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Non è un Paese per profughi

- 1 Settembre 2013

Ad affermarlo, questa volta, è una sentenza tedesca. In un momento particolarmente critico per l’area mediterranea e per il mondo intero.

Una recente decisione del Tribunale amministrativo di Francoforte, in Germania, ha sospeso un trasferimento verso l’Italia, in base al regolamento Dublino II (che stabilisce lo stato competente ad esaminare le richieste di protezione internazionale), di un giovane richiedente asilo afghano di 24 anni che, dopo avere attraversato la Grecia, era passato in Italia a bordo di una nave e qui era stato identificato con il prelievo forzato delle impronte digitali. Una decisione assai importante perché riguarda casi che continuano a verificarsi in Sicilia, in particolare nelle province di Siracusa e di Catania, a fronte dell’arrivo di un numero sempre più consistente di persone in fuga dalla Siria e dall’Egitto, che non si vogliono fermare in Italia ma proseguono il loro viaggio verso altri paesi europei. Lo stesso problema si era posto ancora pochi mesi fa nell’isola di Lampedusa dove, proprio alla vigilia della visita del Papa, un gruppo di eritrei si era opposto al prelievo forzato delle impronte digitali ai fini dell’inserimento delle stesse nel sistema informatico Eurodac, che consentirebbe ai diversi stati europei di stabilire la competenza per l’esame delle richieste di asilo presentate in uno dei paesi appartenenti all’Unione Europea.
Secondo i giudici tedeschi, quindi, la rilevazione delle impronte digitali, che comunque possono essere prelevate a tutti coloro che hanno attraversato irregolarmente una frontiera Schengen, non costituisce una prova che la persona ha presentato una domanda di protezione internazionale nel primo paese d’ingresso. La sentenza del Tribunale amministrativo di Francoforte sottolinea anche come il sistema di accoglienza italiano non garantisca il rispetto degli standard minimi previsti a livello europeo per tutti coloro che richiedono protezione internazionale.
Negli ultimi anni, malgrado alcune sentenze avessero riconosciuto la possibilità di portare dei Dubliner in Italia, anche mediante accompagnamento forzato, altre decisioni di Tribunali amministrativi tedeschi avevano sospeso questo tipo di trasferimenti tenendo conto del quadro legislativo, e soprattutto delle prassi applicative della polizia di frontiera, che non corrispondevano agli standard delle garanzie imposte dal diritto dell’Unione Europea e riconosciuti dal diritto tedesco. In particolare, si dubita fortemente da parte dei giudici tedeschi, che in Italia i richiedenti asilo possano decidere liberamente se presentare una istanza di protezione internazionale, ed in caso affermativo, se possano avere corretto accesso alla procedura. Sentenze come la decisione del Landessozialgericht Nordrhein-Westfalen, del 16 novembre 2010, impongono di non considerare l’Italia come un “paese sicuro” ai fini dell’applicazione del regolamento Dublino II, in quanto mancherebbe la certezza che le domande di asilo possano essere presentate in Italia nel rispetto delle garanzie offerte dalle direttive comunitarie e dal Regolamento Eurodac.
Nelle decisioni dei tribunali amministrativi tedeschi si sottolinea anche la penosa condizione abitativa cui sono costretti i richiedenti asilo in Italia, soprattutto nelle prime fasi dopo gli sbarchi e dopo il riconoscimento dello status, quando sono costretti assai spesso alla condizione di senzatetto. Il sistema di accoglienza italiano è infatti articolato secondo percorsi paralleli governati da normative e da prassi applicative improntate ad una continua emergenza, al punto che ancora oggi si continua a fare largo uso di una legge del 1995, la cosiddetta legge Puglia, che consente l’attivazione di centri di prima accoglienza (Cpa) da parte delle prefetture, al di là del rispetto di qualsiasi requisito, come la mediazione linguistica, l’assistenza sanitaria e l’assistenza legale, imposti dalle normative europee. Dopo la prima accoglienza, che nei Cpa e nei Cpsa (Centri di prima accoglienza e soccorso), come quelli di Lampedusa e Pozzallo (Rg) si protrae ben oltre “il tempo strettamente necessario” in base all’art. 23 del regolamento di attuazione, dovrebbe verificarsi il trasferimento dei richiedenti asilo in uno nei nove Cara aperti in Italia per l’espletamento della procedura per il riconoscimento dello status. Procedura che spesso ha una durata ben superiore a quella delle misure di accoglienza anche per la inopinata riduzione del numero delle sottocommissioni competenti ad esaminare le domande di asilo, decisa dal governo Monti all’inizio del 2013. Ed è anche questa una delle ragioni che inducono molti profughi a non presentare neppure una richiesta di protezione internazionale nel nostro paese.

Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo