La lettera

Un affettuoso in bocca al lupo…

Fabrizio Gatti - 20 Novembre 2013

1452300_258746794275225_2079354063_nProprio dieci anni fa, in giornate come queste, mi trovavo in mezzo al deserto del Sahara. Ero più o meno all’inizio del mio viaggio da infiltrato come Bilal, lungo la rotta che dall’Africa porta in Europa. E lì, aggrappati come eravamo ai camion stracarichi di passeggeri, era evidente che allora come oggi l’immigrazione non esiste. No, ciò che esiste sono le migrazioni: un volto per ciascun uomo, ciascuna donna, ciascun bambino che si mettono in viaggio. Esistono i nomi, le età, le storie, le ragioni, le ambizioni, i sogni, i progetti personali. È questo l’insieme di un evento umano straordinario che nella nostra lingua definiamo immigrazione. Ma quando la chiamiamo in questo modo, non dobbiamo mai dimenticare che dietro ciascuna lettera di questa parola ci sono centinaia di migliaia di persone, la loro vita e molto spesso la loro morte. Così come dietro la parola emigrazione si riassumono le sofferenze, le paure e anche i successi dei nostri nonni, delle nostre nonne, dei nostri genitori e oggi dei nostri figli costretti dal fallimento della politica economica, ancora una volta, a emigrare. Vicende del nostro passato e del nostro presente si uniscono in un universo di esperienze personali in grado di dissolvere la differenza tra “noi” e “loro”. Le migrazioni, appunto.
Viviamo settimane tragiche. Non solo per il fatto che davanti all’Italia in undici giorni, dal 30 settembre all’11 ottobre, siano morte annegate 646 persone, tra le quali un centinaio di bambini, in fuga dalla guerra civile in Siria e dalla dittatura in Eritrea. L’aspetto più tragico, secondo la mia opinione, è l’arroganza, il cinismo, la violenza con cui i 28 capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles nel Consiglio europeo a fine ottobre, pochi giorni dopo le stragi, hanno deciso che 646 profughi annegati non fossero una questione urgente da discutere. Questione asetticamente, vigliaccamente rinviata a giugno 2014. Questa sarebbe insomma l’Unione Europea che dovrebbe smussare gli ostacoli e favorire l’unione tra i popoli. Mai l’ideale che ha riunito gli europei dopo le tragiche divisioni della Seconda guerra mondiale è stato così altamente tradito. Del resto, non dovremmo meravigliarci: il modo in cui da qualche anno l’Europa ricca sta calpestando la Grecia, nuovo bacino di e-migrazione, ne è la dimostrazione.
È per questo che bisogna scrivere e parlarne sempre di più. Bisogna scriverne e parlarne sui siti online, nei giornali, in tv, tra gli amici, per strada, in casa, perfino con noi stessi. Scriverne e parlarne per fermare la xenofobia e il razzismo travestiti da legalità. Per cambiare le regole del consenso e della paura che da vent’anni condizionano i governi, non solo in Italia. Per restituire sostegno all’Europa degli uomini e delle donne e mettere finalmente in archivio l’Europa delle nazioni e i suoi sottoprodotti: che in Italia sono il reato di clandestinità, il divieto ai bimbi nati o cresciuti tra di noi di diventare cittadini europei e altre costose assurdità di questo tipo. È per questo che oggi, dal mio computer nella redazione dell’Espresso dove lavoro, mando il mio più affettuoso in bocca al lupo al nuovo Corriere delle migrazioni, a Stefania Ragusa, Stefano Galieni e alla redazione tutta, e ai colleghi che in questi anni non hanno mai smesso di denunciare il tragico volto dell’Europa. E dell’Italia.

Fabrizio Gatti