Magre da morire. Storie di ordinaria anoressia a Dakar

L.M. - 28 Agosto 2011
Anche nei Paesi cosiddetti del “Terzo Mondo” l’anoressia dilaga. Tra il rifiuto ad accettarla e l’indifferenza generale.
Quanti stereotipi legati all’Africa. L’Africa, nell’immaginario occidentale è un continente già definito, ingabbiato in confini che gli occidentali stessi hanno tracciato, e non solo quelli geografici dell’epoca coloniale. “In Africa le donne in carne piacciono”, mi sento sempre dire. E questo, per tanti, è la giustificazione allo sbarco di numerose donzelle europee sovrappeso che proprio in Africa trovano facilmente dei partner.
Partner, che, sempre secondo lo stereotipo corrente, sarebbe più difficile trovare in un’Europa i cui canoni di bellezza sono filiformi. Purtroppo le persone non prendono mai in considerazione l’evoluzione a cui il mondo è esposto. Tutto è in movimento e dunque, di conseguenza, tutto cambia. La migrazione poi, porta con sé trasformazioni impreviste e a volte di difficile gestione, complicate dalla chiusura delle frontiere e le società si ibridano e le persone si trasformano, stravolgendo cultura e tradizione. Molto del mio tempo senegalese lo passo con la gente. Suonerà banale ma l’antica società orale africana in un qualche modo è rimasta tale. La maggior parte della conoscenza è trasmessa dalla gente, con la gente. Le piccole boutique senegalesi sono luoghi in cui tutto converge, persone, oggetti, discorsi e seduti fuori da questi piccoli negozi inventati, si può osservare pazienti la società attuale, in tutti i suoi cambiamenti, in tutte le sue trasformazioni. Omar ha una boutique di vestiti da donna. E’ andato a comprarli in Turchia, con la Cina una delle destinazioni preferite di tutti i commercianti senegalesi. Spulcio tra i vari vestiti, magliette, leggings colorati, jeans. Sono molto carini ma non trovo nulla della mia taglia.
Mi sembra di essere in Italia, eppure non sono over size, sono una “normale” taglia 44. “Le ragazze qui sono tutte molto magre” mi dice Omar “ma è la loro costituzione” ci tiene a precisare. All’improvviso entra nel negozio Nabou. Nabou è una ragazza senegalese di 26 anni. L’avevo conosciuta lo scorso anno nel mio, di negozio. Nabou è bellissima, sembra una modella, ma dallo scorso anno qualcosa è cambiato. E’ magra, magra da morire. “Non mangio. Ho iniziato a non mangiare due anni fa, ma già da molto tempo prima ero costantemente a dieta. Io non volevo per me una vita di sofferenza Chiara, capisci” mi racconta “Non volevo fare la fine di mia mamma, seconda moglie e sempre costretta a lavorare per i figli. Io sognavo una vita diversa e so che questa vita diversa, solo un bianco poteva darmela. Ho iniziato a frequentare Saly, conosci vero? La città di mare dove tutti gli europei vanno. E’ lì che ho conosciuto mio marito, francese”. Nabou si è sposata con un signore francese di trent’anni più grande. Quando li ho visti assieme, la prima volta, in discoteca, ricordo solo gli occhi tristi di lei ed un marito vigilante che per tutta la sera non l’ha persa di vista un solo secondo. “Mio marito è un ricco imprenditore, mi dà tutto quello che voglio”. Mentre Nabou parla le osservo le gambe, sono magrissime, scheletriche. “Ho iniziato a non mangiare perché a mio marito io piaccio così, magra”. Accenna una risata ma subito il sorriso diventa smorfia “non è facile ma è il prezzo da pagare per la vita che faccio”. Omar è indaffarato a sistemare gli scaffali. Per lui, appena tornato da un’esperienza migratoria decennale in Italia, l’anoressia è una malattia da bianchi. “Non è anoressica” mi dice appena Nabou esce, carica di vestiti nuovi. “Non esiste l’anoressia in Senegal, Chiara” e mi ribadisce l’idea nazional-popolare secondo la quale “qui la magrezza è naturale”.
