Rom-Anzi

I rom “a casa loro”

Sergio Bontempelli - 6 Aprile 2015

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Abbiamo già parlato, in un articolo di un paio di settimane fa, del film Fuori Campo del regista Sergio Panariello. Si tratta – lo ricordiamo per i nostri lettori più «distratti» – di quattro racconti che si intrecciano, quattro storie di altrettante famiglie rom che vivono non nei «campi», ma in veri e propri alloggi in muratura.

Un contesto inusuale, quindi: e non certo per i rom, che nella loro storia hanno sempre vissuto in case «vere» e che solo una cattiva politica (prevalentemente italiana, ma non solo italiana) ha costretto nei campi-sosta, nei terreni, nelle roulotte o nelle baracche ai margini delle città. Il contesto è inusuale, semmai, rispetto ai nostri pregiudizi, rispetto all’equazione rom=nomadi così radicata nel nostro immaginario collettivo.

E invece, sono moltissimi i rom e i sinti che abitano in alloggi “convenzionali”, o perché sono usciti dai campi, o perché una baracca non l’hanno mai vista in vita loro. Tra l’altro, il bel film di Sergio Panariello non è l’unico a raccontare questo mondo.

«Cittadini dell’Italia che verrà»
Un paio di anni fa, l’Associazione 21 Luglio ha promosso la campagna Rom, cittadini dell’Italia che verrà, per raccontare appunto le storie di chi vive, per così dire, «tra quattro mura». L’iniziativa ha prodotto alcuni brevi video, in cui i diretti interessati descrivono la loro vita quotidiana, i loro sogni e le loro passioni. Qui sotto, a titolo di esempio, vi proponiamo una di queste storie: quella di Gladiola, una giovane studentessa di Cosenza che frequenta un istituto superiore della sua città.

 

Gladiola non muore dalla voglia di entrare in classe: non perché è rom, né perché «gli zingari non mandano i figli a scuola» (altro stereotipo duro a morire), e nemmeno perché ha una «cultura orale» contrapposta alla «cultura scritta» delle istituzioni educative. Molto più semplicemente, Gladiola è adolescente e, come tutte le adolescenti di questo mondo, preferisce uscire con le sue amiche: la lezione sul ruolo dell’intellettuale nell’Italia dell’Ottocento, che si intravede nel filmato, le appare decisamente noiosa. E ad essere sinceri è difficile darle torto…

La giovane sogna, da grande, di fare la commercialista, e sta già prendendo contatti con l’Università per iscriversi, una volta diplomata, a Economia e Commercio. «Mi piace giocare con i numeri, mi è sempre piaciuto sin da piccola», spiega nelle ultime battute del video. A vederla nei diversi fotogrammi – a scuola mentre segue la lezione, nei corridoi con le sue amiche, e poi mano nella mano col fidanzato, sulla spiaggia – non sembra davvero «zingara». Perché gli «zingari» esistono solo nelle nostre fantasie: nella realtà vera, quella di tutti i giorni, esistono i rom e i sinti, che non hanno nulla di esotico, nulla di arcaico, nulla di strano

«Voci fuori campo» dalla Toscana
Alcuni anni fa, il giovane regista lucchese Matteo Marabotti aveva prodotto, assieme alla Caritas diocesana, un film con un titolo quasi identico a quello di Panariello: Voci fuori campo. L’iniziativa era nata a conclusione di un ampio progetto, promosso appunto dalla Caritas, e finalizzato all’inserimento abitativo di un gruppo di sinti. I protagonisti del video sono i ragazzi più giovani, che raccontano la loro fuoriuscita dal campo e il loro ingresso in alloggi «normali».

Purtroppo, il film è quasi introvabile, ma ci auguriamo che prima o poi il regista lo renda disponibile su internet: si tratta infatti di uno dei migliori lavori cinematografici sul tema rom. I ragazzi, tutti adolescenti o preadolescenti, hanno vissuto il repentino passaggio dalla marginalità all’inclusione: possono dunque guardare al «campo nomadi» con cognizione di causa (perché ci hanno abitato per anni), ma anche con il necessario distacco.

Daigoro, uno dei giovani intervistati, si sofferma a lungo sulla sua esperienza. «Se stai in casa hai gli amici – spiega – invece se stai al campo per loro [cioè per i compagni di scuola] sei uno zingaro sporco e nient’altro». Torna il tema dello zingaro, cioè dell’immagine generalizzante che l’opinione pubblica ha del mondo rom: «Per conoscere i sinti – dice Daigoro con semplicità disarmante – bisogna conoscerli uno a uno, perché non sono tutti uguali… non puoi fare di ogni erba un fascio, perché ognuno ha un suo cuore diverso dall’altro…».

Il campo – dicono i ragazzi intervistati – non deforma solo la percezione dell’opinione pubblica: è anche, e forse soprattutto, un luogo dove si vive male e si cresce male. «Il campo nomadi… – borbotta ancora Daigoro, quasi parlando tra sé e sé – ci vivi tutti insieme… si sta tutti insieme… è un casino starci… perché non sei libero di fare quello che vuoi, non hai la tua privacy. E poi a stare in un campo bruci le tappe, non cresci come tutti gli altri ragazzi… diventi furbo subito… ci sono tante cose che… è un casino spiegarlo».

Liliana, dalla Romania all’Italia
Sempre l’Associazione 21 Luglio ha girato un breve video sulla storia di Liliana, una rom rumena passata anch’essa dal campo alla casa: potete vedere il filmato qui sotto. Liliana racconta lo sgombero dell’insediamento in cui abitava. «Quando mio figlio è tornato da scuola e ha visto che il campo non c’era più, mi ha chiesto “e dove andiamo stasera? Dove sono i miei libri? Hanno preso i miei libri…”. Questo mi ha detto mio figlio».

La storia di Liliana è un po’ diversa da quella dei sinti di Lucca. Se questi ultimi sono italiani da generazioni, la protagonista del video della 21 Luglio viene dalla Romania, ed è arrivata da pochi anni in Italia. La sua storia, in compenso, è analoga a quelle di tanti immigrati.

Il marito era arrivato qualche anno prima a cercare fortuna: era rimasto sette anni, lavorando e inviando un po’ di risparmi a casa. «A un certo punto è nata la nostra ultima figlia – spiega – e allora ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso: o divorziamo, o la famiglia rimane unita, e troviamo il modo di vivere insieme». Così, Liliana ha deciso di raggiungere il marito, e per qualche tempo la coppia è andata ad abitare in uno dei tanti campi cosiddetti «abusivi». Perché «non c’era altro posto dove andare», e non certo per un istinto nomade…

«Non è vero che i rom vogliono stare dentro un campo. Perché quando la sera sei stanco, torni a casa e vuoi farti una doccia e poi andare a dormire, non pensi che la polizia magari viene a fare lo sgombero: dentro una casa sei sicuro che nessuno viene a mandarti via».

Sergio Bontempelli