Milano

Lettera aperta alla città

- 30 Giugno 2013

Gli studenti-rifugiati di Asnada raccontano in versi il viaggio, l’arrivo, l’Italia che li ha accolti e quella che continua a respingerli.

Il testo che segue è  frutto di un lavoro portato avanti all’interno di una scuola L2, Asnada, aperta a Milano nel 2009. Dopo alcuni anni in Bovisa, da gennaio abitiamo presso Olinda, ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini. Ad aprile di quest’anno abbiamo sperimentato per la prima volta la scrittura collettiva, nata all’interno dell’esperienza di Barbiana molti anni fa. Ne è scaturita la  Lettera aperta alla città, a cui hanno partecipato persone provenienti da vari paesi e con diversa situazione giuridica e che è stata letta per la prima volta l’8 giugno, durante la festa di chiusura dell’anno, non da un’attrice professionista, come era iniziale desiderio degli studenti, ma da loro stessi. Il 22 giugno la Lettera è stata letta durante l’evento di chiusura del Naga Har.

Chi siamo
Siamo dei giramondo.
Ma non siamo i primi della storia.
C’è stato un grand’uomo,
che andò pellegrino, ramingo,
correndo palmo a palmo il mare:
Quest’uomo scoprì città,
conobbe l’indole di genti e nazioni.
Solo con il suo coraggio
ebbe ad affrontare inaudite sofferenze
per porre in salvo la propria vita,
perché questo egli fortemente voleva.
Si chiamava Ulisse.
Anche noi, con questa lettera,
vogliamo parlare delle nostre pene,
ma anche del nostro coraggio.

Siamo asnada.

uomini, donne, ragazzi e ragazze
che vengono da tanti paesi diversi.
22, quest’anno: Niger, Ecuador, Italia, Repubblica Centrafricana, Egitto, Camerun, Senegal, Ghana, Nigeria, Afghanistan, Perù, Ucraina, Moldavia, Salvador, Germania, Turchia, Pakistan, Somalia, Mali, Romania, Grecia, Siria.

La scuola
Veniamo a scuola
per imparare la lingua, a leggere e a scrivere.
In questa scuola c’è la nostra storia.
Veniamo qui anche per trovare amici,
energia e coraggio
e per capire la legge italiana.
Veniamo perché siamo curiosi delle persone del mondo
perché non ci piace la diffidenza tra italiani e stranieri.
E la scuola è un buon posto per cambiare,
perché la scuola non è solo lingua,
ma una strada per cambiare
il modo di pensare attraverso la lingua.
Pensiamo che il verbo è importante,
se ti permette di dire le cose che vuoi.

Perché abbiamo scritto questa lettera

Abbiamo scritto questa lettera
perché abbiamo fatto un anno di scuola contenti,
senza problemi fra noi.
Abbiamo scritto, letto, cantato.
Abbiamo imparato piano piano,
con i giochi, con le mani, con la voce alta,
con le feste, con la cucina e con il teatro.
Abbiamo imparato anche con questa lettera.

Come abbiamo scritto questa lettera

Un mese di lavoro.
Tutti siamo nella lettera.
Non c’è uno che scrive e decide per tutti,
ma tutti scrivono una piccola cosa,
tutti dicono quello che hanno nella testa.
Poi tutti leggiamo, tutti correggiamo,
tutti pensiamo ancora.
Abbiamo scritto questa lettera
perché c’è l’Italia che abbiamo trovato
e vogliamo raccontarvi quello che abbiamo scritto
perché così sentiamo la nostra voce.
A volte, abbiamo fatto tanti discorsi lunghi,
abbiamo detto anche cose inutili
ma abbiamo imparato
perché ci interessa quello che abbiamo scritto
e quello che ora leggiamo.
Questo lavoro fa parte di una lotta della scuola
per cambiare le cose.
Nella lotta ci sono barriere che vanno superate.
Se ci scoraggiamo è una lotta perduta.

