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L’esposto sui trattenimenti a Pozzallo e Lampedusa

- 28 Maggio 2015

Questo il testo dell’esposto scritto da Alessandra Ballerini e Fulvio Vassallo Paleologo e presentato, ai primi di maggio, da vari attivisti e comunicatori (tra cui anche giornalisti di Corriere delle Migrazioni) al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, al Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio di Europa (CPT), all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNHCHR), alla Commissione dell’Unione Europea, al Comitato Europeo per i diritti sociali, al Garante per i detenuti per la Sicilia, al Garante per l’Infanzia, alla Commissione per i Diritti Umani presso il Senato e avente per oggetto i Trattenimenti msna nei Cpsa di Pozzallo e Lampedusa.

I sottoscritti XXXXXXYYYYYY

Impegnati nella difesa dei diritti dei migranti espongono quanto segue, nell’interesse dei cittadini stranieri, già trattenuti presso i Centri di soccorso e prima accoglienza (CSPA) di Contrada Imbriacola a Lampedusa e di Pozzallo a Ragusa.

Presso il CSPA di Lampedusa, alla data del 28 aprile 2015 risultavano esservi circa 70 minori non accompagnati, illegittimamente privati della libertà personale, senza notifica di alcun provvedimento di trattenimento nè convalida giudiziaria.

Presso il CSPA di Pozzallo (Ragusa), alla data del 25 aprile 2015, risultavano invece trattenuti circa 113 cittadini siriani e palestinesi, anch’essi illegittimamente privati della libertà personale da oltre sette giorni, anche in questo caso senza notifica di alcun provvedimento di trattenimento nè convalida giudiziaria

I suddetti stranieri sono detenuti nei centri CSPA – ufficialmente preposti al soccorso ed alla mera accoglienza e non alla detenzione amministrativa – in condizioni disumane e degradanti.

Situazioni analoghe si sono verificate anche in passato e tutte le volte che le relative notizie venivamo divulgate ai mezzi di informazione o che stavano per essere proposte azioni legali, gli stessi stranieri venivano trasferiti in strutture diverse, senza che potessero fare valere la condizione di illegittimo trattenimento da essi subito.

Si tratta di una situazione di trattenimento amministrativo che si verifica in strutture, i Centri di prima accoglienza e soccorso, i quali non sono preposti alla limitazione della libertà personale, a differenza che dei c.d. CIE.

Nei CSPA non si svolgono udienze di convalida, ne è garantito l’accesso di avvocati, né possono accedervi liberamente associazioni diverse da quelle Convenzionate con il ministero dell’interno.

Come già ribadito dall’ Associazione Studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) nel comunicato del 18 dicembre 2013, le detenzioni di tal fatta costituiscono “trattamenti inumani e degradanti, vietati dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e costituenti ipotesi di reato che, al di là della qualificazione giuridica, sono emblematici delle condizioni di vita dei Centri di detenzione amministrativa: un motivo in più per chiederne con forza l’immediata chiusura”…… “Non è la prima volta che il CPSA di Lampedusa è al centro delle cronache per le illegalità gravi che ivi si consumano, già nel 2011 – all’epoca delle “primavere arabe” – centinaia di migranti furono trattenuti illegalmente per settimane senza alcun controllo della magistratura e privi di alcuna forma di tutela legale”

Quanto avviene ancora oggi nei centri di prima accoglienza e soccorso, quando il trattenimento amministrativo si protrae oltre le 96 ore, magari allo scopo di ottenere il prelievo delle impronte digitali, corrisponde ad una eclatante violazione dell’art. 13 della Costituzione italiana e delle norme che regolano in Italia il trattenimento amministrativo.

Ciò che continua a registrarsi a Lampedusa ed a Pozzallo confligge in modo palese con il divieto di sottoporre chiunque a trattamenti inumani o degradanti, sancito dall’art. 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dall’art. 7 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, dall’art. 16 della Convenzione contro la Tortura ed altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradanti, dall’art. 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e dall’art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Il Centro di Soccorso e Prima Accoglienza deve, come vuole il nome stesso, essere destinato a prestare soccorso alle persone sbarcate dopo operazioni di soccorso, per poi procedere ad un loro veloce trasferimento verso altri centri a seconda delle esigenze e della posizione giuridica dei singoli individui.

