Milano

Denis e il pensiero creativo

Cristina Sebastiani - 23 Dicembre 2013

123942026-f19b6767-754c-44ba-bc21-35c2f52f02c2Denis viene dal Congo Brazzaville, ha 46 anni e assomiglia ad un attore afroamericano, uno di quelli grandi e grossi, con le mani come badili e lo sguardo gentile, a cui fanno recitare sempre la parte dell’amico buono e leale.
Arriva in Italia nel 2005, su richiesta di ricongiungimento da parte della moglie, un’imprenditrice congolese arrivata un paio d’anni prima. Il matrimonio però non sopravvive al periodo di lontananza e quando nel 2007 Denis inoltra richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno scopre che avrebbe dovuto presentare alcuni documenti che la moglie si rifiuta di dargli.
Qualche mese dopo arriva notizia del divorzio, ratificato dal tribunale congolese, e Denis si ritrova solo in un paese che non ha ancora imparato a conoscere, convinto che con la fine del matrimonio sia finita anche la possibilità di avere un nuovo permesso.
Non si ripresenta mai più in Questura. Trova lavoro come badante presso un connazionale naturalizzato italiano, che soffre dei postumi di un ictus e che vive solo: si prende cura di lui come un figlio e non si fa più domande.

In realtà, avendo già un lavoro e un’abitazione, Denis avrebbe potuto chiedere, già nel 2007, che il permesso di soggiorno famigliare fosse convertito in uno per motivi di lavoro.
Ma non lo sapeva e non l’ha fatto. Passano quasi sei anni, di una quotidianità sempre uguale.
Sei anni in cui Denis a volte guarda la ricevuta della domanda di rinnovo che ha in mano e si chiede cosa farne, senza mai riuscire a trovare una risposta. Sei anni in cui, per fortuna, Denis non ha mai subito controlli di polizia che altrimenti avrebbero portato velocemente ad un’espulsione dall’Italia.
Sei anni senza scossoni, ma nella totale impossibilità di fare o anche di immaginare qualcosa di diverso: impensabile credere di poter cambiare lavoro, impensabile sperare di andare a trovare la famiglia rimasta in Congo.

Quando arriva da me, portato dall’amico di un amico che finalmente si è preso a cuore la sua situazione, non sono capace di nascondergli che le probabilità di avere un permesso di soggiorno sono pochissime. Pensavo che la Questura, nel 2007, dopo avergli detto con quali documenti integrare la pratica, avesse atteso qualche mese e poi archiviato la sua richiesta. L’unica speranza poteva consistere in una falla nel sistema burocratico, ma anche in questo caso solitamente oltre l’anno la Questura non accetta di valutare ulteriormente le pratiche. Sei anni mi sembravano un periodo davvero troppo lungo.
In ogni caso ho raccolto la documentazione relativa alla sua condizione di lavoratore (benché non regolare) e alla sistemazione alloggiativa, ho scritto la relazione e ho chiesto appuntamento in Questura. Sorprendentemente, ho avuto abbastanza velocemente una data.

A volte basta solo valutare un punto di vista più creativo e questa volta il mio punto di vista è stato accettato: Denis non è una persona irregolare da allontanare dal Paese, ma una persona che è finita suo malgrado (e come tanti) in una parziale irregolarità, che ha comunque iniziato un percorso lavorativo e di integrazione significativo, e che valeva la pena sostenere e salvaguardare.
Rischiavo che si sarebbe colta l’occasione per notificare a Denis l’archiviazione della pratica e chiudere la faccenda, il pericolo era anche che lo trattenessero, seduta stante, per eseguire l’ordine di rimpatrio, trattandosi comunque di persona irregolare da molti anni.

Invece il permesso di soggiorno di Denis non era mai stato archiviato, era ancora lì, dopo sei anni: dunque è bastato riprendere in mano la pratica, aggiornarne i dati e richiedere che fosse modificata adeguandola alla nuova situazione.
Et voilà, in poco più di due ore siamo usciti dalla Questura con un permesso di soggiorno in mano. Denis ha avuto la fortuna (ed è amaro chiamarla fortuna quando si tratta di diritto, ma così è) di incontrare un ispettore umano e gentile che tra due punti di vista, entrambi nell’ambito della legge, ha voluto adottare quello più favorevole, dimostrando che c’è chi considera i migranti delle persone che possono trovarsi in difficoltà. Spesso, invece, prevale la logica secondo cui la difficoltà di un migrante diventa una vittoria per lo Stato, quando riesce ad espellerlo.

Il pensiero creativo a volte paga, è una bella soddisfazione.

Cristina Sebastiani

Nella foto: l’opera donata da Arturo Barbante alla mostra Save my Dream.