Xenofobia

L’apartheid del Sol Levante

- 24 Aprile 2015

Romanziera e saggista famosa in tutto il mondo, tradotta in molte lingue – italiano compreso – Ayako Sono è una personalità influente fra i conservatori giapponesi. Consulente per molto tempo dell’attuale premier Shinzo Abe, ha recentemente alzato un livello di polemica che farebbe invidia ad alcuni leader europei.
Parlando della necessità che anche il Giappone si apra all’immigrazione e consapevole che, data l’elevata età media, quel 2% di migranti attualmente presenti non è in grado di garantire le attività produttive necessarie al colosso asiatico, l’ottantenne signora ha affermato dalle pagine del quotidiano Sankei Shinbun (su cui ha una rubrica fissa) che: «Gli stranieri che appartengono a razze e culture diverse non debbono vivere assieme in mezzo a noi. Debbono restare in qualche modo separati. Per quello che ho potuto verificare a suo tempo, il sistema che era in vigore in Sudafrica andrebbe benissimo. Bianchi, asiatici e neri non possono vivere assieme».

L’articolo, apparso in concomitanza con la festa nazionale dedicata alla fondazione della patria – reintrodotta dal premier dopo essere stata a lungo sospesa – ha creato numerose reazioni. Durissime, ovviamente, quelle dell’ambasciatore della Repubblica Sudafricana a Tokio Mohau Poko, che ha inviato una lettera carica di indignazione a tutti i giornali nipponici. Il governo ha reagito con evidente imbarazzo. Un saggio della scrittrice, ancora non tradotto all’estero, basato sul principio di “verità e onestà” (che parte da concetti di stampo medievale come l’importanza del legame di sangue con l’imperatore) quest’anno è stato introdotto come testo obbligatorio nelle scuole medie dell’impero.

Ma, al di là delle reazioni ufficiali, la legislazione giapponese in materia è legata molto al timore, diffuso nel Paese, di una perdita di identità. Un’identità artificiale, di fatto basata su una presunta unicità razziale. Gli stranieri residenti – molti sono già di seconda e terza generazione – devono fare una scelta se vogliono stabilirsi: o chiedere la cittadinanza, dovendo scegliere però un nuovo nome giapponese, oppure restare apolidi, senza passaporto, con l’obbligo di rinnovare perennemente il permesso di soggiorno come fossero di passaggio. Diffuse anche le violenze fisiche e gli attacchi razzisti da parte di formazioni paramilitari di destra, che vorrebbero cacciare gli “stranieri privilegiati”. Il paragone con la situazione italiana diviene scontato. Da noi ancora non si teorizza l’apartheid, ma la legislazione in materia di cittadinanza e inclusione non è poi troppo distante e la violenza xenofoba non ci è certo estranea.