Italian cricket club

La recensione

Francesca De Luca - 9 Dicembre 2013

Una mazza, una palla, una battuta, un campo che quasi mai è regolamentare. Sono alcuni degli elementi del cricket all’italiana. Lo raccontano Ilario Lombardo, Giacomo Fasola e Francesco Moscatelli nel libro Italian cricket club, edito da add editore. Un libro a più mani, nato dalla curiosità e che interessa anche noi, che siamo Corriere delle migrazioni e non un magazine sportivo, perché il cricket all’italiana è portato avanti, in massima parte, da immigrati del subcontinente indiano. E perché fornisce il pretesto per raccontar d’altro: parlare di un’Italia nella quale il capitano della nazionale lavora come portiere, la nazionale under 15 (composta prevalentemente da atleti “stranieri”) vince gli Europei e alla vice presidenza del Senato teniamo chi dà dell’orango al ministro Cécile Kyenge.

Maneerat, Edoardo, Tasniea e Pashupati, “l’indiano bianco” (per metà svedese e per metà italiano), sono solo alcuni dei numerosissimi personaggi che incontriamo durante la lettura. Le loro storie, che spesso si intrecciano, raccontano di un’altra Italia e di uno sport “di importazione” nel quale gli stranieri sono gli italiani. Gli autori sembrano chiedere al lettore di saltare in macchina con loro per iniziare un viaggio che attraversa il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Lombardia, la Liguria, il Piemonte, il Lazio, le Marche. Un viaggio attraverso lo spazio e il tempo, a partire da quegli anni novanta caratterizzati dall’arrivo di numerose immigrati provenienti da India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka.

Per gli indiani, i pakistani, i bengalesi e i singalesi, il cricket è sport ed è rito. È l’occasione per dimostrare il tuo valore e maturare il senso del rispetto anche per l’avversario. Anche per questo è considerato lo sport dell’incontro e dello scambio. Una partita, che può durare ore o anche giorni, ti costringe a condividere il tuo spazio e il tuo tempo con un antagonista che impari a conoscere ed apprezzare.
Il cricket è rilevante, in un’Italia sempre più chiusa e diffidente, perché, in un certo senso, ci aiuta a comprendere come si sta dall’altra parte della barricata. In questo caso siamo noi i forestieri che chiedono accoglienza. Siamo noi “gli altri”. Ed è altresì importante perché ci costringe a fare i conti con l’arretratezza e l’inadeguatezza delle nostre leggi, che non riconoscono la cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia.
Il merito degli autori è sicuramente quello di esser riusciti a parlar di sport riducendo all’essenziale i dettagli da “addetti ai lavori”. Pur essendo numerosi gli accenni alle regole, alle categorie e a tutti quei particolari che sicuramente interessano un appassionato di cricket e meno un lettore incompetente, la narrazione è resa fluida grazie all’insistenza sulle storie e sui molteplici riferimenti alla situazione politica contemporanea al racconto.
Un libro che può aiutare a capire cosa succede nei parchi delle nostre città e che apre gli occhi su un’Italia destinata a cambiare.

Francesca De Luca