#milionidipassi

Ma dove vanno i profughi?

Stefano Galieni - 6 Aprile 2015

passiBasta recarsi in una qualsiasi scuola d’Italia, in un bar, in una fabbrica, forse anche in Parlamento. Se provaste a chiedere qual è il primo Paese al mondo per numero di rifugiati accolti, la risposta probabilmente sarebbe «l’Italia». E giù con i soliti luoghi comuni: “l’invasione”, “sono troppi”, “l’Europa ci lascia soli” e altre amenità del genere.
I dati forniti alla presentazione della Campagna #Milionidipassi, promossa dall’organizzazione Medici Senza Frontiere e incentrata sul tema dei rifugiati, stravolgono questa provinciale percezione. Iniziamo con i numeri a livello mondiale, forniti dall’UNHCR e validi fino a metà del 2014: il primo Stato al mondo per rifugiati accolti risulta essere il Pakistan, con circa 1.600 mila persone, a seguire il Libano, con 1.120 mila, che è il primo in rapporto alla propria popolazione ed estensione geografica. Poi l’Iran con 980 mila, la Turchia con 820 mila, la Giordania, con 740 mila e l’Etiopia – sì, la negletta Etiopia – con 590 mila rifugiati. Una parte consistente dei profughi proviene dalle tre grandi emergenze umanitarie di questo inizio secolo: quella siriana, quella afghana e quella somala. Circa il 53% dei rifugiati, infatti proviene da queste tre nazioni.

Veniamo ora al nostro paese: l’Italia, secondo i dati dell’UNHCR, si piazza a un misero 35° posto. Certamente, il 2014 da noi ha visto un’impennata nelle richieste di asilo e di protezione, motivata anche da una più stretta applicazione del Regolamento Dublino (che prevede l’obbligo di fare la domanda nel primo paese UE in cui si mette piede). Una crescita del 147% che, in valori assoluti, ci porta al terzo posto in Europa, preceduti da Svezia e Germania.
Secondo i dati Eurostat (l’Ufficio europeo di statistica), lo scorso anno nel Vecchio Continente sono state presentate  626 mila domande, di queste 203 mila (il 32% del totale) nella sola Germania e 81 mila in Svezia. A seguire, appunto, Italia, Francia e Ungheria, dove si registra un incremento delle richieste pari quasi a quello italiano.
Ma per dare ancora più senso a questa classifica si dovrebbe ragionare sul numero di richiedenti asilo in rapporto alla popolazione. Mentre la media europea è di 1,2 ogni mille abitanti, la graduatoria viene sempre guidata dalla Svezia (8,4 domande ogni mille abitanti), segue l’Ungheria (4,3), l’Austria (3,3), Malta (3,2), la Danimarca (2,6) e la Germania, (2,5). L’Italia, con 1,1 richiedente asilo per ogni mille abitanti, si colloca al di sotto della media europea, di per sé bassa. Sulla base di questi numeri, anche le continue richieste agli altri Paesi di offrire maggiore solidarietà continentale acquistano minor valore, così come perde credibilità la retorica dell’invasione, poco accreditata in ambito scientifico ma di grande impatto nella pubblica opinione.

Se la provenienza dei profughi, in base alla nazionalità, si concentra soprattutto fra i Siriani (il 20% del totale), gli Afghani (il 7%) e i Kosovari (6%), in Italia si registra tuttavia un maggior arrivo di persone provenienti dall’Africa Sub-sahariana, in particolare – nell’ordine – da Nigeria, Mali e Gambia. Ai cittadini di tali Paesi raramente viene concesso lo status di rifugiato: quando va bene si accordano protezioni temporanee, umanitarie. «L’analisi quantitativa va corroborata da elementi di tipo “qualitativo” – afferma Loris De Filippi, Presidente di MSF Italia – La nostra organizzazione sta lavorando molto in Bulgaria, Serbia, Grecia e Italia e possiamo dire in maniera incontrovertibile che, a fronte di un quadriennio in cui c’è stata una crescita pesantissima dei conflitti e, quindi, un aumento dei rifugiati – che oggi sono nel mondo 51 milioni – l’Europa ha fatto solo belle dichiarazioni di circostanza».

