Khalid e le bocche cucite a Ponte Galeria

- 23 Dicembre 2013

bocca_cucitaSi fanno forza l’uno con l’altro. Lo sguardo duro e lucido, la tensione estrema che trapela dai movimenti secchi. La protesta dilaga, dopo che probabilmente 5 degli uomini che l’hanno attuata sono stati rimpatriati, mentre arrivano voci che vedono oltre agli uomini anche le donne in lotta, è iniziato un duro braccio di ferro, difficile prevedere l’esito. Ma li abbiamo visti ed è impossibile rimuovere una scelta così cruenta. Un unico filo, spesso, ricavato da una coperta, a volte verde, a volte nera, chiude loro le due labbra, la ferita è pulita e disinfettata ma loro, quel filo, non se lo fanno toccare. Un filo che chiude la bocca di altri 8 uomini. Alcuni si mettono in prima fila, dietro le grosse sbarre, soprattutto all’arrivo dei giornalisti, altri restano a distanza guardando coloro che si avvicinano con diffidenza. Quanto accaduto a Ponte Galeria, nel Cie più grande d’Italia, in questo fine settimana, forse è solo l’inizio di un salto in avanti delle mobilitazioni che da sempre i trattenuti cercano di mettere in piedi. La cronaca è nota: ha iniziato un uomo di 32 anni che protestava tanto per i tempi di trattenimento quanto per la scomparsa di una somma che avrebbe inviato a casa sua e che non sarebbe mai arrivata. Come lui hanno fatto altri 3, poi altri 4 in serata, poi altri 2 durante una notte agitata, mentre giungevano parlamentari (una delegazione di Sel) e giornalisti. Con loro la coordinatrice della campagna LasciateCIEntrare, Gabriella Guido. «Non nutrivano grandi speranze nel vederci – dice – del resto cosa possono aspettarsi, questa giornata è per noi una pagina nera nella storia della democrazia, del governo e delle istituzioni preposte, forse una delle peggiori». Ma sabato sera la situazione sembrava tranquilla, circolava anche la voce che i prigionieri si fossero lasciati scucire le labbra. «Siamo tranquilli», dicono dalla prefettura di Roma ad alcuni giornalisti. Intanto nella mattina di domenica tornano nel centro, situato a pochi chilometri dall’aereoporto di Fiumicino, altri parlamentari (Gianni Cuperlo e Luigi Manconi), il vice sindaco Luigi Nieri e la consigliera regionale Marta Bonafoni. E poi troupe televisive. Alcune sono riuscite ad entrare, ad altre è stata negata l’autorizzazione. Si entra in gruppi separati, si esce con la stessa violenta impressione, quella che sommessamente confessa lo stesso direttore del centro subentrato ad agosto: «Questi fanno sul serio e stavolta non si fermano. Vogliono andare fino in fondo». E colpisce nell’accavallarsi delle voci dei migranti, il loro sentirsi collettivo. Ci sono quelli con le bocche cucite (10 mentre facevamo il nostro sopralluogo, a poche ore di distanza sarebbero diventate 15)) e gli altri, soprattutto di origine magrebina, che hanno deciso da sabato di non accettare più il cibo e di non assumere i medicinali a loro prescritti. Sabato lamentavano la lunghezza del trattenimento, domenica chiedono tutti la stessa cosa, hurria (libertà). E dicono tutti la stessa cosa, in Italia non vogliono più restarci, nel paese di provenienza neanche a parlarne.  Ponte Galeria, chi ci è entrato lo afferma da anni, è una polveriera. Lo stesso prefetto di Roma ne chiese anni fa la chiusura. E non si trattava certo di un militante dei collettivi antagonisti. Uno dei trattenuti che protestano ha la propria compagna detenuta nel settore femminile. Sono fuggiti perché i parenti non volevano il loro matrimonio, se tornano rischiano la vita. Riescono ad incontrarsi durante il giorno in brevi colloqui sotto rigida sorveglianza. I nomi preferiscono non farli. C’è chi proviene dalla Svizzera, chi è nato in Italia, chi è uscito dal carcere dopo aver scontato la pena e chi è stato preso all’uscita dal posto di lavoro, chi ha chiesto asilo e non lo ha avuto e chi è passato direttamente da Lampedusa. K. è uno delle “bocche cucite”, la sua storia la racconta un amico che parla italiano. «Lui è arrivato a Lampedusa – dice – poi lo hanno mandato a Caltanissetta dove è rimasto 4 mesi e ora è qui: non capisce perché e non ci vuole restare. Vuole essere libero, tutti vogliono essere liberi». Sì,  Lampedusa non è lontana: almeno, non dal punto di vista delle ferite aperte.

