Portogallo

Lisbona, razzismo e violenza della polizia

Francesca Esposito - 16 Marzo 2015

portogalloE’ il 5 febbraio del nuovo anno e siamo a Cova da Moura, quartiere situato nel comune di Amadora, distretto di Lisbona. Gli abitanti sono perlopiù africani di origine capoverdiana, ma ci sono anche alcuni provenienti da Angola, Mozambico e Guinea-Bissau. Numerose sono le seconde e anche terze generazioni, nate e cresciute spesso nello stesso quartiere. Ci sono anche cittadini portoghesi, soprattutto provenienti dal centro e nord del paese.
E’ circa mezzogiorno, quando ha luogo uno dei consueti pattugliamenti della polizia di Alfragide (municipio di Amadora), si tratta del SIR – Serviço de Intervenção Rápida della PSP – Polizia di Sicurezza Pubblica. Gli abitanti di Cova da Moura sono abituati/e a queste incursioni della polizia: purtroppo sono una realtà quotidiana nel quartiere, così come in altre zone dove la maggioranza della popolazione è migrante e nera. Ma questa volta accade che un giovane viene preso e aggredito violentemente, nonostante non opponga alcuna resistenza.

Parecchie persone assistono all’aggressione e contestano il comportamento della polizia, ma senza risultato. Anzi, di fronte a queste proteste gli agenti – almeno sei, come riferito dalla vittima – reagiscono violentemente: tirano fuori i manganelli e sparano proiettili di gomma contro i presenti. Una testimone, Zulmira Coelho del Moinho da Joventude (un’associazione costituita dagli stessi abitanti della Cova da Moura e che, dagli anni ‘80, opera a livello sociale, culturale ed economico rivolgendosi a bambini, giovani e adulti), riferisce ai giornali che, di fronte alle rimostranze degli abitanti contro la violenza inflitta al giovane, la polizia ha risposto con spari. Un’altra donna, di 35 anni, anch’essa volontaria nell’associazione Moinho da Joventude, assiste dal terrazzo di casa sua alla violenta aggressione e grida agli agenti di fermarsi. In pronta risposta viene colpita da tre proiettili di gomma al petto, sulla coscia e al viso e viene portata all’ospedale São Francisco Xavier. Il figlio piccolo, che ha assistito alla scena, ne resta traumatizzato.
Il giovane viene ammanettato e portato alla questura di Alfragide, a circa un chilometro dal luogo dei fatti. Come riferito dallo stesso, una volta lì, sarà brutalmente aggredito dalla polizia che lo chiamerà preto (termine offensivo per indicare una persona nera) e macaco (scimmia), minacciando lo sterminio della sua “razza“.
Un gruppo di cinque giovani abitanti del quartiere, alcuni dei quali volontari dell’associazione Moinho da Joventude e attivisti della Plataforma Gueto, preoccupati per la situazione, decidono di recarsi sul posto per chiedere informazioni circa la detenzione del ragazzo e per presentare una denuncia contro il comportamento degli agenti.

Una volta in questura, cinque di loro vengono detenuti e aggrediti da vari agenti. Data la brutalità della violenza subita, i detenuti vengono condotti, sotto scorta, all’ospedale di Amadora-Sintra per ricevere cure mediche. Come dimostrato da fotografie rese pubbliche, i detenuti riportavano chiare evidenze di aggressione fisica e uno aveva una grave ferita alla gamba, causata da un proiettile di gomma sparato dalla polizia.
I detenuti vengono mantenuti sotto custodia fino al sabato, quando finalmente sono ascoltati al Tribunale di Sintra (il giorno prima si era tenuta udienza presso il Tribunale di Amadora, ma il pubblico ministero si era rifiutato di ascoltarli). La versione della polizia, divulgata strumentalmente da alcuni media, è che la volante è stata attaccata con pietre e che la questura è stata “invasa” dal gruppo di giovani. Questa versione non è confermata da nessuno dei testimoni civili.

