Antiquaire: esperto d'arte o gigolò professionista?

L.M. - 19 Marzo 2011
Dakar-clandò
La rubrica di Chiara Barison
Antiquaire: termine passato dal campo dell’arte a quello della conquista di uno status migliore, attraverso la ricerca senza scrupoli di una donna bianca
DAKAR. In questi giorni sono immersa nella lettura di un libro davvero interessante, “La filosofia morale dei Wolof”, di Alassane Sylla. Se non riesco a comprendere appieno i meccanismi culturali di un popolo con cui mi ritrovo a convivere, forse un libro sul loro pensiero potrà aiutarmi a decifrare comportamenti restati ancora indecifrati.

Ho pensato così quando l’ho scovato tra i tanti libri in vendita all’IFAN (L’Instituto Fondamentale dell’Africa Nera), dipartimento all’interno dell’Università pubblica Cheikh Anta Diop di Dakar. E l’allora studente Alassane Sylla aveva colto un aspetto essenziale per la comprensione e la descrizione di una cultura, la lingua. In quella che sarebbe stata la sua tesi, Sylla ha analizzato puntigliosamente la sottigliezza della lingua wolof e i significati veicolati da proverbi e modi di dire, basi di un pensiero comune. Chissà dove il brillante filosofo avrebbe collocato gli antiquaire.
L’appellativo antiquaire, in origine, colui il quale si occupa di arte, o, più semplicemente, chi vende tutto ciò che all’arte è legata, quadri, tessuti, statuine è slittato poco per volta verso un altro significato parallelo. Oggi, antiquaire è chi investe nella ricerca di un/una toubab che possa garantirgli una sussistenza sul breve o lungo termine o la possibilità di partire all’estero. E qui in Senegal in molti, giovani e meno giovani, scelgono di diventare antiquaire. Un’ibridazione culturale nata da una duplicità di situazioni: la prima, l’impossibilità di viaggiare, che spinge le persone ad escogitare vie alternative che permettano la partenza e, la seconda, l’immagine sociale che i senegalesi emigrati all’estero si portano dietro, una volta rientrati in patria. Se chi torna, nella maggior parte dei casi, fa un salto nella scala sociale, grazie ad un miglioramento della sua situazione economica e, conseguentemente, di quella di tutta la sua famiglia, farà passare l’idea che perché questo salto in positivo avvenga, il passaggio necessario sia la partenza. E cosa succede se questa partenza è negata e, dunque, se è negata, agli occhi dei senegalesi, la possibilità di miglioramento? Verranno attivate possibilità alternative, ivi comprese quelle più ingegnose, sottili. E anche quelle lontane da una morale comune condivisa.
D’altronde anche la morale wolof, presentata da Sylla, riassume in due proverbi un messaggio chiaro: “Mbeggé du mat ngor mat”, non può esserci al tempo stesso cupidità perfetta e onestà perfetta e “Ku sa begge bari, sa ngor nééw”, ovvero, chi ha troppi desideri ha poco onore. E i giovani senegalesi, impazienti di riuscire, di imporsi socialmente, di partire, di avere tanto, subito e con il minimo sforzo, mettono da parte l’onestà per investire in ciò che sembra la via più facile verso la riuscita, una toubab.
Nelle spiaggie un esercito di ragazzotti dai fisici scultorei passano i pomeriggi a fare ginnastica nella speranza di attirare l’attenzione delle turiste appena arrivate, meglio se al loro primo viaggio in Senegal. Con i proprietari delle stazioni balneari piccoli accordi amicali che passano dall’avvisare gli antiquaire di nuove turiste appena arrivate, al fare le presentazioni iniziali. E ogni antiquaire investe nell’attesa di conoscere una bianca, il proprio personale lasciapassare per una vita migliore. Molte le famiglie che spingono figli e figlie a cercare un matrimonio di interesse con chi viene dall’Europa. Se un figlio o una figlia dovesse sposarsi con un/una bianco/a questo vorrebbe dire un investimento sicuro per tutta la famiglia, almeno secondo lo stereotipo imperante.
In molti casi, infatti, chi è riuscito a sposarsi con una toubab è riuscito non solo a partire all’estero ma anche ad ottenere un miglioramento generale della propria famiglia: soldi, bollette e affitti pagati, regali, case o attività finanziate. Un modo per abbreviare costi e tempi. Se, infatti, per arrivare ad avere tutto ciò non basta una vita stando qui in Senegal mentre serve una vita di sacrifici, una volta arrivati soli in Europa, con una bianca tutto questo sarà più veloce e più facile, sempre che la bianca si innamori.
In quartieri come Ngor e Yoff la maggior parte degli uomini ha una moglie toubab e il restante spera di trovarla a breve. Lo stereotipo è talmente radicato che perfino i senegalesi di Dakar ti dicono che chi abita a Ngor non ama lavorare ma aspetta di sposare una bianca per vivere di rendita, mogli senegalesi consenzienti. Una spirale che ha trasformato una credenza popolare in realtà sociologica dimostrata.
