Letture meticce

Calamite impossibili

- 28 Luglio 2013

Dal Senegal, alla Francia, all’Italia: odio-amore e altri sentimenti contrastanti nel primo libro scritto in italiano da Mohamed Ba.

«Cosa succede a un gruppo di calamite impossibili?». Pensateci su, leggendo questo bel romanzo di Mohamed/Amed Ba perché lui vi chiederà – a pag. 99 – di aiutarlo a rispondere. E se (come chi scrive) non ricordate il latino, fate un breve ripasso perché sarà pur vero – e Ba lo ribadisce – che quella di Catullo è «una frase che tutti conoscono e da millenni» ma insomma un po’ di mente locale non guasta. Anche perché Catullo parlava alla sua donna, ma per Amed l’amore/odio è il sentimento «che io, con i miei occhi di Africa, provavo per l’Europa».

Ba da molti anni vive in Italia: bravissimo mediatore culturale, teatrante, narratore e scrittore (eppure questo è il primo romanzo scritto in italiano).

Partiamo dall’inizio del libro? O dalla fine? Visto che poco fa si rimandava al latino, facciamo «in medias res» cioè buttiamoci verso la metà. Cioè quando Amed – il protagonista di Il tempo dalla mia parte (San Paolo edizioni: 140 pagine, 12 euro) – sta ascoltando Radio Popolare, «la sola che faceva suonare musica da tutto il mondo». Per un senegalese in Italia sentire l’aria di casa, magari con Youssou N’Dour, è fondamentale. Ma per un errore Amed sposta la manopola e si trova sintonizzato su Radio Maria. È una illuminazione. Religiosa? No, linguistica «perché mentre tutti gli speaker radiofonici parlavano facendo correre le parole una dopo l’altra, a una velocità folle, Radio Maria si prendeva il suo tempo». Il rosario poi è perfetto: «non solo scandivano bene le parole, ma le ripetevano centinaia di volte»: l’ideale per Amed che è musulmano ma ha bisogno di imparare l’italiano.

Questo piccolo episodio è tipico dello stile scanzonato di Ba: il romanzo affronta temi spinosi e profondi con delicatezza, senza salire in cattedra eppure senza banalizzare; la semplicità è una dote rara soprattutto quando in giro comandano ignorantoni da una parte e presuntuosi ma oscuri accademici dall’altra. E pur se inevitabilmente alcuni passaggi del romanzo sono drammatici, l’autore non dimentica il piacere (l’obbligo?) di sorridere… ogni volta che si può.

Il tempo dalla mia parte comincia con un indimenticabile nonno, saggio e un po’ folle. A un certo punto nonno Maam – «figlio di Usseinu che è figlio di Assan e nipote di Usman, che è fratello…» – ha spiazzato anche me oltre che i poliziotti dell’aeroporto e suo nipote Amed; è quando sentenzia «la gioventù sapeva e la vecchiaia poteva» e io sono rimasto lì a chiedermi per 5 minuti perché a me la frase suona a rovescio («ah se vecchiaia potesse, ah se gioventù sapesse»). E se fossero due diverse idee del  mondo? Mi piacerebbe parlarne con Mam e/o con suo nipote. Fine della digressione personale.

La vicenda narrata da Ba prosegue portandoci a Jolof (in Senegal) dove regna la siccità e si sospetta che la colpa sia di Bekor, «la bestia del Nord». È appena morto «il sovrano» del villaggio e spetta al «saltighé» trovare una soluzione. Dal ventre di una donna sta per nascere un bimbo che si chiamerà Biran: sarà lui a dover partire per salvare Jolof. Qui però il recensore si deve fermare perché non è bello svelare la trama. Di certo Amed, nel suo viaggio tra Francia e Italia, scoprirà quanto è strano il mondo esterno ma anche quello dentro di lui: clandestino, ospite, straniero, carcere, mafioso, sorriso, vu cumprà (e «vu pensà») sono parole a esempio che Amed – e chi legge con lui, grazie alla bravura del narratore – dovrà capire di nuovo.

Come il nonno aveva detto ad Amed «non riusciamo a vedere il punto più vicino all’occhio perché ci siamo troppo vicini». Mohamed Ba però è bravissimo a fornirci di lenti speciali, quasi un macroscopio del vivere quotidiano, dell’incontro con chi è diverso (non lo siamo tutti in realtà?), dei sentimenti, delle tradizioni («non c’è nulla che le renda così forti quanto la lontananza da casa»), di «una malattia mortale chiamata povertà», della bellezza nascosta delle genti di Sicilia, di quel Mare Nostrum che per altri è «cimitero nostro», dei Dogon, del cammino necessario per capire. Ora sta a noi voler vedere e non solo guardare.

Il tempo dalla mia parte chiude con un un invito davvero impegnativo che inizia così: «Padre, forse non hanno saputo comprendere le tavole della Legge […] Padre, lasciami dire umilmente che forse bisogna tradurgliele». Seguono 10 “comandamenti” riscritti da Ba su cui – credente o laico che sia chi legge – vale riflettere un poco.

Poi, a libro chiuso, ripensate alla domanda sulle calamite impossibili.

Daniele Barbieri