Tunisia e diritti umani

L.M. - 7 Gennaio 2011
La Tunisia è governata da 26 anni dalla dittatura di Ben Ali, dopo il colpo di stato sostenuto dai servizi segreti italiani e dal consenso di CIA e servizi segreti francesi
Di Karim Metref

NORD AFRICA. La Tunisia è, con i suoi 163.610 chilometri quadri, il più piccolo dei Paesi del Nord Africa. Molte Province della vicina Algerina hanno una superficie più estesa della sua. Geograficamente è intrappolata tra L’Algeria ad Ovest, La Libia a Sud e il Mar Mediterraneo a Nord e Est. Ha circa 10 milioni di abitanti ed è un paese a vocazione agricola e turistica. I suoi 1200 km di costa, il clima sud mediterraneo piacevole tutto l’anno, le sue vecchie città, il suo deserto, i numerosi reperti archeologici preistorici e storici di epoche fenicia, cartaginese, romana, araba e turca ne fanno la meta preferita di milioni di turisti all’anno.
La Tunisia ha tutto per essere un paradiso. Ma mentre per gli amatori di abbronzatura offre un’illusione di luogo piacevolissimo, per i suoi stessi abitanti è molto spesso un vero e proprio inferno.
Dichiarata indipendente nel 1956, la Tunisia abolisce velocemente la monarchia e sotto la guida dell’allora leader del partito nazionalista del Neo Doustour, Habib Bourguiba (1903-2000), il paese sembra camminare a passi sicuri verso la modernità. Modernizzazione delle istituzioni, generalizzazione della scolarizzazione adozione del Codice dello statuto personale (CSP), che equipara i diritti delle donne e degli uomini, abolisce la poligamia e vieta ogni forma di velo.
Dal 1959 al 1970 la Tunisia entra in una fase socialista, pieno impiego, piena scolarizzazione, sanità garantita per tutti sono gli obiettivi seguiti dal governo del Primo ministro Socialista Ahmed Bensalah. Poi il presidente Bourguiba decide improvvisamente di cambiare rotta e di perseguitare la sinistra. Bensalah è arrestato e condannato a 10 anni di prigione. Cominciano anni di incertezza e di instabilità. I movimenti degli operai sono numerosi e molto intensi. Lo stato scatena una repressione spietata contro ogni forma di dissenso. La spirale della violenza trova il suo apice nel 1978 quando la repressione con le armi dei grandi scioperi che scuotono il paese da anni finisce in un bagno di sangue: Centinaia di morti, migliaia di prigionieri, torture e violenze sistematiche.
Il ciclo manifestazioni-repressione continua per tutta la fine del regno di Bourguiba ormai vecchio e malato. Mentre i movimenti di sinistra sono triturati dalla repressione, una nuova forza si profila all’orizzonte: gli Islamisti di Al-Nahda.
Il 7 novembre 1984, sostenuto in primis dai servizi italiani, ma con il consenso della CIA e dei servizi francesi, il generale Zine El-Abidine Ben Ali prende il potere.
Comincia l’era più oscura della storia della Tunisia. Il generale sicuro dell’appoggio delle potenze mondiali scatena una repressione senza precedenti. Tutti i Partiti non “satellitari” sono costretti alla clandestinità. I leader sono costretti all’esilio o alla latitanza.

Oggi in Tunisia non si muove niente senza che la ferocissima polizia di Ben Ali si metta a sparare. Le forze dell’ordine sono diventate onnipotenti. Simbolico è stato l’arresto da parte della polizia politica di Hamma Hamami, leader del Partito Comunista degli Operai Tunisini (PCOT).
Nel 2002, la giustizia aveva indetto un processo per contumacia contro il leader operaio costretto alla clandestinità da anni. Questo, ritenendo di non aver niente da rimproverarsi, decide di presentarsi in aula, a sorpresa. La Polizia politica spaventata dall’effetto mediatico possibile di tale colpo di teatro lo preleva dall’aula nonostante le proteste del giudice e della procura e lo porta in un luogo sconosciuto dove viene rinchiuso per mesi e mesi fino alla sua liberazione dovuta alla larga mobilitazione internazionale a suo favore. .
Le prigioni sono piene di oppositori, militanti dei diritti umani, sindacalisti, intellettuali non allineati… In Tunisia si può andare in prigione per il solo fatto di aver visitato un sito proibito (vedere la storia di un gruppo di giovani di Zarzis, in carcere da anni per aver curiosato su internet – http://www.zarzis.org/).

A livello economico, la Tunisia di Ben Ali è diventata un paradiso ultra liberale. Bassi stipendi, pochi diritti sindacali, tasse basse… tante industrie di trasformazione, agro alimentare e tessili scelgono il paese Nord Africano per le delocalizzazioni. Il clan del presidente e la famiglia della sua seconda moglie si sono accaparrati di quasi tutta l’economia del paese.
Negli ultimi anni, con l’ultima crisi e gli aumenti dei prezzi dei prodotti di prima utilità, la popolazione tunisina è allo stremo. I pochi giovani rimasti nel paese, vista la fortissima denatalità di cui soffre il paese, pensano solo a fuggire e affollano le carette del mare che dalla vicina Libia partono per l’Italia. Con l’aumento della differenza economica tra i turisti e gli autoctoni, si stanno sviluppando inquietanti fenomeni di turismo sessuale. La prostituzione sia femminile che maschile sta diventando una delle più grosse attrattive del paese.
Nell’estate del 2008, la regione di Gafsa ha conosciuto delle importantissime mobilitazioni degli operai del bacino minerario. La selvaggia repressione della loro mobilitazione ha avuto per effetto di sollevare tutta la regione in solidarietà con loro. Ma come da ormai decine di anni, il sistema polizie

sco di Zin El Abidine, sicuro del silenzio della comunità internazionale, ha scatenato la sua macchina di guerra. In questo momento centinaia di operai e di giovani sono ancora in carcere. I processi, celebrati secondo il rito arbitrario di tutte le dittature di questo mondo, hanno dato effetto a condanne molto pesanti. Molti detenuti hanno problemi di salute dovuti alle torture e alle pessime condizioni di detenzione.


La Tunisia di oggi sta male. Il regime del generale Ben Ali sembra entrato in avanzato stato di putrefazione. La prospettiva della successione al dittatore vecchio e malato, comincia a creare forti tensioni dentro e fuori dal palazzo. L’opposizione è molto debole e fa fatica a trovare una linea comune di lotta per un nuovo ordine che assicuri a tutti libertà e diritti.
Rimane che la speranza c’è. C’è ed è rappresentata dallo straordinario numero di attivisti giovani e non che continuano a prendere rischi enormi, a lottare, a scrivere, a protestare e camminare a testa alta, nonostante tutto.