Visioni

The missing picture

- 7 Luglio 2013

The missing picture di Rithy Panh
Figlio di un insegnante e di una madre affettuosa, Rithy Pahn aveva solo nove anni quando i Khmer Rossi entrarono a Phnom Pehn. Era il 1975 quando Pol Pot impose il socialismo reale, deportando gli abitanti e impedendo qualsiasi libera circolazione di idee. La famiglia del documentarista pagò a caro prezzo le conseguenze di tutto questo: il padre si lasciò morire, e anche gli altri – la madre, i fratelli, le sorelle – a poco a poco persero la vita, per fame e malattie.
Con il suo ultimo lavoro, intitolato The missing picture, il regista cambogiano sente la necessità di raccontare la propria vicenda, una catarsi aiutata dallo strumento cinematografico, anche se nessuna narrazione può rendere fino in fondo l’intensità del dolore.
La scelta del titolo evoca quell’immagine mancante, quella della fotografia di una famiglia unita, spazzata via dalla violenza e dall’ottusità ideologica e quella di un popolo privato di tutto: della volontà, dell’identità, della sua stessa esistenza.
Molto interessante la scelta di raccontare la Storia attraverso la creazione di statuine rosse plasmate nella terra, lavorate e dipinte a mano: quelle statuine vanno, poi, a creare dei quadri, come dei tableau vivant che si snodano in una “via crucis” moderna che riporta alla memoria, in maniera vivida ed emozionante, il genocidio del popolo cambogiano.
The missing picture ha vinto il primo premio della 66^ edizione del Festival di Cannes, nella sezione “Un certian règard” ed è importante citare anche la dedica che Rithy Pahn ha voluto fare ad un altro autore di un Paese dove, ancora oggi, la libertà viene negata: l’Iran. Il regista cambogiano, alla consegna del riconoscimento ha, infatti, dichiarato: «È la prima volta che la Cambogia prende un premio a Cannes. Penso che Jafar Panahi abbia molto lottato per questa libertà, di dire, di fare, di creare. Si può impedire a una persona di muoversi, di lavorare, ma non le si possono sottrarre immaginazione e pensiero».

Alessandra Montesanto
Per i diritti umani