Circa 40 tra attivisti, familiari, abitanti della Cova da Moura e cittadini presidiano il tribunale in solidarietà con i detenuti, per contestare la loro detenzione e il trattamento subito. Nonostante il pubblico ministero chieda che i giovani rimangano in detenzione, accusandoli di resistenza e coercizione ai danni di pubblico ufficiale, nel pomeriggio la giudice decide di rilasciarli sotto la misura di dichiarazione di identità e residenza (TIR – Termo de Identidade e Residência), che consiste nell’identificazione della persona che deve indicare la sua residenza ed è obbligata a presentarsi di fronte alle autorità ogni qualvolta è convocata, non potendo cambiare residenza o assentarsi dalla stessa per più di cinque giorni senza dare comunicazione ufficiale dell’indirizzo dove può essere reperita.

In seguito a una riunione con i residenti di Cova da Moura, il 12 febbraio è stata organizzata una manifestazione davanti al Parlamento. Circa 300 persone hanno partecipato per dire basta alla violenza sistematica della polizia nei quartieri abitati da popolazione migrante e nera, di cui ci sono video, articoli e foto. Né rappresentanti delle autorità di polizia né del Ministero degli Interni (MAI – Ministério da Administração Interna) rilasciano dichiarazioni pubbliche in merito alle accuse di brutalità avanzate. Domenica sera, l’Ispettorato Generale del Ministero degli Interni (IGAI – Inspecção-Geral da Administração Interna) ha dichiarato che verrà aperta un’ inchiesta.

Il 24 febbraio il Bloco de Esquerda, partito dell’opposizione, ha organizzato un’audizione pubblica in Parlamento in merito alle violenze della polizia, al razzismo istituzionale e altre forme di discriminazione. L’audizione ha visto la presenza di molti abitanti dei quartieri  colpiti da questi fenomeni, come Cova da Moura, così come di attivisti, rappresentanti di associazioni e cittadini.
Il giorno 21 di Marzo – giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, in ricordo del massacro di Sharpeville in Sudafrica (21 marzo 1960) – si terrà a Lisbona un evento per denunciare proprio la violenza della polizia e il razzismo istituzionale in Portogallo, ricordando i fatti di Cova da Moura così come le varie aggressioni e morti avvenute nel tempo, oltre alla violenza delle demolizioni che continuano ad avvenire nei quartieri auto-costruiti di Amadora e dintorni.

Questi eventi vanno interpretati nell’ambito di un più ampio processo, avvenuto negli ultimi decenni, di criminalizzazione e sorveglianza dei giovani neri dei cosiddetti quartieri problematici. Uno sviluppo che si accompagna alla negazione sistematica del razzismo istituzionale da parte delle autorità statali e degli enti pubblici in Portogallo. Questo atteggiamento di negazione politica si è reso evidente, ad esempio, nel rifiuto da parte dello Stato portoghese di pubblicare dati disaggregati sulla discriminazione etnica e razziale, o di adottare misure per istituire un organo di controllo indipendente sulla questione dell’equità razziale, così come a lungo richiesto da movimenti di base e anti-razzisti. Anche il ruolo dei media è stato fondamentale in questo processo di distorsione/obliterazione della realtà e di costruzione di narrative legittimanti il razzismo istituzionale e la violenza. Queste evidenze si inquadrano altresì nel più generale clima europeo di criminalizzazione delle popolazioni nere e migranti, nonché di rafforzamento delle politiche di sorveglianza e controllo delle frontiere.

Negli ultimi anni varie iniziative e azioni di denuncia contro questi fenomeni e contro la violenza della polizia ai danni delle persone e delle comunità nere sono state portate avanti da movimenti, come la Plataforma Gueto (ad esempio, per quanto riguarda i casi del quattordicenne Kuku, e del quindicenne Musso, entrambi uccisi dalla polizia) e associazioni antirazziste, come l’ SOS Racismo (vedi gli articoli di Mamadou Ba). Questi attivisti/e politici e intellettuali hanno raccolto e analizzato i dati sui giovani uccisi dalle forze dell’ordine rivelando che, dal 2000 al 2010, circa 40 giovani in Portogallo sono stati ammazzati in tali circostanze – soprattutto nell’area metropolitana di Lisbona – e che più di un terzo di questi erano neri, perlopiù poveri (dato sproporzionato rispetto alla popolazione totale). Tuttavia, ad oggi, nessun agente di polizia è stato condannato per questi delitti e solo in un caso è stato aperto un processo penale in tribunale.
Il 21 Marzo sarà lanciata una petizione, che sarà resa disponibile on-line, per chiedere che questa ennesima violenza non resti impunita. Invitiamo tutte e tutti a manifestare la propria solidarietà firmandola.

Francesca Esposito