Appunti

Su Lampedusa e i lampedusani

- 28 Luglio 2013

L’accoglienza, quella vera, vissuta e praticata in silenzio, senza bisogno di telecamere e riflettori. La testimonianza di Alessandra Ballerini.

A Lampedusa c’è chi il Nobel non lo vuole. Non per ingratitudine o per snobismo. Ma, al contrario, per consapevole modestia.
Non siamo eroi, mi dicono. Quando dividiamo pane e vestiti con naufraghi dell’età dei nostri figli, facciamo solo il nostro dovere. Di essere umani, di cristiani per chi crede e soprattutto di donne e uomini di mare che conoscono il valore del soccorso che si riceve e si offre, a rotazione.
È come per i morti di mafia. Non chiamate eroi neppure loro, ci chiedono. Sono solo persone che hanno fatto il loro dovere. E fare il proprio dovere non deve essere eroico, né eccezionale. Se no si legittimano tutti gli altri, tutti quelli che il proprio dovere non lo fanno. E smettetela di mistificare la realtà e di manomettere le parole.
L’isola non è invasa dai migranti. Non ci sono sbarchi ma solo salvataggi in mare e naufraghi scortati dalla guardia costiera. E poi, il centro di Contrada Imbriacola, dove oggi sono illegittimamente privati della libertà personale 710 donne uomini e bambini, ammucchiati in degradanti condizioni da oltre 10 giorni senza aver mai visto un giudice né un avvocato, in barba all’art. 13 della Costituzione, non definitelo di accoglienza. Distinguiamo la prigionia dall’ospitalità.
E soprattutto non chiamateli clandestini, queste anime salve che approdano sull’isola. Sono donne, bambini, giovani uomini, scampati alla fuga e al mare. Sono naufraghi e richiedenti asilo.
E non dite, quando li vedete inginocchiati a pregare a decine davanti a una chiesa chiusa che sono “in rivolta”. Non chiamatela tensione la loro pacifica determinazione nel chiedere di poter proseguire il viaggio, fino ad una terra che li accolga e non che semplicemente li tolleri. Sgattaiolare fuori dall’apposito buco del recinto di Contrada Imbriacola, non è un gesto di rivolta. Quel buco nella rete c’è da sempre. È la falla del nostro sistema. Il Cpsa dovrebbe essere “aperto” e le persone dovrebbero esservi accolte e soccorse, non imprigionate per giorni e settimane, ammassate a centinaia in condizioni indecenti. Allora c’è il buco nella rete. Se i diritti nel Centro non possono entrare, neppure quelli più elementari e fondamentali (libertà e dignità ad esempio) almeno alcuni tra i naufraghi, i più dinamici e intraprendenti, possono di tanto in tanto uscire. Cosi l’isola li può finalmente vedere. Belli, fieri, pacifici.
C’è una signora anziana sul piazzale di fronte alla chiesa che li osserva durante la loro preghiera sul cemento. Li guarda e intanto si avvicina. Le sorridono e lei ricambia. La ringraziano, dicono proprio “grazie” forse l’unica parola che sanno nella nostra lingua e le tendono la mano. Lei si commuove. Quando dopo la preghiera si alzano silenziosi, ordinatamente eleganti, alcuni di loro raccolgono da terra le cicche di sigarette perché quel luogo resti sacro e pulito. I pochi italiani nel piazzale li guardano attoniti.
E quando alcune donne eritree accomiatandosi ringraziano timide, la mia amica Paola risponde decisa: siamo noi che ringraziamo voi.
Paola e la signora anziana non sono eroine. E non lo sono neppure i 62 campeggiatori di Amnesty International che trascorrono le vacanze a ragionare sui diritti umani e sulla loro difesa. Neppure lo sono giuristi, artisti, attivisti che dedicano tempo e energie a cercare di dare voce e offrire tutela a minoranze silenziose, inascoltate e indifese. Non sono eroi e non prenderanno il Nobel per la pace. Eppure li abbiamo ben visti mentre si svuotavano gli armadi e le dispense per offrire conforto e accoglienza (quella vera, che non ha bisogno di reti di detenzione) ai tunisini ammassati sul molo nella primavera araba/siciliana del 2011. Quando lo Stato latita, loro, i non eroi, ci sono sempre. Ma il Nobel non lo vogliono.
Lo ha preso Mandela mi dicono, lo ha ricevuto Amnesty, per noi sarebbe davvero troppo. Abbiamo fatto solo il nostro dovere.
Però lo fanno proprio bene.

Alessandra Ballerini