Arte contemporanea

Il Kenya alla Biennale, ultimo atto

Stefania Ragusa - 12 Maggio 2015

10420368_10152750352927343_8989640141079721259_nRicordate la vicenda del padiglione kenyota pieno zeppo di cinesi che avrebbe dovuto partecipare alla 56° Biennale d’Arte di Venezia? Valentina Maka ne aveva parlato su queste pagine poche settimane fa. Adesso vi raccontiamo come è andata a finire. Pochi giorni dopo la raccolta di firme lanciata da un gruppo di intellettuali attraverso Change.org, il Segretario di gabinetto per lo Sport, Arte e Cultura, Hassan Waro Arero, ha convocato una conferenza stampa, ostentando stupore e indignazione per la situazione che si era venuta a creare. Ha sconfessato il team guidato da Paola Poponi e Sandro Orlandi e preso le distanze annunciando un’indagine e promettendo un impegno diverso per il 2017.
Passano ancora pochi giorni e, attraverso una mail partita dall’ufficio stampa della Biennale e dal tono piuttosto informale, il gruppo dei cosiddetti “impostori” è venuto a sapere che il governo kenyota aveva deciso di ritirare la propria partecipazione all’evento. A quel punto, a Roma, è stata indetta una nuova conferenza stampa, a cui ha preso parte anche Armando Tanzini, il business man con doppia cittadinanza italo-kenyota che compariva tra gli artisti e che da subito era stato indicato come il principale regista dell’operazione. Tanzini e soci hanno giustificato le loro scelte e raccontato la loro versione. Insistendo, in particolare, sul fatto che il governo kenyota fosse a conoscenza di tutto e avesse loro assegnato l’incarico. Lo stupore di Waro Harero, già inizialmente piuttosto improbabile, appariva a questo punto decisamente posticcio.
Mancava però ancora una prova decisiva. Ossia la lettera di incarico per la partecipazione alla Biennale (che inutilmente anche noi avevamo chiesto agli uffici veneziani). La lettera, alla fine, è venuta fuori. E conferma le pegiori previsioni. Ossia, la partecipazione, sin dall’inizio, del governo kenyota a questo pasticcio. La lettera (la vedete in apertura), datata 10 novembre 2014 e indirizzata al presidente della Biennale, Paolo Baratta, esplicita l’incarico di “commissioner” assegnato a Paola Poponi ed è partita dal ministero dello Sport, della Cultura e delle Arti, quello in cui Waro Harero risulta essere segretario di gabinetto.
Il tango, insomma, si balla sempre in due, anche quando sullo sfondo rimane la laguna di Venezia. Agli artisti kenyoti e all’arte del Kenya stava per essere fatto un tiro mancino. E bene hanno fatto i diretti interessati a sollevarsi. Ma c’è un altro aspetto, poco evidenziato sin qui, che non dobbiamo trascurare. Anche al pubblico della Biennale stava per essere fatto un grosso torto. Perché chi si spinge fino alla città lagunare giustamente aspira a confrontarsi con il meglio di quel che il mondo artistico propone a tutte le latitudini, non di essere coinvolto in operazioni che puzzano di marketing e di petrolio (la partecipazione alla Biennale è ambitissima dagli artisti perché fa lievitare le quotazioni e i bene informati sostengono che lo scambio cino-kenyota servisse a suggellare l’impegno cinese nell’estrazione del petrolio kenyota). Ampliando il discorso, ricordiamo che la rappresentazione mistificata dell’Africa non nuoce solo agli africani, ma anche a quanti (e oggi sono soprattutto europei) all’Africa potrebbero e vorrebbero guardare in cerca non di territori da sfruttare ma di spazi in cui dignitosamente vivere.

Stefania Ragusa