Intervista

Samba pour la France

Gabriella Grasso - 29 Maggio 2015

CoulinSAMBAesec.inddCosa succede a uno straniero che vive e lavora in Francia da anni quando, non comprendendo bene i meccanismi burocratici del Paese di adozione, si fa “scoprire” dalle autorità senza permesso di soggiorno? Samba ha 30 anni ed è maliano: a lui succede che, da un giorno all’altro, si ritrova chiuso in un centro di detenzione, dal quale esce con un decreto di espulsione in tasca. La sua storia, pur somigliando molto a quella di tanti sans-papier, è finzione letteraria: la racconta la scrittrice e regista Delphine Coulin nel romanzo pubblicato in Francia nel 2011 e da poco in Italia, Samba pour la France (Rizzoli, euro 18). Da questo libro i registi Eric Toledano e Olivier Nakache, dopo il grande successo di Quasi amici hanno tratto il film Samba, con Omar Sy nei panni del protagonista e Charlotte Gainsbourg in quelli della volontaria Alice, che lo aiuta e con cui nasce un legame sentimentale (assente, però, nel libro). Il film, co-sceneggiato dalla stessa Delphine Coulin, è una commedia che sta in equilibrio perfetto tra realismo e leggerezza: pur raccontando senza sconti le condizioni di vita dei sans-papier in Francia, intrattiene il pubblico con una sceneggiatura leggera e con il sogno dell’amore interculturale. Il romanzo, invece, è il racconto ben più complesso, dettagliato e drammatico di cosa succede – nella vita di tutti i giorni e anche emotivamente – a chi vive in Francia da immigrato senza documenti. Ne abbiamo parlato con la scrittrice.

Vorrei iniziare proprio parlando del film: è soddisfatta di come il libro è stato “tradotto” in immagini? E perché è stato necessario modificare la storia?
«Sì, sono contenta dell’adattamento cinematografico. Il fatto di essere anche una regista, oltre che una scrittrice, mi ha permesso di affrontare questa avventura senza complessi: invece di pensare di fare una fotocopia del libro, impresa impossibile che dà sempre luogo a frustrazioni, avevo già chiaro che il film sarebbe stato un’altra cosa. Eric Toledano et Olivier Nakache, d’altra parte, mi avevano proposto chiaramente di trasformare Samba pour la France in una commedia. Quella di partire dalla stessa trama e dagli stessi personaggi, apportando dei cambiamenti per rendere la storia più leggera, era una sfida creativa interessante. Ed era anche un’occasione per sensibilizzare un tipo di spettatore che, altrimenti, non si interesserebbe a certi temi: ma che andando al cinema per divertirsi o per veder recitare Omar Sy, ne esce con la consapevolezza di come vivono gli immigrati senza documenti nel nostro Paese. Il fatto di aver lavorato come volontaria per tre anni con i sans-papier mi ha permesso di assicurare che ciò che viene detto su di loro è corretto e non edulcorato».

Infatti, proprio come Alice lei ha lavorato da volontaria alla Cimade (una storica istituzione francese che opera nel sociale, ndr). In che modo questa esperienza ha cambiato la sua vita e le sue idee sulla migrazione e sulla Francia di oggi?
«Quell’esperienza mi ha permesso di comprendere fino a che punto la vita dei migranti è difficile, e fino a che punto il nostro Paese si mette contro di loro. La maggior parte delle volte queste persone attraversano mari, deserti, Paesi di cui non conoscono la lingua: arrivano qui dopo un’odissea che li fa somigliare a eroi dell’era moderna. Questa è la prima cosa che mi ha colpito. Coloro che spazzano le nostre strade, differenziano la nostra spazzatura, servono nei nostri ristoranti, sono degli autentici avventurieri. E sono anche dei patrioti, che amano il nostro Paese, anche se la Francia gli rende la vita dura. Quando ho iniziato a lavorare alla Cimade non avevo idea che avrei scritto un libro; ma ogni settimana incontravo 4 o 5 sans-papier e scrivevo per loro la relazione da presentare al giudice per scongiurare l’espulsione. Questo lavoro di scrittura mi turbava profondamente. Così poco a poco ho iniziato a pensare a un libro e ho inventato il personaggio di Samba».

