Fortezza Europa

Come muore il diritto d’asilo

Fulvio Vassallo Paleologo - 12 Aprile 2015

asilodublinoNaufragio permanente per i migranti abbandonati o respinti nelle acque del Mediterraneo, ma anche naufragio dell’Europa, incapace di aprire canali umanitari e chiusa tra le mura della sua Fortezza. L’ultima tragedia davanti alle coste di Alessandria d’Egitto, con centinaia di morti e dispersi. Sembra che l’imbarcazione carica di migranti fosse ancora molto vicina alla costa. In passato la guardia costiera egiziana ha sparato su altre navi in fuga verso l’Europa, che si compiace per come l’Egitto collabora nella “lotta contro l’immigrazione illegale”. In maniera simile si è comportata la Guardia costiera turca facendo affondare, il 12 marzo scorso, una piccola imbarcazione nello stretto di Canakkale, nei Dardanelli, causando la morte di sette migranti. Si muore sempre più spesso tra la Turchia e la Grecia, dove ci si imbarca su piccoli natanti (7 -8 metri) per sfuggire ai controlli che bloccano le navi più grandi. Sulla rotta dall’Egitto verso l’Europa anche i trafficanti affondano le imbarcazioni cariche di migranti, quando questi si rifiutano di farsi trasbordare su altri mezzi, inadatti per proseguire la traversata.

Giovedì 9 aprile una nave con altre centinaia di migranti, partita probabilmente dalla Libia o dall’Egitto, ha raggiunto la costa sud di Creta dopo avere rischiato di naufragare. Ad oggi non si hanno notizie sulla sorte dei profughi. Il Regolamento Dublino potrebbe intrappolarli in Grecia, di certo li consegna a un destino di migranti irregolari. Chi parte deve mettere in gioco la propria vita e accettare una condanna alla clandestinità ed allo sfruttamento.

Una soluzione sarebbe quella della sospensione del Regolamento Dublino III, che stabilisce che sia il primo stato d’ingresso nell’UE quello deputato a esaminare le domande di asilo. Poche le deroghe, applicate in modo sempre più restrittivo, al punto da costringere i richiedenti asilo – ma solo chi ha i mezzi per pagarsi un ricorso – a rivolgersi ai giudici. Molti, per evitare di essere confinati per anni in campi di raccolta, dove si rimane schiacciati dalla burocrazia e dal malaffare, tentano percorsi sempre più pericolosi per raggiungere direttamente i paesi nord europei.

Alcuni stati, come la Grecia, malgrado il cambio di governo, di fatto non rispettano gli obblighi imposti dalle Direttive e dai Regolamenti in materia di protezione internazionale; in altri, come l’Italia, si ricorre al prelievo violento delle impronte digitali, in base a una circolare ministeriale e a un allegato che lo stesso Ministero dell’Interno nega alle autorità europee, che ne vorrebbero verificare la legittimità. Per chi rimane in Italia si prospettano mesi, se non anni di abbandono in centri di accoglienza che, ancora, rimangono saldamente nelle mani di chi ne ha fatto strumento di speculazione.

L’Unione Europea riesce soltanto a inasprire le politiche di esternalizzazione dei controlli migratori: il lavoro sporco si affida ai regimi nordafricani. L’Algeria, che partecipa ai vertici romani – l’ultimo si è svolto pochi giorni fa – arresta centinaia di migranti nel sud, ai confini con la Mauritania, il Mali e il Niger e non concede alcuna chance di chiedere asilo. Ormai i bastioni d’Europa sono arrivati fino al Sahel.
Anche l’Italia vuole coinvolgere i paesi di transito “nel salvataggio dei migranti” in pericolo nelle acque del Mediterraneo. Questi stati potrebbero essere tirati in ballo anche per le operazioni di ricerca e soccorso in acque internazionali. Ma dove li sbarcheranno? Con le azioni “congiunte” di salvataggio riusciranno a camuffare nuove forme di respingimento collettivo?
Occorrono corridoi umanitari subito. Nei primi due mesi di quest’anno siamo arrivati a oltre 450 morti rispetto ai 46 degli stessi due mesi del 2014, quando c’era la missione Mare Nostrum. Se sono più rare le notizie di stragi di persone che si sono imbarcate dalla Libia è solo perché le partenze da quel paese nel mese di marzo sono diminuite, ma le persone continuano a morire, sempre più lontano dall’Europa della paura e dell’odio verso i migranti. Le azioni umanitarie dei singoli paesi, o dei privati, come l’operazione MOAS, non bastano più: occorre un diverso impegno degli stati, oltre TRITON, oltre FRONTEX, vere missioni di salvataggio in mare.