Un deputato in gabbia Nessuno era informato della scelta. Poche ore dopo che il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, tra scrosci d’applausi aveva riferito in parlamento in merito all’ormai conosciutissimo video su Lampedusa, Khalid Chaouki è partito alla volta dell’isola. È entrato nel centro, in coerenza con il proprio mandato ispettivo, e tramite twitter e gli altri social network ha comunicato la sua intenzone di restar dentro fino a quando non verrà ripristinata la legalità nel Cpsa di Contrada Imbriacola. Ha scritto una lettera a La Stampa in cui afferma: «Ho deciso di compiere questo gesto forte di protesta, rinchiudermi e rifiutarmi di abbandonare i profughi siriani ed eritrei nella loro solitudine e inascoltata protesta, perché qui a Lampedusa vengono tuttora lesi i diritti fondamentali della persona, così come non vengono rispettate le leggi del nostro Paese e le direttive in materia di protezione dei rifugiati. Non abbandonerò questo Centro finché non verranno rilasciati, come previsto dalla legge, tutti profughi e destinati nei centri idonei per la loro accoglienza». Ha inviato le foto del centro, piove e tutto è in condizioni pessime, si mangiano panini su materassi malmessi, nel centro, in cui sono rinchiuse oltre 200 persone, si trovano anche 7 sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre, 6 uomini e una donna, a detta di Chaouki in condizioni di totale disperazione. Otto cittadini siriani sono in sciopero della fame e della sete, non vogliono restare nell’isola e in quelle condizioni. Non ci vuole restare  neanche Khalid, il ragazzo siriano che ha girato il video che ha fatto ormai il giro del continente. «Abbiamo celebrato i loro compagni morti come martiri – ha ripreso il parlamentare del Pd – e ora puniamo i sopravvissuti. Una ipocrisia inaccettabile». Un gesto che non può restare inascoltato. Mentre si attende la risposta del Governo,  i sostenitori della campagna LasciateCIEntrare hanno già fatto sapere che non lasceranno solo il deputato: «Ora tocca anche alla società civile di cui anche noi facciamo parte, farci sentire e non lasciare soli né Khalid Chaouki né i profughi, né i detenuti di Ponte Galeria».

Chiudere i Cie, realizzare accoglienza Gli eventi di Ponte Galeria e di Lampedusa hanno prodotto reazioni forti. Sono anche riusciti a parlarsi da una parte all’altra del Paese, Chaouki e alcuni detenuti nel Cie romano, per loro è stato importante non sentirsi soli. E’ stata pronunciata con nettezza la parola “chiudere”, anche da parte di coloro fino a ieri troppo prudenti o disattenti. Non è la prima volta, però, che a seguito di eventi dolorosi arrivino dichiarazioni coraggiose. Bisogna vedere cosa accadrà ad acque calme: chi terrà fede alla parola data. La protesta di Khalid Chaouki, agita mettendosi in gioco in primissima persona, però potrebbe davvero fare da spartiacque, impedendo che, passate le feste, tutto riprenda come prima. A Ponte Galeria, ricordiamolo, con noi  sono entrati il presidente del Comitato per la tutela dei Diritti Umani del Senato, Luigi Manconi, il presidente del Pd Gianni Cuperlo, autorità locali in rappresentanza delle istituzioni. Le loro dichiarazioni non possono passare inosservate e debbono rientrare nel dibattito pubblico per modificare radicalmente le leggi esistenti. Questo anche se il Presidente del Consiglio, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, si è limitato a dire che i Cie vanno “cambiati” e che a gennaio si metterà mano alla Bossi – Fini. Per quanto le competenze regionali siano limitate, la consigliera regionale  del Lazio, Marta Bonafoni, ha annunciato una immediata mozione in materia. Molto probabilmente, quando il 24 dicembre la Commissione Europea dovrà valutare le modalità con cui i Paesi Membri hanno applicato la direttiva 115/2008 (la famosa Direttiva Rimpatri), l’Italia rischia di essere ancora una volta redarguita e sanzionata. Ma questi sono i tempi alti e altri della politica. Corriere delle Migrazioni si prende qualche giorno di vacanza. Ma anche se non aggiorneremo il sito, la prossima settimana, continueremo a seguire la vicenda con la massima attenzione. mentre chiudiamo il numero delle bocche cucite a Ponte Galeria sale.  Quante ce ne vorranno ancora per svuotare e chiudere le gabbie?

Stefano Galieni