Razzismo subliminale

La comunicazione squilibrata

- 30 Giugno 2013

La petizione lanciata da Fortuna Ekutsu Mambulu torna su un annoso problema, che non si riesce ancora a risolvere: quello della prevalente rappresentazione degli africani come “vittime” tout-court, specialmente da parte di organizzazioni umanitarie, anche prestigiose. Naturalmente, quello che la petizione mette in questione non è il fatto che esistano delle “vittime” africane (il documento usa il termine “negro-africane”) di eventi politici, bellici, legati a carestie, malattie o agli effetti nefasti degli squilibri economici globali. Di vittime ce ne sono, e sono troppe. Non è in questione neanche il fatto che gli organismi umanitari (legati alle Nazioni Unite, agli stati, ad enti privati o alla dimensione non governativa) non possano o non debbano apertamente denunciare l’esistenza di tali vittime, documentando quanto più possibile (anche con le immagini) le situazioni critiche in cui esse si trovano. Ci mancherebbe. Quello che si contesta, mi pare, è l’automatismo culturale che porta a considerare, e a dipingere, la gente dell’Africa sub-sahariana, tutta indistintamente, sempre e comunque, come emblema della disgrazia umana, come terminale privilegiato (e passivo) dell’altrui benevolenza. Nonostante il fatto che (nel caso specifico dei rifugiati) le statistiche mostrino che non è esattamente così (ci sono aree del pianeta con maggiori emergenze), e nonostante i passi da gigante che i popoli africani stanno compiendo, pur tra mille difficoltà, in campo politico, economico e sociale.

Questo automatismo culturale è al centro di una contraddizione con cui si confrontano le organizzazioni umanitarie, strette tra l’inevitabile necessità di denunciare ingiustizie ed emergenze in modo efficace e immediato (anche per motivi di raccolta fondi) e gli effetti perversi, certamente non voluti, che spesso tale denuncia produce, specie se questo tipo di informazione sull’Africa è quello prevalente. Tra gli effetti perversi, vi è, appunto, un particolare tipo di vittimizzazione della gente africana: costruire una immagine stereotipata degli africani come attori deboli, incapaci e bisognosi “per essenza” di ricevere aiuto da parte di chi può farlo. Come se questo fosse il senso del loro stare al mondo. E qui non apro il tema, che meriterebbe di essere affrontato, dell’uso delle immagini dei bambini.

Ripetuta all’infinito e senza controllo (grazie anche ai cortocircuiti prodotti insieme al “giornalismo dei disastri” di cui ha parlato H. Ronning), l’automatismo culturale di cui parliamo rischia di produrre, a sua volta, altri effetti negativi, come ad esempio: rafforzare il razzismo o il paternalismo di chi è già razzista o paternalista; produrre nella gente africana sentimenti di inadeguatezza, depressione o vergogna; rafforzare atteggiamenti neocolonialisti in sede di cooperazione internazionale; occultare le “buone notizie” sull’Africa; diffondere sentimenti di diffidenza e sottovalutazione (se non peggio) nei confronti degli immigrati provenienti da questo continente.

Alcune organizzazioni non governative particolarmente avvertite, come Oxfam, Save the children o Every Child, hanno da anni richiamato l’attenzione su un “uso etico” dell’immagine della gente africana, e anche in Italia il panorama sta lentamente cambiando. Ma forse bisognerebbe fare qualcosa di più, tutti, e con strumenti adeguati, che vadano al di là della buona volontà. Questa petizione è dunque un utile strumento per richiamare l’attenzione su un tema centrale e poco considerato.

Daniele Mezzana