In questo numero

A proposito di Calderoli

Stefania Ragusa - 8 Febbraio 2015

Dopo il “ravvedimento” del Pd, dovremo comunque aspettare fine febbraio, per sapere come finirà la vicenda orango-Calderoli e, quindi, se il vice presidente del Senato passerà o meno al vaglio della magistratura. Ma già a questo punto della storia, alcuni fatti sono chiari.
1) Il Pd ha dimostrato di non avere nel suo dna la marcata avversione al razzismo che ci si aspetterebbe da una forza progressista e democratica e, evidentemente, neanche un grande spirito di corpo: potendo scegliere (ossia prima della figuraccia internazionale) ha preferito non sostenere il suo ex ministro, tacciato di essere simile a un orango, e “salvare” Calderoli;
2) al Senato della Repubblica, che legifera per conto nostro e dovrebbe quindi riunire alcune tra le teste più illuminate della Nazione, non si riesce a cogliere la differenza tra esprimere un’opinione e insultare, e probabilmente neanche quella tra un ragionamento politico e un’offesa rozzamente razzista. A buona parte della Nazione, invece, queste differenze sono chiare, ed è noto anche che il razzismo non rappresenti un’opinione ma un reato;
3) è surreale che senatori e soci siano riusciti a impantanarsi di fronte a una vicenda grave e insieme cristallina come questa, rispetto alla quale – siamo seri – c’è davvero poco da indagare, ricostruire, svelare: a prescindere dall’intervento della magistratura, a un vice presidente del Senato si chiede un comportamento consono al suo ruolo e l’insulto razzista, comunque la si giri, non può essere consono.
Fino a questo momento, oltre ai senatori a 5 stelle, l’unica che ne esce bene è Cécile Kyenge: ha raccolto la solidarietà dell’opinione pubblica e ha difeso la sua posizione senza personalismi, ma riportando tutti i termini della questione a un orizzonte più ampio, che non riguarda lei come singola ma la cultura e l’etica del Paese.
Il razzismo, quello vero, che si nutre di ignoranza e paura, ed è ontologicamente diverso da quello ostentato a scopi elettorali di Calderoli e soci, non si combatte certamente nelle aule di giustizia ma attraverso la conoscenza e il dialogo. A un certo livello però, che è quello dei simboli e delle istituzioni, è necessario il massimo rigore. Non si possono fare concessioni, perché si rischia di far passare il messaggio che non si tratti di cose poi così importanti, che l’insulto razzista e sessista, in fondo, sia un esercizio goliardico. Tanto che anche le massime cariche dello Stato possono concederselo restando comodamente sedute ai loro posti.
No. Alle massime cariche dello Stato, in questo e in tutti gli altri campi, è chiesto di essere d’esempio. E se gli esempi che sono in grado di produrre appaiono indegni (ancorché graditi al loro elettorato), sarebbe il caso di farle scendere, queste cariche massime, dalle loro poltrone. Anche prima dell’intervento della magistratura.
Calderoli, per quanto ci riguarda, continui pure a fare Calderoli: sono affari suoi, della sua famiglia, dei suoi elettori. Ma alla vice presidenza del Senato ci stia qualcuno meno imbarazzante.

Veniamo adesso al nostro giornale. L’apertura, questa settimana, ospita il manifesto-appello elaborato dalla Rete Primo Marzo in vista della prossima Giornata senza di Noi. Legge sullo ius soli, abolizione dei Cie, istituzione di corridoi umanitari, riconoscimento del diritto di voto amministrativo… La Rete chiede questo e altro ma, soprattutto, l’ impegno per un nuovo approccio e una nuova consapevolezza rispetto al tema delle migrazioni. Che di questo ci sia necessità lo dimostra anche il recente rapporto della Fondazione Moressa sul contributo che i lavoratori stranieri danno alla nostra economia e sull’ostinazione con cui i media continuano a non vederlo, privilegiando l’infondato connubbio immigrazione-criminalità. Ce ne parla Martina Zanchi.

A circa un mese dall’attentato a Charlie Hebdo, e dunque quasi a freddo, Mostafa El Ayoubi, riflette sul senso (troppo spesso perduto) della satira, della libertà di esprimersi e del rispetto dei valori altrui. Sergio Bontempelli, invece, ha intervistato Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese e con lui ha parlato del significato della libertà religiosa, un concetto che deve valere per tutti, altrimenti non esiste più per nessuno.

Bontempelli, questa settimana, inaugura anche una rubrica “di servizio”, orientata a fornire indicazioni concrete su come fronteggiare situazioni di razzismo e discriminazione quotidiana. Questa volta ci parla di controlli su treni e mezzi pubblici.
Domenico Perrotta ci racconta di come, attraverso singole iniziative “dal basso“, ci si stia impegnando in varie parti di Italia per contrastare il caporalato e organizzare in modo diverso ed eticamente sostenibile l’agricoltura. Restando in tema, Stefano Galieni ci parla di una band che attraverso la propria musica ha scelto di denunciare lo sfruttamento dei lavoratori stranieri nella piana del Sele e di gruppi e singoli che, da prospettive diverse, cantano l’immigrazione.
La scor-data di questa settimana è stata appaltata da Daniele Barbieri a Pier Maria Mazzola e riguarda un grande intellettuale senegalese che ci ha lasciato il 5 febbraio del 1986: Cheik Anta Diop.

Buona lettura e buon inizio settimana!

Stefania Ragusa
direttore@corrieredellemigrazioni.it