Il viaggio
Conoscete i nostri viaggi.
Alcuni di noi hanno attraversato le montagne,
altri i paesi d’Europa, altri il deserto e il mare.
Sono viaggi lunghi, difficili
molti trovano la morte.
C’è chi è stato salvato dalla polizia,
perché la nave era guasta, andava a fondo,
e 84 persone piangono, vomitano, sono svenute,
anche famiglie con bambini piccoli.
Ma c’è chi non è mai arrivato:
anche se l’Italia ha aderito alla convenzione di Ginevra
molte persone straniere sono state respinte in mare.
Così, nel 2011, lo Stato Italiano
è stato condannato dalla Corte Europea
per aver respinto dei richiedenti asilo nel 2009.

L’arrivo
Arrivare non è facile.
Noi non sappiamo la lingua italiana
molti italiani, anche poliziotti, parlano solo italiano.
E ti senti solo, senza famiglia.
I nostri amici, prima di venire qui,
ci dicevano che in Italia è tutto bello:
ci sono soldi, ci sono macchine, c’è la terra.
Ma adesso non c’è lavoro, c’è solo crisi
e tutti abbiamo la vita difficile.
Di noi, c’è chi è arrivato e ha lavorato per mesi
finché ha perso il lavoro
perché anche il capo è rimasto disoccupato,
e allora ha deciso di riuscire lo stesso,
di imparare la lingua italiana.
E c’è chi non ha lavorato mai.

L’Italia che abbiamo trovato

Abbiamo trovato un’Italia normale
un’Italia senza guerra
dove tante persone vanno alla loro occupazione.
Ma in molti devono lavorare tutto il giorno per sopravvivere.
Come dappertutto, ci sono persone belle
buone con il prossimo, anche di altri paesi:
Africa, Afghanistan, America Latina.
Uno di noi ha incontrato una maestra gentile,
che lo ha aiutato a trovare
una persona che parlava inglese e persiano
per dire del proprio male alla schiena
nel Centro di Accoglienza.
E ha così potuto essere operato.
Un’altra ha trovato un’amica del padre
che ha cucinato per lei.

Ma c’è anche chi ha trovato persone
con uno spirito razzista
Uno di noi, di soli 17 anni,
quattro mesi fa
doveva fare un corso sulla legge,
in una scuola italiana.
Lui racconta:
“A mezzogiorno, durante la pausa in giardino,
un ragazzo come me, italiano,
ha aperto la finestra e ha gridato
Negro di merda!”
Lui sempre ci pensa.
Un altro, nel 2011, è arrivato con molte altre persone
a Pieve Emanuele
scappando dalla guerra civile in Libia.
Alcuni cittadini volevano fare una manifestazione
contro la loro presenza.
È una bruttissima situazione
per uno che ha bisogno di un rifugio
e viene accolto in questa maniera.

I documenti
Sono tante le cose da fare quando arrivi:
imparare la lingua, capire dove sei, come sopravvivere.
Ma la più importante è avere i documenti
essere libero
perché senza documenti sei in condizione di servitù.
È come non avere le gambe
sei sempre immobile
hai sempre paura.
È come non avere una casa
non sei mai sicuro
sei una scatola vuota
senza peso.
Non puoi viaggiare
non puoi tornare nel tuo paese
non puoi lavorare in regola
e se una macchina ti viene addosso
non puoi fare denuncia perché sei un clandestino.
Tutti i giorni pensi: “Adesso arriva la polizia”
non sei un criminale, ma ti senti un criminale.

Così, capita di perdere la dignità tante volte.
Quando sei malato e non vieni curato in ospedale
quando in un ufficio chiedi informazioni
e le persone non rispondono, parlano al telefono
quando porti un documento
e loro lanciano il foglio come una cosa da niente.
Per noi è un’esperienza di dolore.

Documenti difficili

A volte si trova la libertà dei documenti
dopo molti anni.
E a volte è difficile averli
perché non sempre l’amministrazione pubblica rispetta la legge.
Alla Questura di Milano chiedono l’ospitalità ai richiedenti asilo
prima di dare loro un permesso di soggiorno.
Ma come fa uno che è appena arrivato
a trovare qualcuno che lo ospita?
E poi la legge non lo chiede.
C’è chi ha chiesto la carta d’identità
e non gli è stata data.
Invece, durante un’assemblea,
l’assessore Majorino gli ha detto che è un diritto averla.
Un altro nostro amico
ha dovuto lasciare il passaporto alla Questura di Campobasso.
Gli hanno dato una ricevuta
per riavere il passaporto a Milano.
Da sei mesi lui va tutti i giorni alla questura:
gli dicono vai di qui, vai di là
giocano con lui come con un pallone.
E il passaporto è perduto.