Decido di indagare, esiste una connessione tra anoressia e matrimoni misti, in Senegal? Fisso un appuntamento in un bar nel quartiere bene di Dakar, gli Almadies. Al tavolo mi aspettano Mame Diarra e Rokaya, entrambe sposate con due uomini europei. Mi guardo e le guardo. Mi sento grassa e mi sento pure brutta. Sono vestite bene, tacco e borsa abbinata, truccate, avvolte in due bellissimi bùbù dal tessuto pregiato. Ridono e scherzano fumando una sigaretta. “Chiara, chèrie” mi chiama Mame Diarra mentre mi vede. Come da copione, entrambe sono filiformi. “Esiste secondo voi un problema di anoressia in Senegal?” chiedo diretta. “Sì, esiste. Io conosco parecchie ragazze che non mangiano, ragazze magrissime che tu stessa puoi incontrare ogni sera in locali come El Patio, il Nirvana, Il Five. Sono ragazze che bazzicano i posti frequentati dai bianchi e che cercano un bianco” dice senza mezzi termini Rokaya. “Poi ci sono anche le ragazze della Dakar bene, Chiara, non dimenticarlo e queste ragazze seguono la moda. Questo vuol dire che per loro bellezza è sinonimo di magrezza”, precisa Mame Diarra, poi continua “Non te lo nego, ho problemi con il cibo e ce li ho ormai da quattro anni. Mio marito è spagnolo e quando ingrasso me lo fa notare subito. Agli europei non piacciono le donne grasse”. “Anche a mio marito piaccio così” esclama Rokaya. Io le guardo il braccio e non posso non notare che il braccialetto d’oro che porta le scende quasi fino al gomito. “Ormai è diventata quasi una legge, se vuoi sposare un bianco, devi essere magra, altrimenti te lo puoi scordare” mi dice Rokaya e ride. “Per questo le toubab (termine con il quale vengono chiamate le donne occidentali in Senegal, ndr) che vengono qua sono tutte ciccione” ride Mame Diarra e io abbasso gli occhi.
Anche io, per loro, potrei rientrare nella categoria. I miei rotolini rivestono perfettamente lo stereotipo ed ho pure un fidanzato senegalese. “Fino all’anno scorso vomitavo quello che mangiavo” confessa Mame Diarra “e più vomitavo e più ne ero dipendente. E più continuavo, più stavo male. Ho cercato un appoggio psicologico ma è difficile trovare qualche specialista. I disturbi alimentari non sono ancora riconosciuti come tali. Non se ne parla, come se in Africa non potessero esistere”.
Il giorno dopo vado da Nabil, un amico medico marocchino, laureato alla Cheikh Anta Diop, l’università pubblica di Dakar. “Sì, è possibile notare un incremento di casi di donne affetta da differenti disturbi alimentari” mi dice “e l’idea tradizionale che lega rotondità e donna africana sembra vacillare. Il Senegal è un paese in continua trasformazione e la moda, anche quella distruttiva della magrezza, è arrivata fino a qui. Purtroppo se ne parla ancora poco e nessuna sensibilizzazione è fatta tra le adolescenti. La società continua a negare l’esistenza del problema”.
Intanto, la sera, come le ragazze mi hanno detto, è usuale vedere ragazze magrissime uscire dai locali del centro e lo stesso vale per i negozi di vestiti più cari o per i mercati come quello storico di Sandaga. Magre, a volte magre da morire, per scelta, per un matrimonio che possa garantire loro uno status sociale più elevato e, a volte, un visto per l’Europa. Perché il prezzo della libertà a volte vale il sacrificio del cibo. Contraddizioni di un’Africa in cambiamento.
Chiara Barison