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Dopo la tempesta

Stefano Galieni - 17 Novembre 2013

Typhoon_Hayan Hayan (chiamato anche Yolanda) ha colpito 36 province filippine interessando oltre 11 milioni di persone, creando circa 4 milioni di sfollati e un numero ancora imprecisato di vittime. Numerose organizzazioni umanitarie, da Msf all’Unhcr, dalla Cri a Intersos, si stano impegnando per gestire l’emergenza. Molti feriti sono ancora senza assistenza medica e non sono ancora state raggiunte le aree più isolate, dove la situazione potrebbe essere catastrofica. E anche la comunità filippina residente in Italia si è attivata per raccogliere fondi a supporto della popolazione colpita. Le chiese frequentate dai filippini sono divenute in breve i primi centri di contatto e raccolta. Il coordinatore nazionale, padre Paulino Elmer Bumanglag, è in contatto con tutte le comunità cattoliche presenti in Italia per avere informazioni e coordinare gli aiuti. Il sacerdote ricorda che negli ultimi due anni sono state sei le calamità naturali che hanno colpito le Filippine, con migliaia di morti. Il telefono di Charito Basa, vice presidente del Filipino Women’s Council e Defence for Children, continua a squillare. Interviste ma anche richieste di aiuto. Ha poco tempo ma ci tiene a dire una cosa: «Aiutateci ma rispettando la nostra autodeterminazione. Di aiuto c’è bisogno ma dobbiamo fare da noi».
Una proposta intelligente è stata lanciata, per ulteriori interventi concreti anche a medio e lungo termine, da Monsignor Perego di “Migrantes”. L’idea è semplice: detassare le rimesse. «Nella pastorale per i filippini operano 120 presbiteri diocesani e religiosi – afferma – per una comunità di 150 mila persone almeno. Insieme alla preghiera diventa fondamentale la solidarietà concreta di tutti, perché i filippini in Italia si sentano sostenuti e, al tempo stesso, perché si creino le condizioni – ad esempio, permessi straordinari retribuiti ai lavoratori per la visita in patria alle famiglie o detassazione delle rimesse – perché le famiglie filippine non siano costrette a vivere un dramma a distanza, per l’impossibilità di raggiungere la propria terra».

Stefano Galieni