È vero, se non hai i documenti,
se non fai niente di male,
in questo paese nessuno ti manda via.
In Francia, invece, nel 2011
sono state espulse 36.822 persone
e fra queste alcuni rom, cittadini europei.
Ma puoi finire in un Centro di Identificazione e Espulsione
e il Cie è come una prigione.

I rifugiati
Anche l’Italia per alcuni di noi diventa una prigione.
Vorrebbero andare in un altro paese
ma non possono
Il regolamento di Dublino
li costringe a stare nel paese
dove gli hanno preso le impronte digitali.
E a loro le hanno prese qui in Italia
e quindi non possono andare in altri paesi.

L’accoglienza secondo noi

Allora dobbiamo ripensare l’accoglienza ai rifugiati,
che non funziona bene.
Non grandi posti, per cinquecento, mille persone.
Ma piccoli posti, massimo per 50 persone,
con stanze per due, tre, non di più.
Adesso, nei centri di accoglienza non possiamo fare niente.
In un centro qui a Milano viene una signora rumena a pulire.
Perché non possiamo farlo noi?
Perché non pensiamo a dei centri dove le persone
possono cucinare, pulire e prendersi cura del posto?
Dobbiamo fare dei centri
dove chi gli ospiti sono di tante nazioni diverse
e chi ci vive da tempo aiuta chi arriva
e insegna loro come si fa.
Così è più facile, per gli italiani e anche per i rifugiati.
E dobbiamo fare subito una buona scuola di lingua.
I nostri titoli di studio molto spesso qui non valgono niente.
Dobbiamo cominciare tutto daccapo.
Allora subito si deve fare scuola
e insieme alla scuola il lavoro.
Lavori semplici, all’inizio, perché la lingua è poca:
pulire, lavori di campagna, di aiuto muratore…
ma lavoro, scuola e lavoro insieme,
perché non è bene stare fermi per mesi, in attesa.
Tutto cambia nella testa.

Libertà nuove

Fortunatamente, in Italia abbiamo trovato anche tante libertà che nei nostri paesi non abbiamo
a causa della guerra, della dittatura, della legge che non funziona,
della corruzione, che c’è anche qui:
i governi non si preoccupano dei poveri, ma solo dei ricchi.
E in molti paesi non si può dire quello che si pensa.
In Italia le donne sono più riconosciute e più libere
invece in tanti paesi l’uomo è sempre avanti
e le donne fanno tutto in casa.
Non sempre si può scegliere l’uomo o la donna che sposi
e allora se non ti piace sei infelice.
Però, avevamo libertà che qui non abbiamo:
potevamo accendere grandi fuochi
macellare gli animali per strada
costruire la casa da soli, con le nostre mani,
aprire un negozio senza tanti permessi,
fare musica fino a tardi, nella notte.

Vogliamo dire: non vedere nello straniero un nemico prima di conoscerlo
Ma come si fa?
A Niguarda un uomo del Ghana ha ucciso tre persone.
Vi ricordate i loro nomi?

Daniele Carella, 21 anni
Alessandro Carolé, 40 anni
Ermanno Masini, 64 anni.

È una tragedia per le loro famiglie
che non possono più vedere i loro cari
per le cose che avrebbero potuto fare
e tutto è caduto.
Ma è una tragedia per tutti noi, stranieri e italiani,
perché ha portato un pensiero di paura.
Ha tolto il coraggio di dire: Sono Larma, sono del Ghana!”.
Ha tolto il coraggio di cercare lavoro, di cercare amici.
Adesso, quando cammini per strada e vedono che sei nero,
cambiano marciapiede.
Forse non si spostano perché siamo neri,
ma noi adesso pensiamo così.
Tante persone italiane e straniere lavorano da anni
cercando un modo di convivere.
E adesso tutti sentiamo un pensiero di paura.
Perché questo fatto fa vedere gli stranieri tutti uguali
perché i giornali scrivono: Uno straniero! Un ghanese!
Ma non siamo tutti uguali.
La testa non è uguale, il cuore non è uguale.

