Provocazione

A nuoto, contro la Bossi-Fini

Stefano Galieni - 29 Maggio 2015

no-annegamentoSalvarsi dalla Bossi-Fini? L’unico modo è imparare a nuotare. Sono ormai 13 anni che le norme introdotte al testo unico sull’immigrazione, insieme alla legge stessa, rendono sempre più difficile regolarizzare la propria posizione per chi vive in Italia. La crisi ha reso ancora più arduo il percorso: da anni non ci sono più i “decreti flussi” che servivano di fatto a sanare la situazione di chi era già presente nel Paese, e sempre più facilmente capita che, perdendo il lavoro e non riuscendo a trovarne un altro regolare, si ritorni volontariamente o si sia costretti al ritorno in patria. Altre volte, invece, l’alternativa è solo quella di vivere nascondendosi e lavorando in nero.
Di governi in questi anni ne sono passati tanti ma nessuno ha mai realizzato l’obbiettivo di superare queste norme, peraltro penalizzanti per lo stesso mercato del lavoro. Accade in Italia.

Altrove, in Argentina come ad Hong Kong, invece, se sei presente irregolarmente oppure hai un visto per ragioni turistiche e trovi un lavoro, puoi facilmente tramutare il tuo titolo di soggiorno o regolarizzare la tua presenza sul territorio. Negli Usa – anche se con fatica – si vanno attuando riforme di legalizzazione delle presenze di cittadini stranieri senza titolo. Il problema è divenuto urgente in gran parte del mondo mentre in Italia ci si ferma alle sparate propagandistiche.

Poi ci sono i fatti concreti. Accade che, in una settimana, per ben due volte si scopra l’esistenza di “clandestini eroi”. A Roma una signora israeliana è stata salvata da un cittadino del Bangladesh, Sobuj Khalifa, mentre stava affogando nel Tevere. Pochi giorni dopo un fatto simile è accaduto a Firenze: protagonisti della vicenda sono Toufik Chtouki, cittadino marocchino, e un uomo di nazionalità francese precipitato nel fiume Arno. La retorica li ha incoronati come eroi, “clandestini buoni”, come eccezione all’interno di una categoria percepita e raccontata come di per sé portatrice di tutte le catastrofi nazionali.
A entrambi gli autori del salvataggio è stato (ovviamente) accordato un permesso di soggiorno valido almeno un anno, che permetterà loro di provare a trovarsi un’occupazione e costruirsi un futuro. Quindi, in assenza della volontà politica di cambiare una legge ritenuta fallimentare anche da chi materialmente l’ha scritta, mentre gli anni passano resta solo una ricetta: diventare eroi.

Un invito ai migranti privi di permesso di soggiorno: imparate a nuotare, possibilmente specializzatevi in tecniche di soccorso (non è facile portare a riva una persona in preda al panico da annegamento) e trovate il tempo di percorrere i tratti di fiume e di costa marittima più battuti dai turisti. Sta arrivando la stagione estiva, l’Italia ha circa 7500 chilometri di coste, molte si riempiono di bagnanti e i bagnini spesso scarseggiano. Allora ci si prepari a dovere, nella speranza che qualche solerte amministratore non trovi il tempo per chiedere un’inchiesta sul “racket dei salvataggi”. E se proprio il nuoto vi riesce difficile, niente paura: ci sono i sentieri di alta montagna, in cui tanti sprovveduti si improvvisano provetti scalatori salvo poi ritrovarsi in difficoltà; ci sono le tante aree in dissesto idrogeologico, in cui anche un normale temporale diviene catastrofe. Insomma di occasioni non ne mancano.
Ma a guardare bene, un’indagine sociologica anche superficiale potrebbe portare a una scoperta preoccupante. Quella per cui alcuni cittadini stranieri (non generalizziamo, per cortesia) potrebbero essere giunti nel Bel Paese per fare quello che gli italiani non sanno più fare, ovvero prestare soccorso al prossimo fregandosene delle conseguenze, del vestito che si bagna, del tempo che si perde in simili occasioni.

Insomma, a dimostrazione che non si vogliono integrare, persone come Sobuj e Toufik non si rassegnano all’indifferenza, al fatti gli affari tuoi. «Ma come? – viene da dire – l’Europa spende tanti soldi su Frontex per salvaguardare le frontiere e per non impegnarsi nel soccorso ai barconi che affondano, e questi arrivano e si mettono a salvare quelli di casa nostra? Anzi, addirittura salvano i turisti, il fiore all’occhiello della nostra economia? E poi come si fa a giustificare le campagne elettorali fondate sulla paura?». C’è da sperare che nei comuni in cui sono presenti coste marine, corsi d’acqua o specchi lacustri, a nessun amministratore venga mai in mente di emanare un’ordinanza di divieto di balneazione per i “clandestini”. Potrebbe anche accadere.

Stefano Galieni