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15 aprile 1947

Rudi Ghedini - 12 Aprile 2015

JackRobinson-CorrImm«Color Line» la chiamano: la barriera del colore, negli Stati Uniti, è quella che separa le razze, invisibile quanto concreta, nei suoi effetti discriminatori. Sport dopo sport, si è venuto a formare un calendario di momenti dirompenti, le date in cui quella barriera è stata abbattuta.
Il 15 aprile 1947 rappresenta uno dei passaggi più traumatici: Jack Roosevelt Robinson è il primo afroamericano a scendere in campo nelle Major Leagues del più amato sport statunitense. Accade nel mitico Ebbets Field di Brooklyn: Jackie Robinson indossa la maglia dei Brooklyn Dodgers, che affrontano i Boston Braves. Veniva da un contratto con i Kansas City Monarchs, che disputano le Negro Leagues, i campionati riservati agli afroamericani.

Branch Rickey, general manager dei Dodgers, è stato chiaro: Robinson deve aspettarsi insulti e provocazioni nel corso di ogni partita, dimostrarsi abbastanza forte da sopportarli senza reagire e senza che questi pregiudichino le sue prestazioni. Tiene un grande ritratto di Lincoln nel suo ufficio di Brooklyn, ma Rickey è troppo scaltro per condurre una guerra di religione: rifiuta ogni tentativo di dipingerlo come una sorta di crociato dei diritti civili, dice che nell’ingaggiare Robinson ha pesato solo una scelta tecnica, per vincere più partite. È lui a convincere il giocatore che il suo coraggio sarà stato misurato sull’autocontrollo, sulla capacità di non reagire alle provocazioni. Sul porgere l’altra guancia. «La vicenda di Jackie Robinson testimonia la forza che ha il puro e semplice coraggio personale nel modificare la storia e trasformare gli avversari in ammiratori».

Gli gridano «sporco negro», riceve minacce di morte, alcuni compagni di squadra chiedono il suo allontanamento. Nella sterminata aneddotica sull’epopea di Robinson, spicca una frase di Pee Wee Reese, fra i primi compagni di squadra a prendere le sue parti: «Puoi odiare un uomo per molte ragioni. Il colore non è una di queste». Per rispondere agli insulti lanciati dai tifosi di Cincinnati contro Jackie, Reese attraversa il campo e mette ostentatamente il braccio sulle spalle di Robinson: episodio immortalato con una statua esposta nel 2005 al Keyspan Park di Coney Island.

Robinson-DUENella Seconda Guerra Mondiale i soldati Usa indossavano la stessa uniforme ma prestavano servizio, dormivano, mangiavano e combattevano in unità separate; nel triennio in cui si sviluppa l’impegno diretto contro Stati totalitari e razzisti, almeno 21 cittadini neri vengono linciati in Alabama, Mississipi, Georgia e Louisiana. Quando, nel 1948, il National Party prende il potere in Sudafrica, per definire i dettagli della segregazione razziale, gli è facile prendere a modello il Sud degli Stati Uniti, con il sistema dei cartelli – «Whites Only» – bene in vista nelle scuole, nei bagni pubblici, nei ristoranti, sugli autobus, nei cinema, nelle chiese. L’irruzione del primo afroamericano nelle Major Leagues avviene in quel contesto.
Da tenente dell’esercito di stanza a Fort Hood (Texas) nel 1944 Robinson viene deferito alla corte marziale dopo un odioso episodio di razzismo, sopra un autobus, quando si è rifiutato di spostarsi qualche fila più indietro: nell’interrogatorio, si sarebbe dimostrato «insubordinato, irrispettoso e scortese».
Selezionato sei volte per l’All-Star Game – la partita fra le Leghe professionistiche nordamericane, in cui il pubblico seleziona i migliori giocatori – Robinson diventa uno dei leader dei Dodgers, che vincono ripetutamente la National League, venendo sempre sconfitti nelle World Series (le finali del campionato) dai New York Yankees, che ancora non hanno aperto le porte agli afroamericani (lo faranno solo dieci anni dopo). Finalmente nel 1955, i Dodgers riescono a conquistare il titolo, sconfiggendo i soliti Yankees.

Nel maggio 1950, il volto orgoglioso di Jack Roosevelt Robinson campeggia sulla copertina della rivista «Life»; nel 1999, «Time Magazine» lo inserisce fra le 100 personalità più importanti del Ventesimo secolo. Fuori dal campo, diventa un imprenditore di successo e un attivista del Partito Repubblicano: sostiene Richard Nixon contro Kennedy nel 1960, e Nelson Rockefeller come governatore dello Stato di New York. Dal 1997 – 50esimo anniversario dell’esordio – il 15 aprile si celebra il «Jackie Robinson Day». La casacca numero 42 è stata ritirata da tutte le squadre delle Major Leagues.
Per saperne di più, consiglio il volume di Scott Simon, Il mio nome è Jackie Robinson, pubblicato in italiano da 66thA2nd. Negli Usa è uscito un film intitolato 42: Chadwick Boseman è Jackie Robinson, Harrison Ford interpreta Branch Rickey, ma nelle nostre sale non è mai uscito.

Rudi Ghedini