Un uomo non può fare una cosa così brutta:
Ma ancora non capiamo: perché lui ha fatto questa cosa?

Vogliamo dire: non vedere nello straniero uno che ha solo bisogno
Ma come si fa?
È bello quando abbiamo un amico o un’amica
che non è una maestra, un educatore,
uno psicologo, un assistente sociale.
C’è chi vuole aiutarti sempre
ma il troppo non aiuta a sforzarti,
ti fa sentire sempre in una posizione di debolezza.
È bello quando abbiamo un amico o un’amica
che non è una maestra, un educatore,
uno psicologo, un assistente sociale.
Siamo pari. Ma capita poche volte.
Anche la maestra viene sempre trattata da maestra.
Quando incontriamo un italiano chiede subito:
da dove vieni? Quando sei arrivato?
Che lingua parli? Cosa mangiate?
Invece un amico non chiede. Dice:
andiamo a giocare a biliardo, a calcetto, a fare due passi.
Fra giovani è più facile:
ascoltiamo la stessa musica, parliamo tante lingue,
ci piace stare fuori, anche di notte.
Certo, ci dividono i soldi,
ma tante cose si possono fare senza soldi:
girare per la città, andare al parco Sempione a suonare
e al parco Nord a giocare a calcio
e a trovare gli amici afghani e italiani,
andare in Sormani o in piazza Duomo.

La nostra esperienza
È un’esperienza, questa nostra
conosci meglio la vita
e la vita non è tutto soldi
non sempre chi ha tanti soldi è una persona grande.
Noi vediamo persone che stanno bene,
hanno la bella macchina e vivono;
vediamo anche persone che non hanno niente e anche loro vivono.
Quando hai pochi soldi o, come qualcuno di noi, non hai niente,
riconosci meglio chi ti aiuta da chi non ti aiuta.
Non sbagli più.
Da solo, impari a farcela da solo,
solo Issaka pensa ad Issaka.
Forse molte persone non hanno paura degli stranieri,
hanno paura della povertà.

Vogliamo dire: non guardiamoci come stranieri prima di conoscerci

Ma come si fa?
Abbiamo immaginato di essere italiani
di vedere gli stranieri che arrivano nel nostro paese.
Che regole mettiamo?
Dobbiamo subito chiedere chi sei,
da che cosa scappi per essere arrivato qui.
Raccontare le nostre storie, ascoltare le storie degli altri
Dobbiamo dare informazioni corrette, anche con i numeri:
alle persone, sui giornali.
Dobbiamo fare feste per conoscerci
e incontrarci con i nostri interessi comuni,
i nostri bisogni comuni.
E bisogna dare subito i documenti
anche a chi non viene per fuggire la guerra:
dare la libertà di andare in altri paesi
di proseguire il viaggio
O di stare qui senza paura, senza rabbia.
Molti vengono per lavorare e per la guerra,
ma uno di noi è venuto per curiosità
perché tutti i compagni del villaggio dove è nato sono qui,
a Milano,
e anche lui voleva vedere.
È sbagliato essere curiosi, voler vedere altri paesi?
Tanti lo fanno.
Tanti italiani, tanti europei vanno in altri paesi.
Perché se sei nato in Egitto, in Somalia o in Afghanistan
devi avere regole diverse?
Se l’Italia è un paese dove la libertà è un valore
dobbiamo dare il permesso anche a chi sceglie di stare qui
non solo a chi è obbligato a stare qui.
Perché senza documenti non hai la libertà.
E senza libertà non c’è vita.

Un saluto

Ecco, questi siamo noi, questa è la nostra lettera.
Come Ulisse,
anche noi siamo approdati su una nuova terra.
In questa terra vivono soprattutto italiani
ma vivono anche uomini e donne, ragazzi e ragazze
nati in tanti paesi:
Niger, Ecuador, Repubblica Centrafricana, Egitto, Camerun, Senegal, Ghana, Nigeria, Afghanistan, Perù, Ucraina, Moldavia, Salvador, Germania, Turchia, Pakistan, Somalia, Mali, Romania, Grecia, Siria, e altri ancora.