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Watchdog, il cane da guardia del potere

Marika Berizzi - 24 Marzo 2015

lunariaAl di là del bla bla pettegolo della maggior parte dei media, di quel che accade in Parlamento e negli altri centri di potere sappiamo davvero poco. Quando si tratta di migrazione e dintorni (asilo, razzismo, diritti civili…) questo poco si avvicina pericolosamente allo zero. Il portale Watchdog , messo a punto dall’associazione Lunaria, nasce con l’intenzione di cambiare verso. Ce ne parla  la presidente, Grazia Naletto.

Che cos’è Watchdog?
«È un osservatorio attraverso cui cercheremo di monitorare e analizzare il dibattito, soprattutto parlamentare, in materia di cittadinanza e lotta alle discriminazioni. L’obiettivo sarà da un lato quello di facilitare ai cittadini l’accesso agli atti parlamentari, mettendo a disposizione un’archiviazione degli stessi, dall’altro quello di analizzarne il contenuto, scrivendo articoli che commentano i provvedimenti e gli atti più significativi. Quest’osservatorio è stato creato perché ci si è resi conto che il dibattito pubblico su questi temi è spesso orientato a partire dalle dichiarazioni, dalle interviste, che i rappresentanti del mondo istituzionale fanno alla stampa. La nostra intenzione è quella di accedere direttamente alle fonti e di facilitarne l’accesso a tutti i nostri utenti e alle organizzazioni che operano in questo ambito, e sono pertanto interessate ad avere un’informazione sistematica su quello che avviene nell’ambito delle attività parlamentari».

Quali vantaggi si possono ottenere utilizzando questo portale?
«Il primo vantaggio è che si potranno trovare tutti gli atti che riguardano le politiche in materia di immigrazione, asilo, cittadinanza e lotta alle discriminazione. Per atti mi riferisco non solo a eventuali nuove norme approvate o proposte di legge che sono in discussione su questi temi, ma soprattutto all’attività parlamentare quotidiana. Questo tipo di monitoraggio consente molto spesso di avere delle informazioni che non emergono dalla consultazione della stampa, perché magari si tratta di informazioni che non hanno un livello di notiziabilità alta o, al contrario, sono sfuggite, e quindi rimangono nascoste negli atti parlamentari mentre, per chi si occupa di questi termini o è impegnato in attività riguardanti il fenomeno migratorio in Italia, possono essere rilevanti».

Secondo lei quale sarà la reazione della classe politica a riguardo, dato che come ben si sa la questione immigrazione viene usata a scopi elettorali?
«Di per sé questo è un osservatorio che facilita la diffusione di informazioni che riguardano l’attività parlamentare su temi specifici. Da un lato, questo può essere considerato un servizio utile non solo da parte degli operatori del mondo dell’informazione ma anche dagli stessi parlamentari, perché i siti istituzionali della Camera e del Senato, che ovviamente consento il reperimento di questi atti, non lo fanno in modo agevole. Stiamo parlando di un’attività parlamentare che è molto intensa a questo livello, che quotidianamente produce decine di atti, interrogazioni, mozioni, interpellanze e quant’altro, e che ha un sistema di ricerca che non facilita molto l’individuazione dell’atto che interessa. L’attività che noi facciamo da questo punto di vista non credo possa essere esposta a particolari critiche, semmai l’aspetto più controverso potrebbe essere che non ci limiteremo a collezionare atti e informazioni ma cercheremo di evidenziare quali sono le criticità dal nostro punto di vista e di commentarle, in modo da stimolare la rivisitazione di eventuali intenzioni o decisioni che ne emergono e che riteniamo possano risultare lesive dei diritti dei migranti e dei rifugiati da un lato, e dall’altro, sostenere invece quelle iniziative che vanno nella giusta direzione».

Staranno quindi più attenti a fare e dire determinate cose, sentendosi monitorati?
«Noi siamo una realtà piccola, quindi non pensiamo di poter condizionare l’evoluzione dei fatti, però in effetti lo spirito con cui è nato a livello internazionale il concetto stesso di Watchdog – cioè di qualcuno che si pone l’obiettivo di monitorare in modo sistematico e, quindi, di verificare quello che viene fatto – è proprio l’idea che se c’è una maggiore attività di verifica, di monitoraggio e di controllo, ovviamente in modo democratico, effettivamente questo potrebbe contribuire a riorientare, almeno parzialmente, sia l’attività istituzionale, sia l’orientamento del dibattito istituzionale. Noi ci auguriamo che questa attività possa contribuire, dal nostro punto di vista, a garantire meglio i diritti delle persone e che non venga intesa soltanto come un servizio di informazione o di facilitazione agli atti».

Qual è oggi, a suo avviso, la situazione rispetto tanto alle discriminazioni istituzionali che a quelle legate al razzismo diffuso?
«Ci troviamo in una fase molto delicata. Nel contesto di una crisi economica e sociale che non ha accennato, almeno per ora, a dare segnali rilevanti e significativi di un’inversione di tendenza, soprattutto in questi ultimi due anni, il dibattito politico ha visto la riemersione di movimenti e partiti che hanno ripreso a fare delle ostilità nei confronti dei cittadini stranieri un cavallo di battaglia per l’acquisizione e l’ampliamento del proprio consenso. Questo è un fenomeno che riguarda il nostro paese, ma non solo; perché i risultati delle elezioni europee dell’anno scorso hanno evidenziato che, sull’idea dell’esistenza di una competizione e inconciliabilità tra i diritti dei cittadini europei e i diritti di chi viene da fuori, si è costruito l’argomento fondamentale della propaganda politica ed elettorale. Quindi siamo in un contesto culturale e politico molto rischioso se non si avrà un’inversione di tendenza anche sul piano delle politiche generali.
Laddove in una situazione di difficoltà ci sono politiche che tendono su diversi versanti a ridurre i diritti delle persone, soprattutto dei più deboli, questa idea di competizione e inconciliabilità trova più spazio e rischia di acquisire consenso anche in aree dell’opinione pubblica che non sono quelle tradizionalmente efferenti ai movimenti della destra che hanno fatto della xenofobia e del razzismo la propria ragione sociale. Dall’altra parte, parlando di razzismo istituzionale, il lavoro che è stato fatto in questi anni da molte associazioni, in particolare dall’Asgi, con la promozione di ricorsi che molto spesso sono stati vinti, sul piano della tutela legale e contro le discriminazioni si sono fatti dei passi avanti. Questo risultato ha fatto sì che ci sia stata una forma di deterrenza nel continuare ad adottare atti discriminatori, basti pensare al nuovo bando del Servizio Civile Volontario che ha eliminato il requisito della cittadinanza italiana. Tutto questo dimostra che c’è un’evoluzione laddove, ovviamente, c’è la capacità da parte della società civile di attivarsi e di offrire una maggiore tutela anche dal punto di vista legale».

Marika Berizzi