Come ribadito dallo stesso Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) in un recente comunicato stampa “il centro è stato realizzato per fornire una prima accoglienza ai migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare, in attesa del loro rapido trasferimento – entro 48 ore al massimo – verso appositi centri dislocati su tutto il territorio nazionale, dove i loro casi vengano presi in esame. Senza un adeguato sistema di rapido trasferimento dei migranti fuori dall’isola si verificano costantemente situazioni di grave degrado anche in vista di possibili nuovi arrivi via mare.”

Numerose e concordanti fonti indicano invece come le persone trattenute nei CSPA, siano essere costrette a rimanervi per settimane, se non per tempi ancora più lunghi, senza che venga adottato alcun provvedimento formale nei loro confronti.

In particolare, con riferimento al CSPA di Pozzallo vi sono diverse fonti che documentano come si stia illegittimamente ricorrendo all’uso della forza per costringere i migranti alla identificazione attraverso il prelievo delle impronte digitali.

Come si legge su di un articolo della testata giornalistica online meridionews (http://meridionews.it/articolo/33243/pozzallo-picchiati-con-la-corrente-elettrica-la-denuncia-dei-migranti-da-4-giorni-nel-cpa/) “Urla, voci di donne, bambini e ragazze. « Ci picchiano con la corrente elettrica». Una denuncia choc che arriva dall’interno del centro di prima accoglienza di Pozzallo. I volti non si vedono, nascosti dalla gabbia creata da alcuni pannelli di compensato. A raccogliere la disperazione di chi si trova in questo momento all’interno del Cpa è stata Nawal Soufi, l’attivista marocchina che da anni è impegnata nell’accoglienza dei migranti, soprattutto siriani e palestinesi, a Catania e nella parte sud orientale della Sicilia

(…)Secondo le testimonianze raccolte un migrante ieri sera sarebbe stato picchiato. L’attivista ha quindi intimato alla polizia di desistere dalle violenze, altrimenti avrebbe richiamato l’attenzione della stampa. All’esterno della struttura era infatti presente anche una troupe della televisione Al Jazeera. «Dopo il caos generato dall’irruzione – racconta Chiara Avesani, giornalista di Torino che accompagnava i colleghi statunitensi dell’emittente del Qatar – abbiamo visto che una ventina di migranti sono stati lasciati andare. Prima di prendere il taxi e andare via ci hanno raccontato di essere stati picchiati. Uno di loro ci ha mostrato una bruciatura sulla schiena che sembrava fresca e ci ha detto che era stata provocata nel Cpsa». Chi è riuscito a scappare ha anche mostrato un volantino in cui, in diverse lingue tra cui l’arabo, veniva spiegato che la polizia era autorizzata a prendere le impronte digitali, anche con la forza”.

Si ricorda come il diritto internazionale dei diritti umani tuteli l’inviolabilità della libertà personale; queste situazioni, invece, contraddicono il principio in esame, sostanziandosi in un regime di detenzione amministrativa attuata al di fuori di qualsiasi presupposto giuridico. Emblematico, a questo proposito, è il caso dei 70 minori non accompagnati presenti nel CSPA di Lampedusa da più di due settimane e dei 113 siriani e palestinesi trattenuti e sottoposti a violenze nel CSPA di Pozzallo.

Si allega il recente documento dell’ASGI sulle modalità di prelievo delle impronte digitali che non possono comprendere forme arbitrarie della libertà personale né il ricorso all’uso della forza, come pure sembrerebbe adombrare la circolare del ministero dell’interno del 26 settembre 2014, nei suoi allegati.

Alcuni migranti trattenuti nelle suddette strutture sono tra l’altro sopravvissuti a gravissimi drammi e necessiterebbero di ben altro trattamento – psicologico in primis – piuttosto che il trattenimento sine die nel centro.”

