La lettera

«Afroitaliano sarai tu»

Roxanne D. Costa - 6 Aprile 2015

bianco26neroAncora a proposito della questione “afroitaliani”, ecco l’intervento di Roxanne D.Costa, nostra lettrice italo-etiope.  Il linguaggio dell’articolo è quello utilizzato dall’autrice e, per quanto in alcune parti vi siano termini e concetti “forti”, per scelta redazionale abbiamo deciso di non apportare alcuna modifica.

Vi regalo una chicca: generalmente, se per spiegare un concetto vi trovate a dover far ricorso a parole come “nero”, molto probabilmente state spiegando un’idea razzista. Ad ogni modo, vediamo: chi esattamente dovrebbe essere definito come afroitaliano? Non è ancora stato formalmente stabilito, ovvio, ma in linea generale, chiunque abbia “sangue africano” in Italia.
Il “sangue” capite? Non la vostra nazionalità, non la lingua che parlate, non la città dove siete nati. Il vostro sangue vogliono controllare! Tutto torna: come serve il sangue per essere italiani, così serve il sangue per essere africani. Sembra coerente e convincente per chiunque si opponga allo ius soli.

L’idea vincente è questa: un individuo nero che si trovi a essere italiano è un afroitaliano. Se è nero, è africano in Italia. Africano nel senso lato del termine, sia chiaro: qui non ci interessa certo la nazionalità, qui si parla di una vaga idea di radici. Sei misto? Sei adottato? Sei brasiliano? Sei afroitaliano. Non scappi: se sei nero in Italia non sei italiano in tutto e per tutto ma sei afroitaliano.
La differenza c’è e si vede. Accettando la definizione non solo si rinuncia all’idea di essere italiani, si sta anche letteralmente cagando sulla propria identità africana a cui ci si illude di inneggiare. C’è qualcuno tra i lettori che non sa dove sia nato? Se sei nato in Etiopia, come me, prima di essere africano sei etiope. Se sei nato in Italia ma un genitore è nato all’estero non dovresti neanche porti il problema ma, se proprio ci tieni a farlo, chiedi a mamma dove è nata. Dubito ti risponderà: “io essere nata a Africa”. E’ veramente così semplice, intendo dire: sai esattamente chi sei e da dove vieni, non farti confondere.

Si comincia così, ora sei italiano, come tutti, non sei diverso, sulla carta nessuno lo nega, serve fisicamente un razzista presente che ti affronti per metterlo in dubbio. Oggi ti definiscono “afroitaliano”, tu sei contento come un deficiente, perché finalmente si viene a creare un gruppo di altri beoti come te che non ti fa sentire escluso. Piano piano quella definizione da informale diventa formale: nei questionari, nei censimenti, in fondo al modulo troverai stampata una domanda a risposta facoltativa che ti chiede la tua etnia. Tu, ancora beato, metti la crocetta su “afroitaliano”. Domani quel gruppo diventa una “minoranza” e tu, da italiano come gli altri, inizi formalmente a far parte di un sottoinsieme della Società a tutti gli effetti. Ti ritroverai a rimpiangere con nostalgia i classici sfondoni razziali vecchio stile. Tutto perché hai riconosciuto che un termine come “afroitaliano”, per descriverti, non fosse poi così male, e che in fondo in un modo o nell’altro in Italia dovranno pur descriverti in qualche modo.

Quando si coniano certi termini bisogna prevedere il risultato alla prova del tempo. Accettare l’idea che il figlio di un italiano nero venga definito afro-italiano può sembrare innocuo oggi ma, badate bene, stiamo condannando generazioni future a non potersi dire italiane in tutto e per tutto.

Ma la domanda principale resta questa: è necessario definirci? Io dico assolutamente no, e rifiuto ogni definizione. Vedete, l’onere di essere “definiti” ricade solo su di noi, gli altri italiani non se ne preoccupano. Beh, in fondo noi abbiamo radici diverse da quelle italiane, direte voi, e così dicendo comprendete quello che vi viene chiesto di fare, lo accettate, lo trovate giusto. Non è giusto affatto.
Il punto qui non sono le radici diverse, anche un italiano qualsiasi ha radici altrettanto lontane, eppure nessuno gli chiederebbe di definirsi. Ci vogliono additare e definire con un termine nuovo che, all’orecchio ingenuo, non suona per nulla discriminatorio, e proprio di questo fa la sua arma più micidiale. Non importa quale sia ma un termine, una definizione – una qualsiasi – sembrerebbe che dovremmo accettarla.
Alla fine, in soldoni, ti stanno dicendo che sei un’africana, che non sei italiana e che se non accetti l’idea che ti propinano “ti vergogni di essere nera”. Così tu, da italiana, diventi un’africana che “si sente” italiana. Se tu protesti, sei una pazza, una complessata, una traditrice di quella cultura, non è la rappresentazione autentica di quello che sei. Il termine per te è allettante: grazie a una definizione del genere puoi finalmente dirti italiano, almeno in parte.

A chi importa se tu, in effetti, non potresti dire di essere africano. Nessun africano si sentirà indignato, è solo la cultura italiana quella da rispettare, giusto? Con questo trucco, ti hanno tolto la tua vera identità e ora riprendertela sarà dieci volte più difficile. L’hai fatta perdere anche a tuo figlio, e al figlio di tuo figlio. Vi illudete di inneggiare alla vostra identità africana ma, quello che fate, è rinunciare alla vostra vera identità, quella italiana, quella che purtroppo la società vi dice che dovete riconoscere solo a bassa voce. Solo per metà, solo a patto che sia preceduta dal prefisso “afro”, a prescindere se voi “afro” lo siate oppure no. Non sentirete mai un coro da stadio gridare che “non esistono afroitaliani”. Troppo semplice essere afroitaliani, quello che la Società odia sono gli italiani neri.

Non ci vogliono, non ci credono, nonostante il paese sia nostro. Dio quanto li facciamo incazzare. Questa è l’unica battaglia da portare avanti. Rifiuta ogni etichetta, l’unica cosa che conta è l’identità che tu e solo tu senti, che sia sancita su una carta d’identità o meno. Afroitaliana ci sarà tua madre, io sono un’italiana.

Roxanne D. Costa