Secondo De Filippi la precedente Commissaria agli affari esteri dell’UE, Catherine Ashton, si è spesa molto a parole per il sostegno ai profughi, soprattutto ai siriani, salvo poi non dar luogo agli investimenti necessari tanto in Siria che nei paesi limitrofi. «È stato fatto anzi il contrario – insiste il Presidente – la costruzione di una rete in Bulgaria, il muro che separa Grecia e Turchia, nessuna critica ai respingimenti in mare effettuati dalla Grecia, e tanto altro. La nuova responsabile europea, Federica Mogherini, non si è ancora pronunciata molto in materia. In compenso, il governo italiano – commenta De Filippi – dimostra un atteggiamento schizofrenico. Ma come è possibile pensare all’esternalizzazione dei campi in Tunisia o in Egitto? Questa è una tragedia della politica europea, Italia inclusa. Pretenderei dal mio governo che alzasse la voce per avere un atteggiamento diverso. Non è possibile che tutto ricada su Svezia e Germania, non si possono lasciare 1.500 mila profughi in Turchia, e lo dico anche per il bene degli italiani». «Ci rendiamo conto bene, come organizzazione, che non è mai accaduta dal dopoguerra un’emergenza umanitaria numericamente così consistente ma non ci sono motivi per sperare che nel breve periodo vada meglio. Oggi ci sono anche 400 mila sfollati interni in Libia. Anche loro aumentano. Non si può far finta di nulla».

Anche rispetto alle ipotesi che circolano in questi mesi, basate su quanto trapela dal piano strategico del Commissario Avramopolous e all’idea di resettlement dei profughi, De Filippi si mostra preoccupato: «come organizzazione non ne abbiamo ancora discusso approfonditamente – dichiara – ma mi inquieta l’idea che venga fatto un “triage” sulle persone, che si possano selezionare i profughi non in base ai loro bisogni ma a quelli dell’economia del paese che accoglie. Prendiamo il caso di un Paese ricco, come la Norvegia. Un territorio vastissimo e popolato da 4,5 milioni di persone. Una ricchezza media pro capite elevata, un welfare che funziona, insomma un mondo ricco. Beh, la Norvegia si è dichiarata disponibile a prendere 1000 – mille – persone, meglio se Siriani e meglio se laureati e pronti a entrare nel tessuto produttivo del Paese». «In frangenti come questo – dichiara il Presidente – divento orgoglioso di essere italiano, non so ancora se sia perché siamo costretti o forse per la nostra cialtroneria, ma almeno non facciamo queste cose. E mi viene da pensare a quelli che un secolo esatto fa scappavano dall’Italia per la guerra: dai racconti che mi sono giunti, c’era maggiore solidarietà ed era impensabile che, ad esempio, il sindaco di un Comune selezionasse chi poteva partire e chi no in base alle competenze o alle professionalità. Oggi, invece, sembra che l’Europa voglia chiedere questo. Sarò un illuso ma resto convinto che o si prende il toro per le corna, si interviene nelle situazioni critiche con un impegno di politica internazionale, di cooperazione e sviluppo, vero antidoto alle guerre, o i problemi ci torneranno addosso. Occorre – secondo De Filippi – cambiare politica estera, far entrare in Europa quella parte risibile che lo desidera attraverso canali sicuri e investire oculatamente, non pensando – come si è fatto in tanti anni – solo ai nostri affari ma agli effetti positivi che si potrebbero produrre con una politica sana, in cui i soldi non vengano buttati ma utilizzati con competenza. Noi come MSF lavoriamo senza sostegni statali, potremmo anche non pensare a questo ma ci siamo permessi e continueremo a farlo, anche in sede europea, di strigliare i governi singoli e le istituzioni continentali perché non è possibile continuare con questa assurda timidezza politica. Dieci anni fa, però, c’era maggiore indignazione e capacità di mobilitarsi, con un numero di migranti e rifugiati infinitamente minore. Io non riesco, o meglio non voglio capire, perché oggi questo non accade».

Stefano Galieni