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Ebola, a che punto siamo

Martina Zanchi - 11 Gennaio 2015

ebola-freeÈ guarito Fabrizio Pulvirenti. Sunito dopo l’ufficializzazione della buona notizia, il medico di Emergency contagiato in Sierra Leone e ricoverato per varie settimane all’ospedale Spallanzani di Roma, ha dichiarato di essere pronto a ritornare sul campo. Il suo è stato sinora l’unico caso di un italiano infettato dal virus dallo scorso marzo, quando l‘epidemia si è propagata in tre stati dell’Africa Occidentale: la Guinea, la Sierra Leone e la Liberia. A ben vedere è proprio lo scenario che in ambienti scientifici si riteneva il più probabile per l’arrivo di ebola nel nostro paese. Lo stesso che hanno esposto tre ricercatori del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie infettive dell’Università La Sapienza di Roma al recente convegno Ebola, perché non bisogna averne paura: l’Italia non è nella top ten dei paesi a rischio, anche per effetto dell’assenza di voli diretti con i tre stati interessati dall’epidemia, che applicano severi controlli nei propri aeroporti, ripetuti anche nei paesi di scalo. L’ipotesi più probabile è che a portare il virus sul territorio sia «un operatore sanitario rientrato appositamente per essere curato».

Niente a che vedere con migranti e barconi. La lunghezza dei viaggi che si intraprendono per raggiungere l’Italia supererebbe, infatti, il periodo di incubazione del virus – che va dai 2 ai 21 giorni – «un contagiato non riuscirebbe nemmeno a imbarcarsi», sostengono i ricercatori. Eppure c’è chi ha invocato misure estreme e fantasiose per fronteggiare il “rischio contagio”: i leader dei partiti xenofobi in forze al Parlamento europeo – Matteo Salvini e Marine Le Pen in testa – hanno proposto l’immediata sospensione degli accordi di Schengen. Oltre a suggerire l’invio di «aiuti coerenti» negli stati più colpiti da ebola, Salvini e Le Pen sono stati d’accordo anche nel prospettare lo stop all’importazione di derrate alimentari potenzialmente a rischio, «come le banane».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Beppe Grillo. «Ebola sta penetrando in Europa, è solo questione di tempo perché in Italia ci siano i primi casi», si legge sul suo blog. «Chi entra in Italia ora deve essere sottoposto a una visita medica obbligatoria all’ingresso per tutelare la sua salute e quella degli italiani che dovessero venirne a contatto». Le sue previsioni non si sono avverate: i casi di ebola usciti dall’Africa hanno riguardato unicamente operatori sanitari, mentre non risultano notizie di migranti contagiati dal virus e sbarcati sulle nostre coste.
La psicosi da ebola non tiene conto però dei dati obiettivi, e nemmeno della geografia, come dimostrano vari episodi riportati dalle cronache. Per esempio, quello dei genitori di Fiumicino che hanno chiesto l’allontanamento dalla scuola materna di una bimba di tre anni appena tornata da un viaggio in Uganda, cioè da un Paese ebola-free. Tra la capitale ugandese, Kampala, e quella liberiana, Monrovia, ci sono oltre 7.400 chilometri, più della distanza che separa Roma da Conakry, capitale della Guinea.

Ma intanto, in Africa, la situazione qual è? Il numero totale delle vittime di ebola lo ha dato l’OMS pochissimi giorni fa: sono 7.905 le persone decedute per la malattia a fronte di oltre 20 mila contagiati. Il nuovo picco si registra in Sierra Leone, dove la scorsa settimana si sono registrati 337 nuovi casi. Chi volesse seguire l’andamento dell’epidemia basandosi su dati scientifici e reali invece che sull’onda di reazioni mediatiche ed emotive, può anche consultare una pagina web messa a punto dal Mobs Lab della Northeast University di Boston. La situazione rimane critica (anche per effetto delle ricadute economiche: per approfondire questo aspetto può essere utile scaricare il numero di Africa e Affari dedicato a ebola, è gratuito e lo trovate qui) ma non è panafricana, come dimostrano i casi di Nigeria e Senegal. Questi due paesi sono riusciti a bloccare il virus alla sua prima comparsa, venendo dichiarati dall’Oms ebola-free. Se ne parlerà, il 17 gennaio, anche a Brescia, dove la Redani, la Rete della Diaspora Africana in Italia, in collaborazione con alcune associazioni di studenti e l’università, ha organizzato l’incontro La verità sull’ebola. L’Africa non è Ebola.

E l’Italia fa la sua parte? Sul sito del Ministero della Salute si parla di una spesa di 3 milioni di euro per il 2015 e di 1,5 milioni annui a partire dal 2016 autorizzata nella Legge di Stabilità “per potenziare le misure di sorveglianza e di contrasto delle malattie infettive e diffusive nel territorio nazionale e di rafforzare i livelli di controllo di profilassi internazionale per salvaguardare la collettività da rischi per la salute”. Non è chiara, tuttavia, l’esatta destinazione di tali finanziamenti per la lotta contro ebola mentre è noto, invece, che la task force interministeriale indetta lo scorso 15 ottobre abbia previsto, oltre al potenziamento di personale portuale e aeroportuale, la distribuzione di opuscoli informativi sui sintomi della malattia e sui comportamenti da evitare. Una misura adottata, come già detto, nonostante dall’Italia non partano né arrivino voli diretti dai paesi colpiti da ebola. Quanto è costata questa operazione? A che scopo realizzarla, dal momento che tra il nostro Paese e quelli dove l’epidemia è in atto non ci sono voli diretti? Lo abbiamo chiesto ripetutamente al Ministero della Salute, che però non ha ritenuto opportuno rispondere. Dal suo sito non risultano comunque novità in merito allo stato dell’emergenza, se non quella della sospensione del numero di utilità 1.500 dedicato proprio ad ebola (oltre che al vaccino antinfluenzale FLUAD), fatto che farebbe pensare a un ridotto stato di allerta.

Più che gli opuscoli, per fronteggiare ebola servono medici e infermieri. «Molti sarebbero pronti a partire e a darci una mano, ma non hanno ottenuto dalle Asl l’aspettativa necessaria – ha spiegato recentemente Gino Strada, il fondatore di Emergency – da più di due mesi in Italia si sentono politici che promettono aspettative per ragioni umanitarie, provvedimenti ad hoc. La verità è che fino ad ora quasi tutti coloro che hanno chiesto il permesso di partire se lo sono visti rifiutare». Stando alle informazioni riportate sul sito del Ministero della Salute, con la Legge di Stabilità sono autorizzate anche in deroga le richieste di aspettativa fino a 6 mesi da parte di personale sanitario che volesse prestare servizio nei paesi colpiti di ebola. La legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 29 dicembre, ai malati non resta che aspettare.

Martina Zanchi