Ormai sono sempre più battute le rotte orientali: attraverso la Bulgaria, la Serbia e l’Ungheria cercano di passare intere famiglie, costrette a partire dal proprio paese a causa di guerre e conflitti interni, alimentati dalle contraddizioni sempre più evidenti nelle politiche estere degli stati più ricchi del mondo.
La Bulgaria ha costruito un nuovo muro al confine con la Turchia, con l’avallo delle autorità europee ed il beneplacito di Frontex. Da mesi protesta anche l’Unhcr, ma nessuno da Bruxelles reagisce con sanzioni nei confronti di Sofia, che dal 2013 porta avanti il suo progetto di fortificare la frontiera.

Alcune vicende sono state  raccolte in un documento del 31 marzo, di cui riporto stralci, in cui si chiede l’apertura di un’inchiesta: «L’Unhcr continua a raccogliere testimonianze da parte di persone in cerca di protezione internazionale a cui è stato negato l’ingresso, che sono stati “respinti” o che hanno subito violenze alle frontiere esterne dell’Unione Europea. L’Agenzia esprime preoccupazione per un recente incidente avvenuto all’inizio di questo mese presso la frontiera terrestre tra Bulgaria e Turchia, nel quale due uomini iracheni hanno perso la vita. Secondo le informazioni ricevute, 12 iracheni, appartenenti alla minoranza Yazida, che stavano cercando di entrare dalla Turchia, sono stati fermati dalle guardie di frontiera bulgare. Gli iracheni sono stati privati dei loro beni e duramente picchiati. Il gruppo è stato disperso e due degli uomini, che avevano subito lesioni gravi, sono morti per ipotermia sul lato turco del confine. Secondo quanto è stato riferito, una terza persona, che viaggiava con il gruppo, è stata portata in condizioni critiche in un ospedale di Edirne, dopo che la Gendarmeria Turca era stata allertata ed aveva effettuato un’operazione di ricerca delle vittime». Sempre secondo l’Unhcr: «Avendo poche alternative legali per entrare in Unione Europea, molte persone in fuga da conflitti e persecuzioni scelgono percorsi sempre più pericolosi, affidandosi ai trafficanti per cercare la salvezza. È profondamente preoccupante che le persone in cerca di protezione internazionale vengano respinte, spesso attraverso l’uso della violenza. […] La Bulgaria ha in progetto di aggiungere altri 82 km di recinzioni di filo spinato all’attuale recinzione di 33 chilometri, costruita nel 2014 in risposta all’aumento degli arrivi irregolari, per la maggior parte provenienti dalla Siria. Gli sforzi per ridurre il numero di arrivi irregolari e di richiedenti asilo in Bulgaria hanno avuto un risultato significativo nel 2014, quando gli arrivi sono diminuiti di quasi il 50% rispetto all’anno precedente. Secondo le autorità bulgare, oltre 38.500 persone hanno tentato di attraversare irregolarmente la frontiera con la Turchia nel 2014. Di questi, circa 6.000 – per lo più siriani, afghani e iracheni – hanno raggiunto la Bulgaria, un calo significativo rispetto ai 11.500 arrivi irregolari (su oltre 16.700 tentativi) registrati nel 2013».

L’allarme dell’Alto Commissariato non riguarda solo la Bulgaria. «In altre circostanze, l’Unhcr ha espresso preoccupazione per le notizie di alcune misure di controllo praticate alle frontiere che potrebbero mettere a rischio rifugiati e migranti, in particolare in Grecia […]. L’Unhcr rivolgerà le sue raccomandazioni al nuovo governo greco, proponendo miglioramenti su diverse questioni relative alla protezione dei rifugiati, tra cui una gestione delle frontiere che tenga conto delle esigenze di protezione di rifugiati e richiedenti asilo».
Ma oggi la “civile” Europa blinda anche le frontiere orientali, incurante delle violazioni dei diritti umani che si verificano in paesi come l’Ungheria e la Repubblica Ceca, nei quali stanno prevalendo movimenti e partiti xenofobi che strappano tutti i giorni la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Occorre quindi monitorare sia quanto accade nel Mediterraneo che ai confini orientali dell’U.E. e intervenire sugli stati che non rispettano il diritto dell’Unione Europea e le Convenzioni internazionali.

Fulvio Vassallo Paleologo
Clinica legale per i diritti umani (CLEDU)
Università di Palermo