Referendum

La Svizzera spiegata da un frontaliero

Stefano Galieni - 12 Febbraio 2014

Referendum-300x219L’Europa, che si avvia a rinnovare il proprio parlamento a fine maggio, ha mostrato in questi giorni due volti speculari. Da una parte, nell’enclave spagnola di Ceuta, si è sparato per impedire ai migranti nord africani di superare la frontiera. La vicenda non è ancora chiara del tutto, ma la Guardia Civil ha sparato palle di gomma e lacrimogeni sui fuggitivi, il bilancio sembra essere di 14 morti, non si sa se per annegamento o altre cause. Due giorni dopo, in una sorta di nemesi, si verificava un evento contrapposto. In Svizzera, Paese che seppur non fa parte dell’U.E. ha con questa stabilito numerosi trattati di libera circolazione, si votava per un referendum che limitava tale mobilità. Per una inezia, circa 20 mila voti, il quesito elettorale, che è di modifica costituzionale, veniva approvato. Da oggi, quindi, potranno essere messe limitazioni alla circolazione di cittadini europei nei Cantoni elvetici. L’Europa si è indignata, semplicemente perché viene applicato verso i propri cittadini lo stesso metro riservato a chi proviene da altri continenti. Il referendum è passato per arginare quello che è il cosiddetto “fenomeno dei frontalieri”, persone che vivono in altri Paesi, soprattutto in Italia, e che vanno ogni giorno a lavorare in Svizzera. Le ragioni vanno ricercate in numerosi aspetti della vita locale, non ultimo il fatto che i cittadini stranieri non vanno più ad occupare i gradini più bassi della gerarchia lavorativa, ma sempre più spesso si trovano a competere con gli autoctoni.

Si è trattato di uno strano referendum, non il primo per limitare l’ingresso degli stranieri (ci si era già provato negli anni Settanta con risultato negativo). La destra ha fatto una campagna shock riempendo le città di manifesti con i frontalieri, soprattutto italiani, raffigurati come topi intenti a divorare il formaggio svizzero. Scarsa e insufficiente la risposta dei contrari, una timidezza che ha generato sospetti di collusione. Nei giornali di ogni Cantone della Confederazione, anche quelli più esposti, come il Ticino confinante con l’Italia, sembravano esistere solo le indicazioni di voto per il sì. Il risultato è che, con circa il 60% di votanti (in Svizzera non c’è comunque bisogno di quorum), il referendum xenofobo ha vinto con il 50,3 dei voti. I promotori del referendum hanno utilizzato un messaggio molto semplice per vincere: “Già oggi siamo 8 milioni di abitanti, in 20 anni, a questo ritmo diventeremo 10 milioni, con ripercussioni sull’economia e sull’ambiente. Per questo occorre contingentare i flussi”. Una grana per il governo federale che dovrà trovare modo di comporre la vicenda con l’Europa. In cima alle statistiche dei lavoratori indesiderati ci siamo proprio noi italiani, che rappresentiamo il 15,8% del totale della popolazione straniera residente in Svizzera (291.822 persone alla fine del 2012), con un saldo migratorio che dal 2008 è sempre stato positivo (più 7.286 unità solo nel 2012). Persone in cerca di una seconda occasione in quella che viene ancora ritenuta una delle zone più ricche del pianeta e che, oltre agli immigrati, ogni giorno accoglie migliaia di lavoratori frontalieri (secondo l’ufficio statistico svizzero sono 65.658 gli italiani che hanno lavorato oltreconfine nel terzo trimestre 2013, in aumento del 4,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

