Europa

L’Irlanda, per esempio…

Stefano Galieni - 4 Marzo 2014

irlandaL’Irlanda è diventata un Paese di immigrazione senza mai cessare d’essere Paese d’emigrazione. Dublino, in particolare, accoglie oggi migliaia di cinesi, nigeriani, russi, romeni e, soprattutto, polacchi (dal 2005 in Irlanda ne sono arrivati olre 100 mila). Le comunità straniere hanno “occupato” la parte di città che si estende a nord del fiume Liffey e tendenzialmente vivono le une accanto alle altre senza mescolarsi. Come da tradizione anglosassone. La condizione dei migranti non è rosea, anche per effetto della crisi economica. La legislazione in materia di immigrazione ha però elementi positivi, in particolare rispetto alla questione cittadinanza e alla partecipazione alla vita politica e amministrativa, ossia al diritto di voto. Se n’è parlato, lo scorso 25 febbraio, nel corso di un incontro organizzato a Dublino dall’italiano Istituto Psicoanalitico di Ricerche Sociali e dall’Integration Centre irlandese. Si tratta del primo di una serie di incontri predisposti nel quadro del progetto Ippi (Immigrati, Partecipazione Politica e Integrazione) il cui obiettivo è confrontare, laddove ci sono, le buone pratiche per la cittadinanza attiva dei cittadini di origine straniera in 7 Paesi Ue.

La legge prevede che si acquisisca la cittadinanza se si è nati in Irlanda e i genitori risiedono legalmente da almeno 3 anni (ma questa limitazione fino a 10 anni fa non esisteva). Chi arriva può inoltrare la richiesta in tempi relativamente brevi, ma non vi è certezza dell’accettazione. Per regolarizzarsi basta lavorare e se si lavora, si ha un domicilio e non ci sono carichi penali, esiste anche il diritto di voto amministrativo. Quello attivo è stato introdotto nel 1963, quello passivo nel 1974. Si possono distinguere quattro categorie di votanti: local voters (cittadini non appartenenti alla Ue), european voters (cittadini Ue che possono votare anche alle Europee), dail voters (cittadini Uk che possono votare per il parlamento, per le elezioni locali e per le europee), presidential voters (cittadini irlandesi non residenti che possono votare nei referendum, per le elezioni presidenziali, parlamentari, locali e europee). Per esercitare il diritto di voto è comunque necessario iscriversi al registro elettorale.

Prima delle elezioni del 2009, alcuni consigli municipali e alcune Ong diedero vita a una campagna di sensibilizzazione, invitando i cittadini non comunitari a iscriversi nei registri di voto. Anche l’Ufficio per l’integrazione dei Migranti produsse iniziative sul territorio, così come alcuni partiti e associazioni di volontariato. Il risultato fu che nei dieci più grandi consigli municipali di cinque aree metropolitane si registrò un incremento di 12.471 cittadini non comunitari, che portò gli elettori non comunitari a 38.774. I cittadini non comunitari che hanno acquisito la cittadinanza possono votare, ovviamente, alle elezioni nazionali. Il loro numero è aumentato sensibilmente. Fra il 2005 e il 2011 più di 34.000 persone hanno acquisito la cittadinanza. A questi si aggiungono almeno 36.000 persone provenienti dai paesi Ue. Il governo eletto nel 2011 ha provato a ridurre i tempi di attesa aumentando il numero di domande approvate.

Attualmente, fra le varie forze politiche, è il Partito Laburista ad avere al proprio interno quadri di origine migrante. Alle elezioni locali del 2009 erano candidati 4 cittadini immigrati per il Partito Laburista e 5 per i Verdi. Su 9 che erano candidati ne sono stati eletti 4. A quanto pare, è stato più il mondo delle Charity delle Ong, dei sindacati e dell’associazionismo comunitario a cercare di investire sulla partecipazione al voto. You are at home, Vote! Local election in Ireland campeggiava in una brochure bilingue diffusa prima delle elezioni dal Forum Polonia. Barnaba Dorda, membro del Forum e attivista del Siptu, il maggior sindacato irlandese, ha raccontato di un lavoro fatto con queste brochure, porta a porta, nelle scuole, durante i week-end con i genitori degli studenti e nelle parrocchie, ma è un lavoro lungo e che solo lentamente comincia a portare dei risultati. Questo lavoro è supportato anche dal governo polacco e ciò incide di certo positivamente, mettendo questa comunità in posizione migliore rispetto ad altre. Ma fra i polacchi come fra le altre comunità maggiormente presenti, si lamenta la presenza di leader altamente rappresentativi e riconosciuti. Recentemente si è tenuto a Dublino l’incontro annuale dell’African Council, che raccoglie soprattutto lavoratori dell’Africa subsahariana, ma non sembrano essere emerse grandi novità se non il reiterarsi di problemi non risolti e di questioni attinenti ai singoli comparti occupazionali. Non solo i rappresentanti dei partiti ma anche i due interlocutori dell’Integration Center, Peter Szlovak e Justina Szewczyk, hanno ribadito come il problema forte sia connesso al reclutamento di esponenti sufficientemente rappresentativi per essere eletti.