Alice afferma che il suo lavoro alla Cimade consisteva nel “tradurre dal francese al francese”: come a dire che il linguaggio della burocrazia non possiede – e non ha interesse ad acquisire – le parole per esprimere la condizione umana dei migranti. Crede sia questo il primo cambiamento che bisognerebbe fare: smettere di pensare alla migrazione semplicemente come a un problema di carattere amministrativo?
«Sì. La gente non prende davvero consapevolezza di quello che i sans-papier subiscono, se non quando ne conoscono le storie individuali. Dire che  25.000 di loro vengono espulsi dalla Francia ogni anno non commuove più nessuno. A tutti noi è capitato di vedere al telegiornale immagini atroci e di continuare tranquillamente a mangiare. Ma se si incontra una persona, ci si interessa alla sua storia, ci si affeziona a lei, allora il nostro sguardo può cambiare. È ciò che ho provato a fare con Samba. Poco a poco, da un incontro all’altro, la nostra percezione può evolvere, e così anche quella collettiva. Il linguaggio burocratico è una lingua  straniera… e lo è per tutti. Mi è capitato di dover rileggere più volte un testo della polizia o del tribunale, tanto le virgole poste male o il lessico utilizzato male rendevano le frasi incomprensibili. Può essere divertente, ma è tragico se non riesci a capire il significato di una decisione presa dalla giustizia che cambierà radicalmente la tua vita».

Lamouna, lo zio di Samba, regolarmente immigrato da decenni, dice che esistono due Paesi: la Francia dei diritti e una “guasta”. È così che lei la vede?
«Dai tempi della rivoluzione francese – che ha inventato i diritti dell’uomo – la Francia è sdoppiata: ce n’è una aperta, generosa e garante delle libertà, e una immobile, arroccata a difesa delle proprie conquiste, non disposta a condividerle».

Il libro è uscito in Francia nel 2011: come ha visto il suo Paese, e l’Europa, cambiare in questi ultimi 4 anni, sulla questione dell’immigrazione?
«Sfortunatamente la vita quotidiana degli immigrati senza documenti non è molto cambiata. Ma ciò che è migliorato è che non vengono più varate leggi liberticide. Prima del 2011 ce n’erano di nuove quasi ogni anno. Ora non è più così, abbiamo iniziato ad aprire gli occhi. E se un francese dà ospitalità a un sans-papier non commette più un reato».

Nel romanzo ci sono dei capitoli nei quali lei descrive la migrazione degli animali, come a voler sottolineare che la condizione migratoria è normale in natura: per gli animali, così come per gli uomini…
«In natura niente è immobile. Sarebbe impossibile trattenere le rondini dove sono nate, impedire loro di andare verso il sole quando ne hanno bisogno o a cercare cibo quando nel luogo in cui si trovano non ce n’è più. La terra gira e il movimento è vita. Se si aprissero le frontiere non ci sarebbe una massiva invasione di migranti: tutti gli studi lo confermano. Le persone che ne hanno bisogno verrebbero in Europa per lavorare e poi ripartirebbero. Nessuno lascia il luogo dove è nato, la propria madre e i propri figli senza il desiderio di tornare».

La frase che mi è piaciuta di più è questa, pronunciata da Samba: «Un giorno il dolore accumulato da tutti quelli che avete disprezzato e respinto intaserà questo posto e contagerà la vostra felicità. Intorno a voi si aggireranno anime erranti. Da quel momento la vostra felicità non potrà durare. Il mondo è uno solo». Vuole aggiungere qualcosa?
«Un giorno non potremo più essere felici se gli altri non lo sono. E sarà un bel giorno».

Gabriella Grasso