Questa illegittima detenzione costituisce una palese violazione dell’art. 13 della Costituzione Italiana, oltre che delle norme relative al trattenimento degli stranieri contenute nel Testo Unico n.286 del 1998, e di quanto previsto dalla normativa italiana e dell’unione Europea in materia di protezione internazionale. Tale trattenimento non è giustificato da alcun provvedimento giudiziario o amministrativo e non può essere dunque oggetto di impugnativa davanti ai Tribunali Italiani poichè trattasi di mero comportamento posto in essere da agenti delle forze dell’ordine.

Con riferimento alla normativa italiana in materia di immigrazione, gli artt. 10, 13 e 14 del D.Lgs. 286/98 (e successive modifiche) prevedono che il cittadino straniero possa essere privato della libertà personale con provvedimento amministrativo, unicamente nei casi in cui venga nei suoi confronti adottato un provvedimento di respingimento alla frontiera (art. 10), ovvero un provvedimento di espulsione (art. 13), ovvero un provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e assistenza, oggi Cie, (art. 14). Tale ultimo provvedimento può essere adottato unicamente ai fini dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento dal territorio italiano. Tali provvedimenti, inoltre, hanno natura di provvedimenti recettizi; essi acquistano dunque efficacia solo dal momento della loro notifica al destinatario e non possono trovare esecuzione prima di tale notifica. I provvedimenti di trattenimento e di accompagnamento alla frontiera dello straniero devono essere inoltre comunicati al Giudice di Pace entro 48 ore dalla sua adozione, e devono essere convalidati dal Giudice entro le successive 48 ore (artt. 13, co. 5 bis e 14, co. 4, D.Lgs. 286/98), pena la perdita di efficacia.

Proprio con riferimento ai provvedimenti di trattenimento presso i CIE e di accompagnamento alla frontiera, la Corte Costituzionale ha più volte chiarito (si vedano in particolare le sentenze 105/01 e 222/04) trattarsi di provvedimenti limitativi della libertà personale, che come tali devono essere assistiti dalle garanzie di cui all’ art. 13 della Costituzione, e dunque devono essere sottoposti nei tempi indicati da tale norma al vaglio giurisdizionale. L’art. 21, co. 4, del Regolamento di attuazione del D.Lgs. 286/98 (D.P.R. 394/99, come modificato dal D.P.R. 334/04), prevede che “il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell’art. 14, comma 1, del test unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario”; l’art. 23, co. 1, del medesimo regolamento aggiunge che “le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all’articolo 22 per il tempo strettamente necessario all’avvio della stesso ai predetti centro o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”.

Tali disposizioni di fonte regolamentare, dunque, prevedono che la privazione della libertà personale dello straniero nei procedimenti amministrativi relativi al suo allontanamento può avvenire unicamente presso i CIE, mentre al di fuori di tali centri (e dunque anche nei CPSA) possono svolgersi unicamente attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per esigenze igienico sanitarie, ma non può esservi limitazione della libertà personale; in ogni caso, ogni eventuale limitazione della libertà personale deve obbedire ai rigidi criteri imposti dall’art. 13 della Costituzione e dalle disposizioni di legge in materia.

L’art. 20 D.P.R. 394/99, Regolamento di attuazione prescrive peraltro che il decreto di trattenimento sia comunicato all’interessato a mani proprie e sia adottato in forma scritta e motivata, con traduzione in lingua conosciuta, il trattenuto debba essere informato del diritto di essere assistito da un difensore di fiducia o, in difetto, d’ufficio, e che le comunicazioni saranno effettuate presso il difensore; il trattenimento non può essere protratto oltre il tempo strettamente necessario alla rimozione degli ostacoli che si frappongono all’esecuzione dell’espulsione; il trattenuto non ha lo status di detenuto, tant’è che se fugge non commette il reato di evasione, tuttavia è impedito l’esercizio della sua libertà personale, e, se si allontana dal centro la forza pubblica ha il dovere di ripristinare la misura restrittiva. L’art. 21, comma 4, dello stesso Regolamento di attuazione prevede che “il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell’art. 14, comma 1, del testo unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario”.

Il CPSA di Lampedusa, a Contrada Imbriacola e quello di Pozzallo a Ragusa, rientrano tra quei centri che secondo l’art. 23 sono destinati appunto alle “Attività di prima assistenza e soccorso”. Secondo il Regolamento dunque: le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all’articolo 22 (CIE), per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato.

