Bocche cucite

Non è la prima volta

- 23 Dicembre 2013

Bocche cucite. Questa pratica ha una antica tradizione di strumento di protesta negli universi concentrazionari. Nella detenzione amministrativa accadde già all’epoca dell’istituzione dei Cpt (Centri di Permanenza Temporanea) il vecchio nominativo. Il primo caso di cui si ha notizia si verificò a Trapani, in un centro ora chiuso (e forse per sempre), quel Serraino Vulpitta in cui il 28 dicembre del 1999, ben 6 trattenuti trovarono la morte dopo un incendio non spento. Ma di fatti di questo tipo se ne sono verificati un po’ ovunque: a Torino nel 2010 e prima ancora a Bologna, Lamezia Terme, Crotone. A Bologna fu una giovane donna, poi liberata, a cucirsi nel maggio 2010. Pochi giorni dopo venne seguita da un giovane afghano a cui era stato negato il diritto di asilo, nel Cie di Brindisi. E poi ogni tanto a raffica, in 3 a Bari, nel 2009, altri a Gradisca di Isonzo, nel  2012, chissà quanti non ne sono stati segnalati. A Ponte Galeria era già avvenuto nel marzo 2009, a seguito della morte, avvenuta in circostanze non chiare, di un trattenuto. Si tratta di una vera e propria forma di lotta, spesso imparata in carcere e attuata anche in altri Paesi, fino all’Australia, il solo strumento per farsi sentire. E chi non ha scelto simili gesti ne ha compiuti altri altrettanto violenti verso se stesso, dall’infliggersi ferite con qualsiasi mezzo, all’ingerire oggetti di ogni tipo, al tentativo di impiccarsi, usando ogni strumento disponibile. I centri, ma questo i solerti osservatori che ancora si industriano a parlare di efficienza e di miglioramento, non sembrano conoscerlo, così come sembrano ignorare il quantitativo di psicofarmaci a cui i detenuti fanno ricorso per riuscire a trascorrere il giorno. A volte, spesso, prevale questa rassegnazione individuale, a volte la rassegnazione, a volte la rivolta collettiva.

Stefano Galieni