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8 maggio 2011

Clelia Bartoli - 12 Maggio 2015

razzisti per legge«Il lavoro è durissimo, come spiega un giovane arruolato nella Guardia Costiera […] Il momento in cui si intercetta il natante è quello più delicato perché l’eccitazione dei migranti alla vista dei salvatori può essere fatale: i barconi in genere sono malandati trabiccoli, traboccanti di passeggeri, e basta che alcuni si muovano repentinamente a farli ribaltare […] Con il mare grosso, a volte, i finanzieri e i marinai della Guardia Costiera fronteggiano le onde con piccoli gommoni per recuperare i dispersi, altre volte saltano sull’imbarcazione che sta colando a picco per aiutare i migranti a salire sulla motovedetta […] Tra le imprese più memorabili vi è senz’altro quella dell’8 maggio 2011. Era notte piena, si era appena concluso un estenuante sbarco di 842 persone salpate da Tripoli. Coloro che avevano eseguito il salvataggio stavano finalmente per rincasando quando hanno sentito delle urla dietro una collinetta nei pressi del porto. Hanno preso a correre e si sono trovati un peschereccio gremito di migrati incastrato negli scogli: si era rotta la catena del timone appena prima di entrare un rada. La notizia, anche se non era ancora l’alba, si è sparsa veloce e sono arrivati tutti: le diverse forze dell’ordine, gli abitanti dell’isola, gli operatori delle organizzazioni umanitarie e i giornalisti. I coraggiosi si sono gettati in acqua per afferrare i bambini che venivano lanciati dalla nave affinché fossero i primi a essere messi in salvo. Poi è la volta degli adulti. Una catena umana soccorre e assiste: 527 vite salvate, 3 quelli che non ce l’hanno fatta i cui cadaveri sono stati rinvenuti il giorno dopo.
Il giovane tenente Davide Miserendino, a capo di molte operazioni, racconta: «Io mi sono buttato d’istinto ma sapevo che potevo contare su un carabiniere o un poliziotto dietro di me che mi avrebbero dato una mano. Sono passate tre ore e mi sono parsi due minuti. In quei momenti non si pensa a nulla ma si finisce per fare cose incredibili: immagina che mi è caduta addosso una donna incinta che poteva essere di 150 chili e un collega ha recuperato me con una mano e la donna con l’altra. Siamo stati premiati dal presidente della Repubblica, lui era commosso; ma secondo me chiunque lo avrebbe fatto, non puoi non farlo».
Ecco che ancora una volta viene riproposta la tesi della forza dell’istinto. Io credo che anche in questo caso vi sia dell’altro. L’impulso umanitario non può darsi per scontato perché in contesti diversi le reazioni risultano essere assai dissimili. Va detto che, mentre questi valorosi salvavano vite, tanto nel Cspa di Lampedusa che in altri centri sul territorio nazionale – secondo le denunce di organizzazioni umanitarie e di diversi migranti – si sarebbero verificati abusi e violenze da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine».

Clelia Bartoli

Clelia Bartoli è docente dei Diritti Umani nella facoltà di Giurisprudenza a Palermo; il suo Razzisti per legge è stato pubblicato da Laterza nel 2012