Gli stessi esponenti del Labour Party, partito di orientamento social democratico che pure considera necessario accelerare i processi di eguaglianza fra i cittadini, ammettono che poco di cocreto è stato fatto finora per coinvolgere di più gli immigrati nella partecipazione politica. Accanto all’ospitalità e all’accoglienza che viene infatti riservata nel Paese solitamente a chi viene da fuori, cominciano a farsi sentire in maniera più o meno diretta, un sentimento di ostilità ai limiti del razzismo. Attraverso il neo Ufficio per la promozione dell’Integrazione degli Immigrati, il governo ha anche sponsorizzato e finanziato eventi interculturali, con l’obiettivo di contrastare insorgenti fenomeni di discriminazione. Ma ad intervenire sul campo sono soprattutto le organizzazioni di volontariato e le Ong, oltre che le strutture delle comunità. Interessante il lavoro proposto da Joe Obrien di Crosscare, organizzazione che ha attuato un progetto grazie al quale per 6 mesi alcuni cittadini di origine straniera svolgevano corsi di affiancamento con singoli parlamentari. Obrien ha anche riferito di un’altra attività con cui si sono offerti servizi di informazione e advocacy per 10.000 persone nella contea di Meath, partendo dal tema dell’integrazione culturale. Ma è difficile parlare di voto e di diritti a soggetti che più di altri stanno pagando gli effetti della crisi.

La rappresentante di Migrants Right Organization ,attiva tanto in questa Ong che nel campo sindacale, ha posto l’accento su una ragione più materiale che allontana gran parte dei cittadini stranieri dalla politica. Ha posto come esempio quello delle donne che, in grande quantità, lavorano nelle case “alla pari” (vitto e alloggio in cambio di lavoro) una condizione di segregazione che difficilmente permette di avvicinarsi ad altre aspirazioni sociali. E sono numerosi i settori di lavoro che di fatto non permettono quella sindacalizzazione necessaria a poter anche uscire da una condizione di emergenza; il ruolo dei sindacati, potrebbe divenire in effetti fondamentale per produrre gli avvicinamenti necessari verso una piena cittadinanza. I bassi salari determinano però una scarsa fiducia nei sindacati. Non ci si iscrive anche perché si hanno pochi soldi e non è sufficiente ribattere che i salari sono bassi perché non si entra nei sindacati. Eppure l’Irlanda ha attratto numerosi immigrati, soprattutto non Ue, che mostrano un elevato livello di istruzione e altamente qualificati. Insomma, grandi aspettative e interessanti prospettive, ma in un contesto quanto mai scivoloso. L’Irlanda di oggi è attraversata, come dicono molti analisti, da una miscela di ottimismo e di ansietà. Il livello di crescita che si è avuto, nonostante la crisi, negli anni recenti, potrebbe non durare e un Paese come questo, con una economia piccola e aperta, risulta essere vulnerabile rispetto al contesto internazionale. L’“Isola verde” di fatto non è più isolata da tempo, è inserita a pieno titolo, nel bene e nel male, nel contesto economico europeo, pur non avendo le dimensioni e le condizioni di frontiera continentale che hanno Paesi come l’Italia. Quanto, in conclusione, notava Nona Evghenie, consigliera comunale a Padova: «Delle pratiche positive emerse dall’incontro dovremmo far tesoro, ma non dimenticando che un conto è dover gestire la situazione in Italia e un conto in un Paese dove il numero dei migranti è quanto quello presente nella mia regione».

Stefano Galieni

Con l’aiuto per la traduzione di Eli McBett