Mediterraneo

Tunisia, un ponte al di là del mare

Francesca Materozzi - 24 Aprile 2015

images tunisia«Ciò che stiamo facendo adesso qualche anno fa era impensabile» mi dice raggiante Afef Hagi, ricercatrice universitaria e vice presidente dell’associazione Pontes, alla fine di una festa che Pontes Tunisie ha organizzato nella loro sede, nella medina di Tunisi. Una serata particolare a cui hanno partecipato altre associazioni e dove si è mangiato, ballato e parlato di tutto, senza inibizioni. Del resto ora si può, c’è la democrazia. Durante la festa alcuni artisti si sono esibiti spontaneamente. Un poeta slam ha declamato le sue liriche mentre un giovane cantante lo accompagnava con una melodia araba. Un “conteur” camerunense, residente tra Abidjan (in Costa d’Avorio) e la Francia, ha concluso la serata con racconti ironici su pregiudizi e razzismo, rabbia e buonsenso. Solo qualche anno fa tutto questo sarebbe stato impossibile.

Si è parlato molto della “rivoluzione della dignità” della Tunisia, ma poco si sa su quello che ha comportato questa svolta per i tunisini all’estero e su come questi si rapportino ai cambiamenti in atto nella madrepatria. L’associazione Pontes, che mi ospita a Tunisi per il Forum Sociale Mondiale (Fsm), può aprire uno squarcio su questa realtà. Questa organizzazione non nasce in Tunisia ma a Milano, nel 2007, e ne fanno parte accademici, ricercatori universitari e studenti tunisini espatriati. Sono in collaborazione con altre associazioni della diaspora tunisina in Francia, in Canada e in altri Paesi ancora. Molta della loro azione – finalizzata a modificare quella che è l’immagine stereotipata dei Tunisini – si basa sulla comunicazione, lavorando sui luoghi comuni che ruotano attorno alla loro nazionalità. E’ solo con la Rivoluzione della dignità del 2011 – e con la libertà che anche dall’Europa sentono di poter respirare – che decidono di aprire Pontes Tunisie e di lavorare con la loro terra d’origine.
Adesso c’è un modo diverso di sentire la Tunisia: ora si ha voglia di parlare, di essere parte di quella politica che, prima, era vissuta come una minaccia. Non che i cittadini ne fossero esclusi, anzi, tutt’altro. Ai tempi di Ben Ali la politica era ovunque, invasiva e prepotente, la si poteva trovare nei cartelli, nei discorsi, nei simboli. Era imposta con dispotismo dall’alto. Per cui c’è impellente la voglia di riappropriarsene come diritto.

Nel 2012, quindi, l’associazione nasce anche in Tunisia e subito partecipa al Forum del 2013. Vi ha aderito anche nell’edizione del 2015, recentemente conclusa, preparando due panel di cui i suoi volontari sono stati organizzatori e partecipanti. Il primo, Giovani tra apatia e rivoluzione nel Mediterraneo, era incentrato sulla partecipazione giovanile nel mondo civico e politico. «Abbiamo avuto essenzialmente attivisti e militanti. Il confronto che cercavamo – ci racconta Afef Hagi – non voleva essere teorico o accademico, volevamo avere la possibilità di interrogarci su quelle che sono le nuove pratiche di cittadinanza in questa area». Hanno partecipato e sono intervenuti giovani e meno giovani, sono emersi problemi di comunicazione intergenerazionali e i temi relativi alle nuove forme di comunicazione, tramite internet e le arti di strada, con uno sguardo incrociato tra le due sponde che, a ben vedere, non presentano differenze poi così marcate.

Il secondo panel ha riguardato la cittadinanza transazionale, il modo di uscire dal concetto di “comunità” per creare “comune”. «Questa è la dimensione transazionale della cittadinanza che cerchiamo di creare, come Pontes, sia in Italia che in Tunisia – ci racconta Afef – Partecipiamo a tutti e due i mondi e cerchiamo di connetterli perché, per noi, non sono così lontani». Questo secondo incontro è in continuità con un panel iniziato nel 2013 e nato da un gruppo di militanti tunisini all’estero, che si stavano confrontando proprio su questi temi. Quest’anno il tema è stato portato avanti da Pontes e ha visto l’intervento di una giornalista di origini tunisine, che adesso vive in Libia; di uno scrittore che ha parlato della trasnazionalità nel processo di scrittura; di una professoressa che ha lavorato alla creazione di un “Alto consiglio per la migrazione tunisino” – la quale riportava l’esperienza di un viaggio che ha fatto nella diaspora tra la Tunisia e gli Stati Uniti – e di una giornalista tunisina, nata e vissuta in Francia, che dopo la rivoluzione ha deciso di far ritorno in nel suo Paese d’origine. Nel suo intervento è emerso come questo rapporto sia stato molto travagliato e difficile, anche se in lei era forte la volontà di partecipare pienamente a quello che stava accadendo in Tunisia.

«Questo secondo panel ci ha dato modo di riflettere, per quelle che sono le nostre storie in corso, sulla partecipazione politica collegata a quello che sta succedendo in Tunisia. E’ cambiato il nostro modo di essere tunisini all’estero – dichiara Afef – Anche perché la dittatura aveva i suoi tentacoli e arrivava a toccare anche noi della diaspora. Per noi fare associazionismo, adesso, non è assolutamente la stessa cosa. Questa libertà che abbiamo conquistato ci ha cambiato molto». Ed è qualcosa che si può costatare anche camminando per strada, dove ora è facilissimo parlare con la gente.
Negli ultimi due anni le cose sono cambiate. Dagli stati d’animo altalenanti, che andavano dal fiducioso al diffidente nei confronti della politica del 2013, ora si ha la percezione di come la situazione si sia come normalizzata. Le preoccupazioni sono più legate alla ripresa economica mentre i terroristi sono vissuti come corpi estranei.

E’ una Tunisia diversa, quella 2015, che Afef ben riassume alla fine della nostra conversazione: «Per noi è un percorso. La transizione sta andando bene, anche se è vulnerabile perché ancora fragile. Considerando il contesto geopolitico si può dire che la situazione è critica, ma i Tunisini sono d’accordo per continuare sulla strada intrapresa».

Francesca Materozzi