Musica meticcia

Peter Solo. Il voodoo incontra il funk

Gabriella Grasso - 16 Febbraio 2015

14605_10205151070393542_6933238793978626337_n-264x300Nato in Togo, a Aného-Glidji, in uno dei luoghi più importanti della cultura voodoo, Peter Solo vive da anni in Francia e proprio qui, a Lione, ha fondato la sua band, Vaudou Game, formata da sei musicisti (un cileno e cinque francesi), che fonde il ritmi della tradizione musicale voodoo con quelli del funk, del blues, del R&B. Lo abbiamo incontrato a Milano in occasione di una serie di concerti dedicati a tre musicisti “afropolitan”.

Lei ci tiene a sottolineare che il voodoo non è quell’insieme di pratiche demoniache a cui pensiamo noi occidentali. Come si è creato il divario tra la realtà e il nostro immaginario?
«Tutto è iniziato con l’arrivo di missionari nei Paesi del voodoo: Togo, Benin e Nigeria. Volendo imporre il cattolicesimo, etichettavano le pratiche dei nostri antenati come antiche, superate. I nostri canti erano considerati diabolici e rielaborati per assimilarli alle armonie occidentali. Paesi musulmani come il Senegal o il Mali hanno resistito a quest’opera di cancellazione della musica tradizionale, anche perché possedevano strumenti come la kora o il balafon. Noi invece avevamo solo il canto e i tamburi. Inoltre, il voodoo è un’energia che per funzionare ha bisogno di due polarità, positiva e negativa. Quando i nostri avi sono arrivati in America come schiavi, per far paura ai padroni, spesso ricorrevano alla polarità negativa: ed è per questo che in molti Paesi si teme il voodoo. In certi video girati ad Haiti o in Brasile si vedono persone che cadono in trance, che sgozzano galli o montoni e ne bevono il sangue: tutto questo agli occhi degli occidentali non ha logica, ed è anche per rassicurarsi che vi attribuiscono una connotazione diabolica. Ma io conosco bene l’argomento: mio padre è un prete voodoo e guaritore, e a casa mia si celebrano continuamente cerimonie al suono dei tamburi».

Quindi c’è un legame molto stretto tra musica e voodoo?
«Un legame innegabile. Nel voodoo ci sono tre dimensioni: iniziatica – che prevede l’insegnamento agli adepti delle regole – spirituale e culturale. In quest’ultima rientrano la danza, il canto e le percussioni, che sono gli strumenti usati per portare gli adepti in trance e ottenere delle rivelazioni».

La sua musica fonde Africa e Occidente: perché questa scelta?
«Quello che io suono è voodoo funk: perché c’è il funk e poi c’è l’energia, il messaggio che io voglio veicolare e che prende il 70% dello spazio. Io voglio rimettere le cose a posto, parlare della mia cultura, perché vivendo in Francia vedo la reazione di diffidenza delle persone quando si nomina il voodoo: so che pensano subito alle bamboline infilzate con gli spilli. Io non voglio più starmene zitto, voglio spiegare. La parola voodoo vuol dire “consultare”. Il che significa consultare un albero che può avere anche 500 anni; parlare alla terra; chiedere al mare di guarirti. Perché questi elementi vivono, hanno un cuore. Secondo i nostri antenati, quando Dio ha creato il mondo ha toccato tutto con la sua mano, quindi ha messo la propria energia negli elementi. Per questo ci rivolgiamo a loro. La terra è lì da prima di noi e ci sarà dopo: vive e non si può affermare il contrario, basti pensare ai terremoti capaci di spazzare via qualsiasi cosa. Se rispettiamo la natura, essa può insegnarci molte cose».

Questo suo messaggio arriva agli europei?
«Oggi nessuno, nemmeno in Occidente, può affermare che la terra non vive: i nostri vestiti, il cibo, almeno il 50% delle medicine viene dalla natura. Voi occidentali non credete che la terra abbia uno spirito perché siete razionali, ma per me questo non è importante, non devo convertire nessuno né convincere qualcuno che il voodoo è buono: non è così, perché anche la terra può essere pericolosa. Il voodoo è un’energia che può essere utilizzata per fare il bene o il male. Ma la responsabilità, quando viene usata male, è della singola persona».

Lei ha un legame forte con l’Africa e vive in Francia da anni. Come considera la sua identità?
«È una situazione strana… Non mi sono mai sentito occidentale: quando mi guardo allo specchio vedo che non lo sono. E se anche non lo vedessi, so che lo farebbero gli altri e me lo direbbero. Mi sento semplicemente un essere umano che vive nel mondo, che sia qui o in Africa. Oggi vivo in Occidente, ma i miei pensieri e i miei sogni sono africani».

Il suo gruppo condivide la sua visione?
«Certo, perché il rispetto per la natura è un valore universale, che lo si chiami voodoo o in un altro modo. Quello tra me e i musicisti che suonano in Vaudou Game è un incontro spirituale».

Come mai nel gruppo non ci sono musicisti africani?
«Perché io sono molto rigoroso, credo nel lavoro e ho bisogno di gente che ami lavorare, che abbia un forte senso della disciplina. Non ho bisogno di africani che mi raccontino le loro storie: le conosco già. Sono venuto in Europa per imparare e lo posso fare solo confrontandomi con chi è diverso da me ed è portatore di un’altra cultura. Ho rinunciato a molte cose lasciando il mio Paese e vivere in Europa non è uno scherzo. Se volessi lavorare con gli africani, tornerei a casa mia. I musicisti francesi con cui suono hanno la loro vita in Europa: hanno studiato qui, frequentato il conservatorio, hanno le loro famiglie. Io sono solo un africano arrivato in Occidente e se mi voglio integrare devo lavorare con gli europei, imparando da loro per essere come e meglio di loro, non parlare dei miei problemi. Se ti fai mangiare dai problemi, dalle preoccupazioni, finisci con l’abbandonare la musica. Ma io ho fatto una scelta per la vita: sono un musicista per sempre. Ho lasciato il mio Paese per questo: sono come un fiume, non mi puoi fermare. C’è un villaggio che devo raggiungere perché le donne e i bambini possano prendere l’acqua e se tu provi a fermarmi con problemi e preoccupazioni rischio di tracimare e questo non va bene. Io devo essere lasciato tranquillo, per arrivare dove devo».

Gabriella Grasso