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21 gennaio 1789 e 2009

Daniele Barbieri - 20 Gennaio 2014

397674«Perfino nell’inferno di Dante lo straniero conserva l’ombra» scrive Thorkild Hansen ricordando come, il 21 gennaio 1789, Isert «vide i soldati sciacquare i crani degli Awuna dai brandelli di carne». Trovate questa storia tremenda in La costa degli schiavi (edito da Iperborea) che fa parte di una trilogia sullo schiavismo danese. Tre libri, ma anche il lavoro di Hansen è triplice: da storico, da narratore e da pol-pol (polemista politico) perché il suo discorso sul razzismo danese di tre secoli fa si connette all’oggi.

Così La costa degli schiavi viene presentato da Iperborea. «Silenziosi sui loro piedi nudi gli schiavi attraversano duecento anni di storia danese senza lasciare altra traccia che due righe nei libri di scuola: “la Danimarca fu il primo paese ad abolire il traffico degli schiavi”. Migliaia di uomini, donne e bambini. E di loro non resta che una frase. Per di più falsa».

Perché falsa? «Perché quel traffico continuerà per decenni dopo l’abolizione ufficiale, ma nessuno schiavo ha mai raccontato la sua storia». Così «per dar voce a quelle migliaia di esseri umani privati della libertà, incatenati, venduti e trascinati dall’altra parte dell’oceano, Thorkild Hansen va a cercare le tracce dei loro passi nella Guinea danese, l’attuale Ghana, lungo le rive del Volta, tra le rovine dei forti che dominavano con le loro mura bianche quella costa bordata di palme e battuta dalla risacca. E come guida si serve di diari, lettere, documenti lasciati da sette “testimoni oculari” che si sono succeduti nel corso di due secoli fra quelle mura: un tenente, due sacerdoti, un mercante, un medico, un contabile e un governatore. Spinti dall’ambizione, dall’avventura o da ideali, chi approfittando di quel commercio e chi combattendolo: “gente comune, buona e cattiva, ma per lo più buona, forte e debole, ma per lo più debole”, che, con le proprie vicende, è parte della storia, tra i vincitori o tra i perdenti, ma più probabilmente solo impotente davanti a un meccanismo ben più vasto che chiama in causa re, ricchi e filosofi, che siano Hobbes, Kierkegaard o Rousseau. Non sarà forse quando non è più redditizio che si ferma quel traffico diventato illegale?».

Uno degli aspetti più impressionanti che i diari e gli altri documenti mostrano è che gli schiavisti erano… in buona fede e si vantavano continuamente di avere Dio dalla loro parte e lo ringraziavano per aver salvato due o tre negrieri durante la rivolta oppure mentre massacravano centinaia di rivoltosi. Il loro Dio era bianco. Gli schiavi erano bestie. I disegni mostrano come venivano ammassati sulle navi. Salvo rarissime eccezioni, i comandanti delle navi o dei medici non avevano dubbi: ad esempio, non si chiedevano se fosse giusto quello che facevano, ma si domandavano solo se incatenare le “bestie” in quel modo poteva favorire le epidemie… o le rivolte. Questioni tecniche non etiche.

Il 1789 è l’anno della (prima) rivoluzione francese. E si sa che da allora tutto il mondo è cambiato… O almeno così si dice.

Facciamo un salto nel tempo – esattamente 220 anni dopo – e nello spazio, cioè andando dalla Danimarca all’Italia.

Il 21 gennaio 2009 una vasta maggioranza bipartisan (come si usa dire quando centrosinistra e centrodestra votano insieme) approva il patto bilaterale con la Libia sui «respingimenti». Sentite come inquadra l’accordo Clelia Bartoli – docente a Palermo di Diritti umani nella facoltà di Giurisprudenza – nel suo libro Razzisti per legge: l’Italia che discrimina (edito da Laterza nel 2012 e che io non mi stanco di consigliare a chi voglia sul serio fare i conti con la politica migratoria italiana degli ultimi anni).

Il titolo del capitolo è «I respingimenti in Libia: legali, efficaci, convenienti e giusti, o no?». Clelia Bartoli esamina punto per punto le 4 questioni: sono legali? Sono efficaci? Sono (economicamente) convenienti? E infine – «la domanda più delicata» – sono giusti? L’autrice spiega che «i media ufficiali hanno dato conto dei respingimenti ma, tranne rare eccezioni, hanno eluso il racconto di cosa accadesse ai respinti». Le eccezioni sono il blog Fortress Europe di Gabriele Del Grande. La trasmissione Respinti (del 6 settembre 2009) di Riccardo Iacona, il documentario Come un uomo sulla terra di Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene e… davvero poche altre.

Quel che Clelia Bartoli dimostra in questo capitolo – secondo me al di là di ogni ragionevole dubbio, come si direbbe in tribunale – è che tutto il sistema dei respingimenti, incluso dunque lo strombazzato accordo bipartisan del 21 gennaio 2009, non va. Lascio a lei la parola. «Se dunque i respingimenti sono palesemente illegali, inefficaci, economicamente poco vantaggiosi e moralmente alquanto dubbi perché sono stati fatti?». Bartoli lascia a chi legge «il compito di sondare le ragioni e i vantaggi che hanno ravvisato governanti italiani di destra e di sinistra nel condurre trattative e stipulare accordi per il controllo dell’immigrazione con Paesi in cui il rispetto dei diritti umani è piuttosto lasco». Ma consiglio a tutte e tutti di leggere le sue conclusioni e il suo paragone finale. Da parte mia aggiungo solo la “domanda” di Hansen, ricontestualizzandola. Se la Danimarca ferma quel traffico «quando non è più redditizio» forse l’Italia continua a consentire la tratta da un lato e i respingimenti dall’altro perché quel traffico è «redditizio». Se il garante non è più un Dio (bianco) si può invocare un’entità ancora più sovrannaturale, onnipotente e indiscussa: l’economia di mercato.

Daniele Barbieri