Storie

Ilunga Mwepu, chi era costui?

Nando Mainardi - 12 Maggio 2015

mwupaHo saputo tramite un post che è morto – all’età di 66 anni – Ilunga Mwepu. Poiché credo di essere l’unico individuo sulla faccia della terra ad avere scritto un libro di racconti e raccontini sul calcio, (Ossessione Calcio), di cui uno dedicato appunto ad Ilunga Mwepu, lo ripropongo qui per salutarlo. Ciao Ilunga. Spero che tu sia in questo momento da qualche parte a continuare a sbagliare i calci di punizione…

Ilunga Mwepu

Ebbene sì: sono proprio io, sono Ilunga Mwepu.
Ma come…Ti trovo un po’ disorientato.
Mi aspettavo che tu, attento conoscitore delle cose calcistiche, mi riconoscessi.
Invece no.…
Come ho detto che mi chiamo?
Ilunga Mwepu!
Si scrive proprio Ilunga. Testuale.
Capito?
Ilunga Mwepu.

Forse non ti ricordi di me perché, con il tempo, sono diventato solo una barzelletta; un ricordo lontano che strappa sempre la sua risata ma che – un attimo dopo – viene riposto nel cassetto delle cose dimenticabili; un link di youtube da guardare per rivedere quanto era scemo quello.
Quello, che poi sarei sempre io.
Ora ti rinfresco la memoria: Brasile-Zaire, mondiali del 1974.
Ultimi minuti di gioco, calcio di punizione assegnato al Brasile, all’altezza della trequarti dello Zaire.
Punteggio: tre a zero per i brasiliani.
Si dispone la barriera, e c’è il grande Rivelino che attende il fischio per calciare.
Hai presente Rivelino?
Una delle ali sinistre più grandi della storia del calcio, dal tiro micidiale.
Campione del mondo con la formidabile formazione carioca del 1970 a soli diciannove anni, non so se mi spiego.
Sto divagando: Rivelino, in questa vicenda, è solo una comparsa, c’entra poco.
Ad un certo punto, parte dalla barriera dello Zaire un pirla che – senza nessun fischio – corre e calcia la punizione tirando verso il centrocampo.
Punizione, sottolineo, assegnata al Brasile, non allo Zaire.
L’arbitro, come si suol dire severo ma imparziale, lo ammonisce mentre Rivelino ridacchia.
Ecco, quel pirla – che indossava la casacca numero due dello Zaire – ero sempre io.
Perché l’ho fatto?
Perché, fratello, la vita non è fatto solo di obbedienza, di regole da seguire senza fiatare, di conformismo.
E io, da ribelle, da bohémien del calcio, ho deciso di trasgredire.
Le convenzioni sono fatte per essere abbattute, basta che qualcuno trovi il coraggio e l’incoscienza per farlo…

Magari fosse andata così, fratello.
Magari fosse stata solo una mia follia.
Vuoi la tutta verità?
Eccola: Mobutu, il dittatore sanguinario del mio paese, ci aveva detto che, se avessimo preso più di tre gol dal Brasile, ci avrebbe giustiziati.
Se lo diceva Mobutu, c’era da credergli: aveva mandato a morte decine di migliaia di donne e di uomini.
Cosa cambiava, per lui, aggiungerne altri undici?
Eravamo sul tre a zero, e quando Rivelino si è posizionato vicino al pallone ho perso totalmente la testa.
Ho iniziato a correre come un disperato e ho calciato.
So di aver fatto la figura da pirla per l’eternità.
Ma il mio gesto è servito: ha innervosito Rivelino, che poi ha calciato malissimo.

Spesso, in questi anni, i giornalisti mi hanno chiesto di rievocare quel lontano episodio. Ma a te voglio dire una cosa che non ho mai detto a nessuno.
Quando ho calciato la punizione ad occhi chiusi, ho immaginato di dare un calcio al regime, ai militari, a quel bastardo di Mobutu.
Violare quella semplicissima norma calcistica mi ha dato, per un istante, la sensazione di spezzare le catene della dittatura.
Ero pirla, fratello.
Mica scemo.

Nando Mainardi