La caccia alle streghe. Crescita dell'omofobia in Senegal

L.M. - 17 Novembre 2010

Dakar-Clandò
La rubrica di Chiara Barison
Omosessualità in Senegal: reato punibile penalmente. Ma alla gente non basta


DAKAR (SENEGAL). Sono ancora collegata su fb quando vedo comparire sulla chat un messaggio di Amadou: “Dovete smetterla di venire a imporre il vostro modo libertino di vedere le cose!”. Non capisco. E’ impazzito, penso. “Ma di che diavolo stai parlando?” scrivo veloce. “Sì, mi riferisco all’articolo che hai postato sui goorjigeen (gay), come se in Senegal non ci fossero altre priorità che quelle dei diritti dei gay”. Adesso capisco. Amadou si riferiva ad un articolo su omosessualità e strumentalizzazione politica che avevo postato nel mio profilo. 

Ogni volta che si tocca questa tematica, qui in Senegal, si crea un gran polverone. Con Amadou abbiamo passato pomeriggi interi a Pikine, a discutere. “Il popolo senegalese non ama i gay e non ama parlare di gay. Voi europei venite qui e non solo ne parlate, ma portate avanti un discorso che ne autorizza modi e comportamenti. Diritti? Pff. Il Senegal non è ancora pronto per parlare di coppie omosessuali e non lo sarà ancora per molto. In ogni caso prima di parlare dei loro diritti perché non venite a parlare del nostro diritto alla libertà di movimento? Perché non togliete i visti? Questo no. E perché non pensate prima ai bambini che elemosinano sulla strada? Davvero Chiara, non sopporto questi discorsi, davvero non li digerisco”. Lo lascio parlare, la rabbia che traspare dalle parole di Amadou è una rabbia condivisa da molti.

L’articolo 319 del codice penale senegalese prevede che “sarà punibile con il carcere da uno a cinque anni e con una multa dai 100.000 CFA ad un milione CFA (da 150 a 1.500 euro) qualsiasi atto ritenuto impudico e contro natura con un individuo dello stesso sesso- Se l’atto è stato commesso con un minore di anni 21, sarà sempre attribuito il massimo della pena”.


L’omosessualità in Senegal è punita per legge dal 1965. Argomento tabù, capace di sollevare le masse. Mi spiazza vedere tanto odio e tutta questa rabbia che Amadou ha espresso bene nelle sue parole. A livello sociale, culturale e mediatico poco si sa realmente sull’omosessualità e sugli omosessuali. La gente, disinformata da giornalisti, politici, medici, professori e presunti esperti confonde l’omosessualità con la transessualità e il travestitismo; nello stereotipo comune qui omosessuale è chi va con altri uomini (o donne nel caso delle lesbiche), chi si prostituisce, vendendosi nelle zone turistiche per denaro a persone dello stesso sesso; chi fa violenza su minori; chi si traveste da donna; chi si atteggia da donna; chi non si sposa; chi porta i capelli lunghi; chi svolge attività da donne, come andare a comprare frutta o verdura al mercato, cambiare i pannolini ai bambini, fare da mangiare. Un gran calderone dove tutto è gettato dentro nel nome di una presunta virilità e mascolinità che deve sempre e comunque essere propria di ogni maschio senegalese. Peggio ancora, l’omosessualità, vista come un male assoluto, un cancro sociale, è percepito come un fenomeno importato da fuori, dall’Occidente. “Sono gli stranieri che hanno portato la depravazione nel nostro paese” mi dice un anziano seduto di fronte casa. Associata all’idea dell’importazione c’è anche quella legata al turismo, come se tutti i turisti in vacanza in Senegal fossero alla ricerca di relazioni sessuali con partner dello stesso sesso. E’ come se i senegalesi rifiutassero l’idea che ci siano senegalesi omosessuali e per negare questo dato di fatto vadano a ricercarne la cause al di fuori.

Negli ultimi anni, in cui molti omosessuali hanno cominciato a dichiararsi, a raggrupparsi in associazioni e a far sentire la loro voce, sono aumentati i fenomeni di omofobia, spesso sfociati in azioni violente. “In quartiere girava voce già da un po’ che io fossi gay. Passavo e mi insultavano. Mi dicevano che dovevo essere ammazzato” parla così Alassane, un ragazzo di 22 anni di Thiès “Poi ricordo quel giorno, gli sputi, i pugni, i calci. Ho ancora i loro sguardi addosso, non li scorderò mai. E a picchiarmi erano uomini, donne e bambini, indistintamente”.
“Mi sono sempre sentito una donna. Mio padre, quando ha cominciato a capire ha dato la colpa a mia madre. Per lui il fatto di essere vissuto in un ambiente prettamente femminile, io ho cinque sorelle, aveva contribuito a farmi diventare un goorjigeen” sospira Ousmane, 33 anni, di Mbour, poi continua “come spiegarlo a lui e a tutti gli altri miei connazionali che l’omosessualità non è una malattia? Omosessuali non si diventa, lo si è e basta”.

Ousmane ha detto bene. In Senegal l’omosessualità è vista come una malattia e a tutt’oggi gli omosessuali sono seguiti nel reparto di psichiatria come deviati e trattati in quanto tali. In molti sono costretti a nascondere la loro natura, per evitare che le famiglie li allontanino o addirittura per evitare ritorsioni contro la loro persona. Non sono rari fatti di cronaca legati ad aggressioni violente compiute contro presunti omosessuali.
L’omofobia è alimentata non solo da una cattiva informazione ma anche da vere e proprie campagne omofobe lanciate da politici, imam e preti, che prontamente si ergono a paladini della società. Poco tempo fa, tal Mbaye Niang, imam e deputato del Movimento per la riforma e lo sviluppo sociale, ha organizzato una manifestazione che aveva come tema “la lotta contro la perdita dei valori e contro le scarcerazioni degli omosessuali”, perché, come ha affermato lui stesso “l’aumento preoccupante degli omosessuali nel nostro paese è dato da una depravazione dilagnate, dalla promiscuità sessuale, dal libertinaggio che i nostri giovani oggi sembrano av

ere. E dall’impunità che ormai sembrano avere i gay. Oggi non si vergognano più di mostrarsi e questo è grave”.


“Avevo 18 anno quando nella mia famiglia hanno cominciato a rendersi conto che ero gay. Non ho mai avuto una fidanzata ma uscivo spesso la notte con degli uomini. Un giorno mio zio mi ha trovato in atteggiamenti intimi con un amico. E’ stato l’inferno. Mi hanno cacciato, picchiato e insultato. Abitavo in Guinea. Mio padre, per evitare di divenire la vergogna di tutto il quartiere mi ha comprato un biglietto per Dakar” racconta Laye, 29 anni “nessuno della mia famiglia voleva ospitarmi. Alla fine solo una lontana parente appena tornata da Parigi con il marito francese ha deciso di prendermi con sé. Sa che sono gay e non le crea problema. Solo che deve passare tutto il tempo a giustificarsi con tutti, negando ogni mio atteggiamento equivoco”.
“Cosa ti consiglia?” gli chiedo. “Chi Awa? Mi dice che se questa è la mia natura non posso fare nulla per cambiarla ma visto che in Senegal non sarò mai libero di essere me stesso; di trovarmi un fidanzato europeo e ricco che possa farmi uscire dal paese”.
Rimango un attimo perplessa. Possibile che l’unica soluzione sia tacere o partire? Penso allora a Senghor (ex presidente senegalese, ndr). Chissà il grande poeta e pensatore che cosa avrebbe suggerito.