Incontro Lamine ad una festa di amici. E’ un antiquaire ed è di Ngor, 26 anni, alto e prestante. Non lavora ma ha sempre soldi e non nasconde il fatto che ha investito parte della sua vita nella ricerca di una toubab da sposare.
“In Senegal se non hai le possibilità, devi creartele” mi dice sorridendo “io abito a Ngor e da noi ci sono sempre turiste. Ogni settimana ne arrivano di nuove e con loro si può sopravvivere, ti fanno regali e ti danno soldi, e hai sesso facile. In generale mi servono due giorni”. Lamine ne parla come se parlasse di un lavoro normale. In effetti tutti lo conoscono e sanno quanti pochi scrupoli Lamine si faccia rispetto ai sentimenti delle persone, quello che gli interessa è guadagnare. Guadagnare e partire. E ne ha fatte di vittime Lamine, l’ultima una bella signora di mezza età, belga, rovinata in soli due anni. In due anni Lamine ha visto quadruplicare il suo conto in banca, pagato un appartamento e le bollette della casa familiare e aperto un piccolo locale in prossimità della spiaggia. A sforzo zero. “Sai Chiara noi non possiamo viaggiare e allora io prendo da chi viene ciò che mi è stato tolto” mi dice secco, come se volesse giustificare un comportamento che in fondo neanche lui approva totalmente. Poi continua “alle volte vado dal marabutto perché faccia in modo che queste donne si innamorino e mi diano tutto ciò che chiedo”.
Gli amici di Lamine pendono tutti dalle sue labbra. Lamine è sfacciatamente arrogante e furbo. E riesce in tutto ciò che cerca. E’ lui il leader indiscusso degli antiquaire di Ngor. Alla festa è con Yaya, 24 anni e una fidanzata spagnola conosciuta in spiaggia e Mamadou, 22 anni, fresco di matrimonio con una ragazza francese, conosciuta, guarda un po’ te, sempre in spiaggia.
Scopro poi che è proprio lì il punto di ritrovo della combriccola e che all’interno della compagnia esiste una vera e propria scala piramidale al cui vertice si trova appunto, Lamine. E’ lui che orienta, lui che smista, lui che dà ad ognuno una turista.
“In generale meglio se la toubab è al primo viaggio, quando ancora è ingenua e non conosce nulla del paese. E’ facile farle innamorare e crederà a tutto quello che racconti. E’ così che ho conosciuto la mia attuale moglie” mi racconta. “Ti sei sposato?” gli chiedo un attimo confusa, visto che è
in compagnia di una fidanzata belga. “Sì. Pochi mesi fa. Ho conosciuto mia moglie in un bar sulla spiaggia. E’ una ragazza canadese. Due giorni dopo che l’ho conosciuta eravamo assieme, dopo un mese lei è ripartita, ci siamo sentiti via skype finché ad ottobre è tornata e ci siamo sposati. Era innamorata pazza”. “E tu?” gli chiedo “Mmm” esita “sì, ma poi cos’è l’amore Chiara? Io so che adesso finalmente partirò ma so anche che non sarà solo lei l’unica moglie”.
Vado a prendermi da bere. La storia di Lamine non mi è nuova, ma come spesso accade è difficile accettare il calcolo sul sentimento. Giustificabile? Non credo. Credo piuttosto che andrebbero riviste le politiche dei visti o, più semplicemente, che andrebbe garantito ad ognuno il diritto di movimento, si eviterebbero, forse, situazioni di questo tipo.
Lamine torna a sedersi vicino alla fidanzata belga, di vent’anni più grande. Lei lo accarezza e lo bacia. Sa che si è sposato ma continua a prendersene cura come se Lamine fosse un bambino viziato, come se fosse incapace di essere uomo, dimenticando che pagare per essere amati non è amore, ma si paga per un’illusione temporanea.
Mi giro e mi rigiro e mi accorgo che la festa è un tripudio di antiquaire e fidanzate bianche di antiquaire, di almeno dieci anni più grandi dei fidanzati. Sorseggio veloce un bicchiere di vino.
“Ma Yaya è innamorato della sua fidanzata?” chiedo a Mamadou “Sì, almeno credo, so che l’ha tradita con altre finché lei era in Spagna ma, a parte questo, credo di sì” mi risponde. “L’ha tradito con delle senegalesi?” continuo. “No! Figurati. Un antiquaire abituato alle toubab difficilmente retrocederà alle senegalesi. E’ stato con altre bianche” mi dice secco. Retrocedere? Penso al verbo che Mamadou ha utilizzato e ripenso al libro di Sylla. Effettivamente la traformazione culturale passa anche e soprattutto attraverso la lingua. E così, nel Senegal del 2011, un senegalese che passa da una relazione con una toubab ad una con una senegalese ‘retrocede’ (economicamente parlando) e l’antiquaire non vende più arte, ma il suo corpo e la menzogna d’amore in cambio di un visto. Filosofia morale di un sistema mondo decisamente amorale e tristemente ineguale.