Rom-Anzi

Il giudice al Bar Sport

Sergio Bontempelli - 13 Gennaio 2014

giudice

«Lo sanno tutti, gli zingari non vogliono lavorare». Che una frase del genere sia pronunciata al Bar Sport, tra un cappuccino e un commento alle partite della domenica, uno se lo può anche aspettare. Ma che la stessa frase – leggermente corretta, grazie all’uso pudico della parola “rom” al posto del più crudo “zingari” – la dica un esponente della Corte di Cassazione, è un pochino più grave.

E invece assistiamo anche a questo, nel nostro disastrato paese. L’8 gennaio, sul quotidiano Libero, appare un articolo firmato da Bruno Ferraro, che la stessa testata qualifica, appunto, come Presidente Aggiunto Onorario – rigorosamente in maiuscolo – della Corte di Cassazione.

Il titolo è già tutto un programma: «Ius soli, Cie e campi rom, quante bugie ci hanno raccontato». Non è molto chiaro perché questi tre argomenti così diversi vengano messi insieme. Per di più, il Giudice si lascia andare a commenti tanto rabbiosi quanto superficiali. Così, per il Nostro, rifiutare la cittadinanza a bambini nati e cresciuti in Italia è addirittura un modo per «tutelare una civiltà» (e menomale che l’ha scritta in minuscolo…). Le frontiere italiane sono immancabilmente definite «gruviera», mentre viene stigmatizzata «l’accoglienza senza limiti e senza condizioni», proposta non si sa da chi, né quando. Sui Cie, Ferraro si chiede: «Che ne faremo di tutta questa gente [gli immigrati, ndr.], tra la quale sono purtroppo largamente presenti soggetti malavitosi o destinati ad essere fagocitati dalla nostra malavita».

Alla fine di questo bel campionario di luoghi comuni, non poteva mancare un cenno al tema preferito del Bar Sport: i “nomadi”. Con piglio da raffinato etnografo, Ferraro ci informa che «un autentico rom è soggetto che sceglie di rimanere apolide, senza patria e senza fissa dimora: soprattutto rinunziando per scelta di vita ad un lavoro sedentario».

E menomale che ce lo spiega lui: ché sennò rischiavamo di dar credito alle numerose e documentate ricerche, uscite in questi anni, che dimostrano come i rom non siano affatto “nomadi”, e come i “campi” siano frutto di una politica – sbagliata e discriminatoria – perseguita dal nostro paese (e non la collocazione “naturale” dei rom e dei sinti).

Con atto d’imperio, il Giudice Onorario decide inoltre di revocare la cittadinanza a tutti i rom e i sinti. Molti di loro credono di essere italiani (la maggioranza, secondo dati recenti), o cittadini di paesi dell’ex Jugoslavia (croati, sloveni, bosniaci, macedoni ecc.) o ancora romeni e bulgari. Nulla di più sbagliato, dice il Nostro: un «autentico rom» è per definizione un “apolide” e un “senza patria”.

Prendano nota gli ingenui. E provvedano gli enti pubblici, gli Uffici Anagrafe dei Comuni e le autorità degli Stati di origine: in giro ci sono ancora un sacco di rom e sinti muniti di una cittadinanza di qualche Stato europeo, e persino di quella italiana.

Certo è strano leggere queste parole da un Presidente Onorario della Corte di Cassazione: perché proprio la Cassazione ha confermato, con una sentenza del 2013, l’annullamento del decreto sull’emergenza nomadi (di fatto dichiarando che non esiste nessuna “emergenza”). La sentenza ha aperto la strada a una politica diversa in materia di rom, fondata non più sulla segregazione nei campi, ma su una vera e propria “strategia di inclusione” (sociale, lavorativa, abitativa).

Bruno Ferraro ci fornisce, per così dire, l’«interpretazione autentica» della sentenza. Sentite qui: «I rom continuino a fare i rom senza disturbare e senza essere disturbati. I campi rom non sono luogo di segregazione ma opportunità che i rom sono liberi di accettare o rifiutare… senza protestare». Capito?

Sergio Bontempelli

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