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Dell’Eritrea non si sa nulla

Chiara Zanini - 11 Giugno 2015

rwf Il World Press Freedom Index, ossia la classifica mondiale della libertà di stampa, viene  pubblicato una volta all’anno dall’organizzazione Reporter senza frontiere. La classifica è stilata in base a una griglia di criteri che vanno dal pluralismo al numero di abusi e aggressioni ai danni della stampa registrati in un determinato Paese. Le prime posizioni sono tradizionalmente occupate dai Paesi del nord Europa (Finlandia, Norvegia, Danimarca…), mentre nelle parti basse della classifica troviamo quelli in cui la democrazia è assente o particolarmente fragile. Fanalino di coda, anche quest’anno, è stato l’Eritrea, che  non può contare su un’informazione interna degna di questo nome e di cui si sa pochissimo anche a  livello internazionale. Eppure si tratta di uno dei principali “esportatori” mondiali di richiedenti asilo. In base ai dati dell’Unhcr, sarebbe al quarto posto (insieme con il Kosovo) e dopo tre stati dilaniati dalla guerra (Siria, Iraq, Afghanistan) di cui anche i nostri poco attenti quotidiani hanno finito col doversi occupare. Dell’Eritrea, dove ufficialmente non c’è nessuna guerra, non si occupa nessuno. Pur trattandosi di un’ex colonia italiana con cui sussistono forti legami commerciali, poco si conosce della repressione quotidianamente attuata da Isaias Afewerki.  Alimentazione e servizi sanitari sono scarsi, mentre sono migliaia gli arresti dei dissidenti. Il servizio militare è obbligatorio anche per le donne. Città come Milano e Bologna sono luogo di transito di migranti in fuga, che le attraversano incontrando i propri connazionali residenti, ma la loro condizione di partenza trova posto nei nostri quotidiani solo quando Amnesty International pubblica un nuovo report.
Commentando gli aiuti stanziati recentemente dall’Unione Europea, Cléa Kahn-Sriber di Reporter Sans Frontières Africa, ha denunciato: «È incredibile che l’Unione Europea sostenga il regime di Isaias Afewerki con tutti questi aiuti, senza chiedere nulla in cambio in materia di diritti umani e libertà di espressione. Chiediamo all’Unione Europea di condizionare i suoi aiuti al governo eritreo alla garanzia di un maggior rispetto dei diritti umani, al rilascio dei giornalisti prigionieri e all’autorizzazione al pluralismo dei mezzi di informazione».

Nelle posizioni più basse della classifica di RSF troviamo Turkmenistan, Corea del Nord, Siria, Cina, Vietnam, Iran, Sudan, Somalia, Laos. Ancora paesi in cui privazioni, torture, violenze sono note e documentate. Governi autoritari con cui l’Occidente fa spesso affari, per poi voltarsi dall’altra parte quando si tratta di ospitare chi fugge da terre tanto preziose. Incorciando i dati del report di RSF con altri rapporti internazionali, si può verificare come il basso livello di informazione e trasparenza si incroci sistematicamente con la crisi della democrazia e i conflitti.
Prendiamo in esame, ad esempio, gli ultimi paesi della classifica e confrontiamoli con quanto emerge dall’annuario di Amnesty International o di Human Rights Watch, oppure dal documento Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo 2015 redatto dalla Fao. Centinaia di studiosi sono coinvolti in ricerche utili a migliorare questi indicatori di libertà e di democrazia per costruire mappe utili a chi si occupa di immigrazione, come sono ad esempio quelle apparse su The Economist. Se nessuna ricerca è esaustiva, ognuna è comunque indicativa. Se confrontiamo le situazioni qui accennate con la mappa delle rotte compiute dai migranti in fuga, a essere  sorpresi sono solo i non addetti ai lavori. Dove i diritti umani non sono garantiti, le persone cercano ovviamente di fuggire.

Chiara Zanini