Matteo Dominioni è un nome noto per chi si occupa di ricerca storica sul colonialismo italiano. Di lavori ne ha svolti tanti; ora, dopo un periodo di precariato, è diventato docente di storia in una scuola media di un piccolo paesino del Canton Ticino. Abita a Como e ogni mattina alle 5 esce di casa per raggiungere il suo lavoro, prima delle 18 raramente è a casa. «Sì, sono un frontaliero particolare, in quanto dipendente della scuola pubblica. Non me la passo male – racconta – Il mio stipendio lordo è di 62 mila franchi svizzeri all’anno. Il 35% se ne vanno in tasse e io alla fine mi ritrovo, assegni familiari compresi, circa 48 mila euro l’anno netti come stipendio. Per un insegnante è allettante rispetto agli stipendi nostrani, per gli svizzeri no. Impiego circa 1 ora e mezza per andare al lavoro e altrettanto per tornare, mi trovo bene e sono ben accolto nel paese in cui insegno, dove tutti mi chiamano “maestro”, mi dicono che sono uno di loro. Però mi capita di sentire affermazioni che mi lasciano molto perplesso». La sua è una situazione lavorativa particolare e per molti versi garantita. «Il paese più vicino rispetto a quello in cui lavoro è Bodio – dice – Lì ha sede la fabbrica Monteforno, la più grande del Cantone e che dà lavoro a 1.800 operai, quasi tutti stranieri. Il sì al referendum in questo paesino ha ottenuto il 72% e questo apre ad una prima riflessione su cui vorrei tornare. Gli svizzeri Doc sono il 10% della popolazione, il 50% degli immigrati sono di origine italiana, ne deriva approssimativamente che il 35% dei cittadini svizzeri ha origini nostrane. Eppure questi sono i risultati. Non sono stupito, il leader del Movimento Cittadini Ginevrini, uno dei sostenitori più netti del referendum xenofobo, ha un cognome di origine italiana. Io, come dicevo, sono stato accolto molto bene. Gli svizzeri odiano però quelli che pagano le tasse in Italia e lavorano qui. Per il resto non vedo razzismo. Pensate che è quasi un tabù chiedere ad uno svizzero di che origine è, quindi c’è accettazione profonda, ma ora si sentono esasperati.

Quello approvato è il quarto referendum sottoposto a votazione su questioni europee. Tutti i dati del passato, riguardanti anche gli accordi bilaterali, si trovano su www.ch.ch: «Il primo», prosegue Dominioni «confermò i patti con l’Unione e gli altri due, posti in occasione dell’allargamento del numero dei paesi membri, ebbero l’appoggio stratosferico degli elettori. Ma in 10 anni molto è cambiato. Gli svizzeri si sentono invasi perché, secondo loro, hanno aperto troppo e a tutti. I frontalieri sono tradizionalmente stati una valvola di sfogo per le richieste di mano d’opera. Solo che prima entravano soltanto operai, lavoratori stagionali, insomma manodopera non qualificata. Ora stanno entrando stranieri anche nel terziario. Poi è saltato un rapporto: un tempo se c’era crisi nel terziario diminuivano i frontalieri, adesso crescono nonostante la crisi perché vengono pagati meno. Il comportamento degli stranieri è percepito dagli svizzeri come non consono. Lo dico in maniera brutale: a usare cocaina sono gli svizzeri ma a spacciarla sono immigrati e tutta l’attenzione si concentra lì, sui rifugiati e sugli immigrati considerati non produttivi».