La legge prevede inoltre due ipotesi di provvedimenti limitativi della libertà personale adottati dall’autorità di polizia finalizzati all’identificazione del soggetto: l’accompagnamento ed il trattenimento della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, trattenimento che non può superare le dodici ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 349 c.p.p.); l’accompagnamento ed il trattenimento al solo fine dell’identificazione della persona che, richiestone, rifiuti di dichiarare le proprie generalità, ovvero quando ricorrano sufficienti indizi per ritenere la falsità delle sue dichiarazioni sulla propria identità o dei documenti esibiti, trattenimento che non può protrarsi oltre le ventiquattro ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 11 D.L. 59/78, convertito con modificazioni dalla L. 191/78).

L’illegittimo trattenimento dei migranti nel Cpsa di Contrada Imbriacola e nel Cpsa di Pozzallo protrattosi sine die, in assenza di notifica di qualsiasi provvedimento amministrativo e convalida giudiziaria, e le condizioni del trattenimento medesimo, come documentate da immagini che hanno avuto una diffusione a livello internazionale, costituiscono inoltre palese violazione degli artt. 3, 5, 6, 8, 13 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In base alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, se l’art. 5 comma 1 lettera f. della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) ammette la detenzione amministrativa “regolare” solo nel caso di una persona “contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione”, occorre tuttavia che la misura limitativa della libertà sia “proporzionata ed adeguata”, e che abbia una durata commisurata all’esigenza di assicurare le misure di allontanamento forzato. L’art. 5.2 della CEDU prevede il diritto di qualsiasi persona arrestata di essere informata al più presto ed in una lingua a lei comprensibile delle ragioni dell’arresto e di ogni accusa a suo carico.

Va quindi riaffermata la obbligatorietà della immediata presenza di un interprete che salvaguardi il diritto alla comprensione linguistica. Secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, una violazione dall’art. 5 potrà risultare sia da una detenzione amministrativa “non conforme”, che dalla mancanza di un ricorso effettivo. Secondo l’art. 5.4 della CEDU “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinchè decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione arbitraria “ ha diritto ad una riparazione”.

Il trattenimento (di soggetti che non hanno commesso reati) e la sua ragionevole durata
La Corte europea considera “normale” che gli Stati, in virtù del loro diritto di controllare l’ingresso e il soggiorno degli stranieri sul proprio territorio, abbiano la facoltà di condurre in luoghi di detenzione i candidati all’immigrazione che hanno sollecitato – con una domanda di asilo o senza quest’ultima – l’autorizzazione ad entrare nel territorio dello Stato. Tuttavia la detenzione di una persona costituisce l’attentato più grave alla libertà individuale e deve sempre essere assoggettata ad un controllo rigoroso. Sussiste altresì la necessità di verificare se la detenzione è stata disposta “secondo vie legali” ai sensi dell’art. 5 § 1. Il giudice europeo ricorda che in materia di “regolarità” della detenzione la Convenzione rinvia essenzialmente alla legislazione nazionale e consacra l’obbligazione di osservarne le norme di procedura e di merito, ma esige la conformità di tutte le privazioni di libertà agli scopi previsti dall’art. 5 per proteggere l’individuo dall’arbitrio delle autorità statali (si v., tra le molte, Bozano c. Francia, sentenza del 18 dicembre 1986, § 54 e Amuur c. Francia, sentenza del 25 giugno 1996, § 50).

