Rapporti

Crescere con la crisi

- 16 Luglio 2014

In una Italia che vede ogni giorno sparire imprese e attività produttive o di commercio, fa riflettere il quadro presentato dal primo Rapporto Immigrazione e imprenditoria recentemente realizzato da Idos, in collaborazione con Unioncamere, Cna, Ccia di Roma e MoneyGram con il supporto dell’Oim. Un volume estremamente interessante, ricco di dati ed informazioni particolareggiate, frutto di una ricerca condotta soprattutto dalla curatrice Maria Paola Nanni, dell’Idos. Torneremo certamente a settembre sul tema ma alcuni fattori è urgente farli emergere. In Italia le imprese guidate da cittadini immigrati sono aumentate in due anni da 454 mila a 497 mila circa e rappresentavano nel 2013 l’8,2% dell’intero tessuto nazionale rispetto al 7,4 del 2011. Questo a fronte di un calo enorme delle imprese guidate da cittadini nati in Italia. Ovviamente, mentre sono in ridimensionamento le attività legate all’edilizia e alla manifattura, ma anche nel comparto agricolo, sono in crescita costante quelle connesse al terziario e in particolare al commercio e alla ristorazione. C’è un forte dinamismo, anche se gran parte di queste imprese sono a carattere individuale (circa 400 mila) e molte hanno una conduzione unicamente familiare. La concentrazione di tali attività è prevalente nel centro nord, in 5 regioni sono presenti 6 imprese su 10 di quelle condotte da cittadini migranti. In forte crescita, altro dato positivo, l’imprenditoria femminile, oggi quasi 118 mila, in totale controtendenza rispetto a quella che è la condizione occupazionale delle donne in Italia. Per quanto riguarda la nazionalità di provenienza degli imprenditori, segue non perfettamente quella che è la composizione della presenza migrante in Italia. Prevalgono le attività gestite da cittadini provenienti da Marocco, Romania, Cina, Albania, Bangladesh e Senegal. Il rapporto individua anche una serie di obiettivi da perseguire per migliorare la solidità di questo percorso di crescita: occorrono, a detta dei realizzatori, agevolazioni in materia creditizia, semplificazione degli adempimenti burocratici, alleggerimento dela carico fiscale. Quanto insomma occorre all’intero sistema Paese. Ma occorre anche il sostegno e l’assistenza da assicurare anche nelle fasi successive allo start up, insistenza anche su settori diversi da quelli tradizionali, maggiore apertura a nuove forme societarie diverse dall’impresa individuale che consentano di ampliare il numero dei dipendenti e superare la coincidenza fra realtà familiare e aziendale. Servirebbero anche gli strumenti per ampliare il raggio di azione di tali attività rispetto al territorio nazionale e, quindi, tramite l’attivazione di legami operativi con i Paesi di origine. Andrebbero implementati i collegamenti con le strutture creditizie a supporto di impegni imprenditoriali di più rilevante portata, l’apertura all’associazionismo di categoria e alla formazione di consorzi, da considerare come condizione facilitatrice dell’accesso ai benefici di legge, come anche all’assistenza tecnica e operativa. Come appare chiaro, ognuno di questi obiettivi meriterebbe da solo un approfondimento su cui sarà il caso di fornire una maggiore informazione. Il volume presentato ad inizio luglio offre in tal senso numerosi e utili suggerimenti.