I cambiamenti introdotti da questa iniziativa popolare, promossa da un partito dell’ultradestra chiamato Udc ma non osteggiato apertamente da nessuno, neanche dai socialisti, sono numerosi e gravi. «La vera pericolosità è nel fatto che il referendum ha modificato un articolo della Costituzione. In Svizzera, da questo punto di vista, c’è una forma di democrazia diretta a noi sconosciuta. Secondo il testo approvato, tutti gli accordi precedenti saranno aboliti. Ora sono limitati gli ingressi di stranieri su 3 livelli: per coloro che vanno a vivere in Svizzera, per i richiedenti asilo e nei ricongiungimenti familiari. Rispetto all’Unione Europea, con cui vigevano accordi integrati per la circolazione di merci e persone, nulla è più valido, forse anche con valore retroattivo. Tra l’altro, vigendo anche la reciprocità, ora l’Italia dovrà applicare anche con gli elvetici la Bossi-Fini. Studenti e ricercatori che vorranno venire in Italia, magari per un dottorato, dovranno adeguarsi alle quote di un decreto flussi. L’Italia dovrà fare con la Svizzera quello che fa col resto del mondo. Ma non basta. Non è ancora chiaro se e come questo parlamento, che era contrario al referendum, rispetterà la volontà popolare. È possibile che quando si andrà ad elezioni, se vince la destra, il referendum troverà una sua applicazione». Secondo Dominioni, gli elvetici non hanno calcolato bene le conseguenze di tale risultato, che sono innumerevoli: «Se si negano i diritti ai ricongiungimenti familiari, si va contro i princìpi sanciti dalle Nazioni Unite a Ginevra. Nella stessa città in cui ha sede mondiale la Croce Rossa, la Svizzera diventerebbe il solo Paese a non riconoscere i diritti garantiti da tale ente e così via».

Ora c’è da capire cosa cambierà e non solo dal punto di vista occupazionale. Non è ancora chiaro se frontalieri e dimoranti sono già a rischio e magari il 31 dicembre non vedranno rinnovati i propri contratti o se già possono essere licenziati in tronco. Ci si domanda se questo risultato inciderà sul futuro o anche sul passato. «Da noi, come nel resto della Confederazione, non c’è il minimo sindacale, anche se lo si vorrebbe introdurre», spiega Dominioni. «Il mio non è considerato uno stipendio altissimo, ma qui gli standard non sono quelli italiani. Basti pensare che gli assegni familiari sono 10 volte più alti che da noi. Un mio amico ha trovato posto come barista in un bar centralissimo a Locarno, prende 7 franchi l’ora (circa 5 euro) e 8 euro è la retribuzione oraria di un italiano per fare il giardiniere. Nessuno svizzero accetterebbe questa paga. Anche l’allarme disoccupazione è relativo, in Svizzera si è sotto il 5% in pieno paradigma keynesiano. Solo che adesso hanno cominciato a licenziare anche nelle banche facendo posto agli italiani. Poi qui, ovviamente, non pagano gli straordinari e il sindacato è completamente concertativo. Vige inalterato dalla Prima Guerra Mondiale il principio della “Pace del lavoro”. In pratica mai scioperi e ogni norma è definita in accordi fra le parti che non tengono conto dei lavoratori: da una parte il sindacato, dall’altra le associazioni datoriali. Il problema è dato però dai padroncini italiani che portano via lavoro ai ticinesi. Piastrellisti, idraulici, muratori, giardinieri, ecc., che prendono lavori al nero facendosi pagare un terzo rispetto agli svizzeri. Fino alla scorsa estate c’erano poi gli stagionali che godevano di un regime particolare. Era sufficiente lavorare per 90 giorni per avere poi un sussidio di disoccupazione con il 50% dello stipendio per gli altri 9 mesi. Si trattava di una cassa pagata direttamente dai frontalieri e gestita in Italia dall’Inps. Quest’estate l’ente italiano ha tolto i sussidi per quelli che vengono chiamati “rimpatriati”, incamerandosi tutti i versamenti effettuati dai frontalieri. Nessuno ha mosso un dito, neanche la Lega che dice di difendere i lavoratori italiani».

