Testimonianza

Scicli, l’accoglienza virtuosa

Marta Bernardini - 16 Marzo 2015

scicliLe buone pratiche dell’accoglienza esistono, e ci sono anche in Italia. Permettetemi di raccontare la nostra esperienza in Sicilia, a Scicli (RG). Da dicembre 2014 è ufficialmente iniziato un progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, sostenuto con i fondi otto per mille delle chiese valdesi e metodiste, dal nome Mediterranean Hope – Casa delle Culture. Il progetto, di cui una parte è stata già avviata a maggio a Lampedusa, con un Osservatorio sulle migrazioni, ha dato vita in Sicilia a una forma inedita di accoglienza, integrazione, collaborazione con il territorio e solidarietà attiva.

La Casa delle Culture è composta da tre appartamenti nel quale vengono ospitati soprattutto minori non accompagnati, in attesa di essere collocati in case famiglia adatte al loro percorso, ma ci sono anche adulti e una bimba di pochi mesi, nata proprio a pochi giorni dall’apertura della struttura. Il progetto di Scicli, però, non consiste solo in una comunità alloggio. In un ampio locale commerciale – un edificio storico e ristrutturato per mantenere la sua originaria bellezza – che si affaccia su una delle principali vie del centro, infatti, i ragazzi della Casa mangiano insieme, fanno lezioni di italiano e attività ricreative. Ma questo luogo è, soprattutto, un punto di incontro per tutta la popolazione locale.

Non c’è un pomeriggio senza che qualche compagno di scuola venga alla Casa delle Culture per condividere momenti di amicizia e scambio con i giovani, provenienti da paesi come Gambia, Ghana, Nigeria, Eritrea, Costa D’Avorio, Bangladesh. Qui si ascolta musica, si gioca a carte e si fanno i compiti.
E’ diventato anche uno spazio per promuovere eventi culturali sul territorio, conferenze, concerti, mostre ma anche feste. Come quella di carnevale, quando si è festeggiato per due giorni a porte aperte con colori, musiche, cibi dalle tante storie e provenienze. Perché le storie sono davvero molte, a volte differenti ma spesso simili. Giovani che scappano da guerre, persecuzioni, abusi, violazioni di ogni tipo e si avventurano per deserto e mare cercando una nuova possibilità di vita in un occidente non esente da responsabilità per l’instabilità di molti dei paesi dai quali queste persone scappano.

Lo sguardo è stanco e vissuto, ma quello che si cerca di dare alla Casa delle Culture è un’accoglienza degna per persone riconosciute come tali, portatrici di diritti da difendere e esercitare liberamente; è una possibilità di combattere i pregiudizi facendosi vedere tra i banchi di scuola, per le vie del centro, coinvolti in attività pratiche, sportive o di studio. E’ una via di integrazione con il territorio, evitando di costruire ghetti lontano dagli occhi e offrendo luoghi di solidarietà nel cuore delle nostre città. Le difficoltà certo ci sono, come anche le frustrazioni dovute alle lungaggini burocratiche, a qualche sfida linguistica e culturale da affrontare, alla fatica di far comprendere perché un minore è tutelato e gli è garantita un’istruzione.

Non dimentico uno dei ragazzi che, dopo qualche giorno alla Casa, ha iniziato ad essere irrequieto: non voleva andare a scuola e perdere tempo. Sul suo viaggio non aveva investito solo la sua famiglia ma ben sette nuclei familiari, quasi un intero villaggio, e lui voleva iniziare a lavorare per mandare i soldi a casa. Allora diventa ancora più importante spiegare quanto sia essenziale che, se rimangono in Italia, abbiano documenti validi e si cerchino vie legali per andare a scuola o trovare un lavoro, per evitare le numerose insidie dello sfruttamento nero che, purtroppo, ben conosciamo. Molti di questi ragazzi sono istruiti, conoscono più lingue, altri invece hanno la strada e la vita come principale scuola.

Con il lavoro alla Casa delle Culture cerchiamo di dare un segnale di rispetto della dignità umana, per contrastare con intelligenza e concretezza chi vuole mettere il “noi” contro il “loro”, qualcuno prima di qualcun altro. Noi crediamo, e lo ribadiamo con il nostro lavoro e impegno, che i diritti debbano essere di tutti, non solo di alcuni, ma soprattutto che dovremmo unirci per rivendicarli insieme, non gli uni contro gli altri, come una forza che parte dal basso per smascherare i continui inganni che le politiche di immigrazione, di accoglienza, di austerity, caricano sulle spalle di molti. Per noi l’accoglienza è partecipata, è uno spazio di costruzione comune dove combattere la dimensione della paura e del confine, impresse sui corpi di chi arriva nella fortezza europea.

Non c’è retorica in questo racconto. Abbiamo avviato Mediterranean Hope – Casa delle Culture in una delle città siciliane dove ancora non si era osato aprire un centro di accoglienza. Abbiamo per mesi assistito ad attacchi diretti da alcuni gruppi politici, diffamazioni e distorsioni su stampa e media, lamentele di alcuni settori della cittadinanza, ma siamo andati avanti. Abbiamo cercato di farlo senza arroganza, sempre disposti al dialogo, ma l’idea che la Casa delle Culture potesse essere un’opportunità non solo per i migranti ma anche per i cittadini e le cittadine del territorio è sempre stato uno dei nostri primi obiettivi. Dopo qualche mese, possiamo dire che il lavoro sta andando bene e vogliamo testimoniare che un’accoglienza degna, senza giocare sulla pelle di nessuno, è possibile, soprattutto dove c’è una visione chiara e un gruppo di lavoro motivato e serio. Sappiamo che in altre parti di Italia ci sono pratiche e storie simili, cerchiamo allora di diffonderle e non lasciarle isolate.

Marta Bernardini