Rom-anzi

Sgomberi, non ce li chiede l’Europa

Sergio Bontempelli - 8 Marzo 2015

14424483600_e112b98c3b_z«Ce lo chiede l’Europa». Di solito questa frase corre sulla bocca di chi – a torto o a ragione – invoca sacrifici, austerità e «tagli» di vario tipo. Ma l’Europa non ci chiede solo questo: da vari anni, il nostro paese è sotto osservazione anche per le politiche in materia di rom e sinti. Perché alle istituzioni internazionali, si sa, i «campi nomadi» nostrani non piacciono proprio. Così come non piacciono gli sgomberi, né certi provvedimenti «sbrigativi» – diciamo così – presi dai Comuni.

L’ultima «bordata» contro l’Italia è arrivata proprio in questi giorni. E per la verità non viene da Bruxelles ma da Strasburgo, cioè dal Consiglio d’Europa. Un ente che, nonostante il nome, non ha niente a che fare con l’Unione Europea ma è un’istituzione sopranazionale a sé stante [per la differenza tra i due organismi vedi qui] Tanto che alcuni paesi (ad esempio la Turchia, la Russia o la piccola Albania) non fanno parte della UE ma aderiscono al COE (acronimo, appunto, del Consiglio d’Europa).

Il COE nasce nel lontano 1949 per promuovere lo «stato di diritto», per tutelare i diritti umani e rafforzare l’identità democratica europea. È un’istituzione meno potente della «cugina» di Bruxelles, ma è anche più attenta alle persone e alle minoranze. E ha attivato da tempo l’ECRI, cioè l’European Commission against Racism and Intolerance (Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza), che tiene sotto controllo le politiche degli Stati Membri in materia di rom.

È legale sgomberare un campo «abusivo»?
Proprio dall’ECRI, dicevamo, arriva l’ennesima strigliata alle politiche del nostro paese. Gli esperti di Strasburgo avevano già inviato, nel 2012, delle «raccomandazioni» al Governo italiano: a tre anni di distanza, l’organismo del COE è tornato alla carica, e ha stilato un report (qui il testo, in lingua inglese) sull’effettiva attuazione di quelle raccomandazioni.

A mandare su tutte le furie i tecnici dell’ECRI sono soprattutto gli sgomberi dei campi cosiddetti «abusivi», che secondo Strasburgo sono condotti in modo illegale. E questo è un punto interessante, perché di solito si pensa che se un insediamento non è autorizzato, smantellarlo e allontanarne gli abitanti è un atto doveroso, o almeno conforme alla legge: invece, le cose non stanno affatto così.

Come tutti i paesi aderenti al COE, l’Italia ha infatti firmato alcune convenzioni internazionali che stabiliscono il «diritto ad un alloggio adeguato». Quando un insediamento è «abusivo», dunque, si può certamente smantellarlo, ma bisogna tener conto dei suoi abitanti e delle loro necessità abitative. Non basta buttar giù le baracche, insomma: bisogna offrire alle famiglie le necessarie garanzie.

Sul punto, la normativa è ormai chiarissima (per saperne di più vedi qui). Quando si fa uno sgombero, gli abitanti devono essere avvertiti per tempo, e devono potersi rivolgere a un avvocato o comunque accedere a forme di tutela legale. L’ente pubblico che ordina lo smantellamento del campo deve farsi carico di sistemazioni abitative dignitose, concordate con i diretti interessati. Non solo: nel reperimento di alloggi adeguati, si deve tener conto della vita familiare. Quindi, ad esempio, non si può dare un alloggio temporaneo ad una madre e al figlio piccolo, e lasciare in mezzo alla strada il padre, come avviene comunemente in Italia…

ECRI: «troppi sgomberi in Italia»
Ecco, a quanto pare queste garanzie procedurali non sono state seguite nel nostro paese. «L’ECRI», si legge nel report pubblicato da Strasburgo, «è stata informata del fatto che gli sgomberi di rom e sinti sono proseguiti anche nel 2012 e 2013, e ancor più di recente, nel Luglio 2014. Questi sgomberi sono stati spesso effettuati senza le necessarie garanzie procedurali, e senza proporre alcuna sistemazione alternativa agli abitanti».

Bisogna dire che, secondo i tecnici del COE, l’Italia ha fatto qualche progresso. Ad esempio, ha abrogato i decreti della cosiddetta emergenza nomadi, che avevano equiparato rom e sinti a una calamità naturale: come se fossero un terremoto o un’inondazione. E ha varato una «Strategia Nazionale» che prevede – almeno sulla carta – la fine della politica dei campi (e degli sgomberi), e l’avvio di percorsi di effettivo inserimento.

«I recenti sviluppi politici e legislativi», spiega ancora l’ECRI, «mostrano l’inizio di un processo positivo, ma, per il momento, lento (…). E tuttavia, questo processo non può ancora garantire pienamente che tutti i rom vittime di sgomberi possano godere delle necessarie garanzie».

Il linguaggio, come si vede, è «felpato», cauto, prudente: come si conviene a una istituzione internazionale. Ma la conclusione è chiara: «di conseguenza, l’ECRI ritiene che le sue raccomandazioni siano state attuate solo in parte». L’Italia, ancora una volta, è bocciata. O almeno – come si diceva un tempo – «rimandata a Settembre».

Sergio Bontempelli