La nostra fonte, direttamente immersa in questo contesto, cerca di far capire quanto dall’altra parte del confine la vita sia diversa. «Riprendo dal discorso sugli stagionali, non sono più quelli sfruttati degli anni Settanta, quelli raccontati da Marina Frigerio nel libro Bambini Proibiti. Una storia terribile, i bambini che nascevano dagli stagionali erano clandestini e vivevano nascosti e nell’indigenza per il timore di espulsioni. Si parla di almeno 20 persone cresciute in queste condizioni fino agli anni Ottanta. Ora questo è un paese ricco di bordelli e casinò. Il paese in cui lavoro è nella valle Levantina che immette sul Gottardo. Il popolo qui è orgoglioso, si è sempre sentito libero. I suoi valori sono la famiglia tradizionale e l’impegno civile. Molti prestano servizio per la protezione dei boschi e la cura dei sentieri. Pensate che una parte dei verdi ha appoggiato il referendum sugli stranieri con l’equazione: più immigrati ovvero più Co2, ovvero maggiore inquinamento. Viene da definirli naziecologisti. E in contesti così piccoli (il Canton Ticino è grande più o meno come la provincia di Como) si impongono i luoghi comuni reciproci fra svizzeri e italiani. Qui le regole sono importanti, frutto tanto di una sanzione penale che morale: ad esempio la guida. Col nuovo codice della strada ci sono pesanti pene per chi oltrepassa i limiti di velocità. Un guidatore è stato condannato a 2 anni di prigione per aver circolato a 200 km orari. E noi siamo il sud. Qui gli abitanti di Zurigo si sentono in diritto di correre».

«Ogni volta che mi capita di venire a Roma resto stupito dal caos, dalla assenza di regole, anche nello scendere o salire dalla metro, da come basti un po’ di pioggia ad allagarvi. Vado a dormire domandandomi se il giorno dopo la città sarà capace di svegliarsi – riprende il “maestro” – In Svizzera (non è luogo comune) questo è considerato semplicemente inaccettabile per puro buon senso. Da noi se nevica spalano anche sui marciapiedi, in qualsiasi condizione gli autobus spaccano il minuto e tutto funziona. Da me il custode della scuola taglia il prato, spala la neve, mette il sale per il ghiaccio, aggiusta i neon, ripara la fotocopiatrice, gestisce le piccole manutenzioni. In Italia per ogni cosa ci vuole un appalto, una delibera, ecc., con tempi che qui non sono comprensibili. Il custode della scuola in cui lavoravo prima, si è fatto comperare un ponteggio per eseguire ogni riparazione anche sui tetti. Con 5.000 franchi hanno risolto stabilmente il problema. E il buon senso lo vedi anche verso i ragazzi: fino a 16 anni non pagano il dentista che passa direttamente a scuola. È garantita a tutti la settimana bianca e la settimana verde, i giovani crescono sani e poi si vede il risultato anche nelle competizioni sportive. Da noi non ci sono i libri di testo: è compito dell’insegnante preparare le schede per ogni lezione e dare agli studenti le fotocopie. Si risparmia anche su questo e mi domando come mai in Italia non si possa fare così. Come dicevo, c’è un misto di sanzione penale e morale. Nei paesini di qui c’è molta polizia, ma poi ci sono valori che sono condivisi dagli abitanti, frutto del lascito storico di piccole comunità contadine arretrate e isolate che autoregolano i comportamenti di ognuno. Qui se svaligi una casa ti trovano subito, e una delle ragioni per cui hanno votato contro i frontalieri è da cercare nei colpi effettuati nelle ville da bande che poi riscappavano oltre confine. Ho detto tutto questo per raccontare l’atteggiamento degli italiani che hanno preso la cittadinanza o che sono stabilmente residenti. Sono diventati spesso i più critici verso il Paese di origine, provano disprezzo e repulsione e non vogliono altri connazionali. Nel Cantone di Ginevra, invece, dove ci sono molti frontalieri francesi, al referendum ha vinto il no. Non solo per una tradizione socialista, ma perché fra Cern e Onu lì c’è un indotto di terziario pazzesco ma scarseggiano gli immobili. Quindi si fa i pendolari con la Francia. Non a caso a fare da ago della bilancia nel referendum è stato il Canton Ticino dove il sì ha preso il 68% dei voti».

Stefano Galieni