativamente la popolazione verso la presenza immigrata.


“GRANDI MIGRAZIONI” (Foto dell’autore)
E’ interessante sottolineare subito come la percezione degli italiani circa la presenza degli immigrati sia quantomai lontana da un qualsiasi dato di realtà, a dimostrare che purtroppo i veri e propri linciaggi mediatici su cui certi politici costruiscono la carriera, causa anche l’immediata amplificazione da parte di molta stampa e tv, hanno sortito effetti assai perniciosi.

Secondo la ricerca “Transatlantic Trends (2009)”, gli intervistati ritengono che gli immigrati incidano per il 23% della popolazione, quindi sarebbero circa 15 milioni. Secondo l’Istat e l’integrazione fatta dal dossier, che include anche gli stranieri non ancora residenti, si arriva invece a 4 milioni e 919mila (1 immigrato ogni 12 residenti), ovvero 1/3 di quanto percepito dagli intervistati.

Anche e ancor di più in un periodo di crisi economica, fa bene ricordare come, alla luce di molti studi (Unioncamere, Banca d’Italia) gli immigrati che contribuiscono al Prodotto interno lordo (l’11,1%) non siano un problema quanto piuttosto la soluzione del problema, soprattutto in settori quali edilizia, industria, assistenza familiare e altri servizi, laddove la loro presenza colma un vuoto di lavori che gli italiani semplicemente non fanno.

Gli immigrati assicurano allo sviluppo dell’economia italiana un contributo notevole: sono circa il 10% degli occupati come lavoratori dipendenti, sono titolari del 3,5% delle imprese, incidono come detto per l’11,1% del PIL, pagano 7,5 miliardi di euro in contributi previdenziali, dichiarano al fisco un imponibile di oltre 33 miliardi.

E’ interessante sottolineare che il bilancio annuale dell’Inps è risultato costantemente in attivo grazie anche al contributo degli immigrati, i quali inoltre non beneficiano talvolta dei contributi versati se decidono di rientrare nei paesi d’origine.

La voglia di lavorare degli stranieri è documentata dal fatto che in un anno in cui l’occupazione complessiva è diminuita di circa mezzo milione di unità, i lavoratori stranieri occupati sono aumentati di 147mila, arrivando a quota 1.898.000, con un’incidenza dell’8,2% sul totale degli occupati (l’anno precedente era del 7,5%).

Gli aspetti più problematici dell’immigrazione, quelli che sono costantemente messi sotto gli occhi di tutti, se visti da un punto di vista statistico e rigoroso, appaioni nella loro reale entità. I famosi sbarchi di clandestini, che riempiono i palinsesti delle testate, sono veramente poca cosa se paragonati agli ingressi che avvengono per vie normali come un visto turistico, d’affari, ecc. La punta massima di sbarchi raggiunta nel 2008 (quasi 37mila persone) è davvero una goccia nell’acqua, eppure alimenta discussioni e spinge a chiedere investimenti e risorse per respingimenti e quant’altro, creando dei veri e propri “lager di accoglienza”, come si è raccontato sovente in questo spazio.

Anche i dati sulla criminalità ci raccontano qualcosa di diverso dal senso comune. A partire dalla seconda metà degli anni ’90 si è rafforzata nella società la difidenza prima nei confronti dei marocchini, poi verso gli albanesi e attualmente verso i romeni, seppure con toni fortemente ridimensionati rispetto al biennio 2007-2008. Più nello specifico, per gli albanesi è emerso che la loro stig

matizzazione è continuata per forza di inerzia anche negli anni 2000 quando, stabilizzatisi i flussi, la loro rilevanza nelle statistiche criminali è risultata in realtà fortemente ridimensionata. Per i romeni la progressione accusatoria ha continuato ad essere accentuata, nonostante le statistiche continuino ad attestare un loro coinvolgimento più ridotto rispetto alla generalità degli immigrati. Per gli africani è emerso che sussistono problemi quanto alla loro implicazione sia nella criminalità comune sia in quella organizzata, fenomeni che ovviamente richiedono di essere affrontati molto seriamente.


C’è poi la questione dei rom, probabilmente il gruppo maggiormente discusso e che forse è un capitolo a parte, anche per le paure che alimenta nella popolazione. Un’apposita indagine della Fondazione Migrantes ha smentito categoricamente l’accusa spesso loro rivolta di rapire i bambini.

In conclusione è interessante sottolineare alcuni dati, ad esempio che il tasso di criminalità degli immigrati appena arrivati in Italia, quello su cui si soffermano maggiormente le paure, è risultato nel periodo 2005-2008 più basso rispetto a quello riferito alla popolazione residente; il confronto tra la criminalità degli italiani e quella degli stranieri ha portato alla conclusione che gli italiani e gli stranieri in posizione regolare hanno un tasso di criminalità simile. Sono tutti dati su cui riflettere, insieme al fatto che la percentuale di stranieri tra la popolazione carceraria è notetolmente superiore alla percentuale di stranieri tra la popolazione in generale, più del doppio.

Evidentemente c’è qualche cosa che va rivisto nella capacità dello Stato di fronteggiare il crimine laddove esso davvero incide, senza ovviametne abbassare la guardia sul fronte della criminalità comune, anche e soprattutto per la forte componente emotiva che questa genera nella popolazione.

Ma una visione chiara e non pregiudiziale dei fatti, come ci insegna questo dossier, è l’unica premessa accettabile per ragionare serenamenteanche sui problemi che l’immigrazione comporta, fuori da questo reticolo c’è quasi sempre solo propaganda e strumentalizzazione.