L’art. 5 § 1 impone in primo luogo che tutti i provvedimenti di arresto o di detenzione abbiano una base legale in diritto interno (Bozano, cit.). Tuttavia la «regolarità» di diritto interno non rappresenta un elemento decisivo per escludere la violazione della Convenzione, dato che la Corte deve assicurarsi che il diritto interno sia esso stesso conforme a Convenzione, compresi i principi generali espressamente o implicitamente enunciati nella sua giurisprudenza. Sotto questo profilo, la Corte europea ha sottolineato che quando si tratta di una privazione di libertà è particolarmente importante soddisfare il principio generale di sicurezza giuridica. Di conseguenza è essenziale che le condizioni di privazione della libertà, in virtù del diritto interno, siano chiaramente definite e che la legge stessa sia prevedibile nella sua applicazione, in modo da rispondere al criterio di “legalità” fissato dalla Convenzione, secondo il quale la legge deve essere sufficientemente precisa per evitare rischi di applicazioni arbitrarie (si v.Nasrulloyev c. Russia, sentenza del 1° ottobre 2007, ric. n. 656/06, § 71 e Amuur, cit.). Il criterio di legalità fissato dalla Convenzione esige che tutte le leggi siano sufficientemente precise per permettere ai cittadini di prevedere con un grado ragionevole di certezza, secondo le circostanze del caso, le conseguenze discendenti da un determinato comportamento (Shamsa c. Polonia, sentenza del 27 novembre 2003, § 40). La Corte ricorda altresì che secondo la sua giurisprudenza deve sussistere un legame tra il motivo della privazione della libertà da un lato, e dall’altro il luogo e il regime della detenzione (si cfr.Mubilanzila Mayeka et Kaniki Mitunga c. Belgio, sentenza del 12 ottobre 2006, ric. n. 13178/03, § 53).

Piuttosto significativo sotto questo aspetto è il caso Riad e Idiab c. Belgio, sentenza del 24 gennaio 2008 (ricc. nn. 29787/03 e 29810/03), riguardante due cittadini palestinesi residenti in Libano, arrivati senza visto in Belgio, che avevano chiesto asilo politico ma la cui richiesta era stata respinta. Trasferiti in un centro per immigrati illegali, avevano ottenuto una decisione giudiziaria definitiva che li rimetteva in libertà, ma ciononostante erano stati trasferiti nella zona di transito dell’aeroporto di Bruxelles ove erano stati trattenuti per oltre dieci giorni al fine di costringerli ad accettare una partenza spontanea. In seguito, dopo che un provvedimento giudiziario ebbe ingiunto di lasciarli liberi, ricevettero un ordine di allontanamento e furono trattenuti in un centro per immigrati illegali fino al rimpatrio avvenuto dopo altri venti giorni circa. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto violato l’art. 5 CEDU in relazione al trattenimento nella zona transiti dell’aeroporto nonostante l’ordine giudiziario che li rimetteva in libertà: la zona di transito dell’aeroporto, dove i ricorrenti erano stati abbandonati a se stessi, senza accompagnamento umanitario, non costituisce infatti un luogo adatto alla detenzione. La Corte ha considerato che il fatto di detenere una persona nella zona transiti per un periodo indeterminato ed imprevedibile senza una disposizione o una decisione assoggettata a controllo giudiziario, sia in sé contrario al principio di sicurezza giuridica, che è implicitamente riconosciuto dalla Convenzione e che costituisce uno degli elementi fondamentali dello Stato di diritto (si v., mutatis mutandis, Shamsa, cit., § 58). Quanto al trattenimento nel centro per immigrati illegali, mentre non venivano ancora eseguite le decisioni di rimpatrio, e in spregio alle ordinanze giudiziarie definitive, la Corte lo ha ritenuto anch’esso in violazione dell’art. 5 CEDU. In riferimento alla lamentata violazione dell’art. 3 CEDU il giudice di Strasburgo rileva che la privazione della libertà dei ricorrenti si fondava sul solo fatto di non essere in possesso di un titolo di soggiorno regolare. In tali casi, se gli Stati sono autorizzati a condurre in luoghi di detenzione degli immigrati potenziali, come già si è sottolineato, questo loro potere deve tuttavia essere esercitato in conformità alle disposizioni della Convenzione. La Corte tiene conto della situazione particolare di queste persone nel controllare la conformità a Convenzione delle modalità di esecuzione delle misure di detenzione, in particolare in riferimento all’art. 3 CEDU che proibisce in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani e degradanti, quali che siano le circostanze o i comportamenti della vittima (v. infra). La zona di transito non è un luogo adatto alla detenzione, poiché essa è destinata all’accoglienza di persone di durata brevissima, ed ha caratteristiche che possono far nascere nei detenuti un sentimento di solitudine: non vi è alcun accesso all’esterno per camminare o fare esercizio fisico, né strutture interne di ristoro, né contatti con il mondo esteriore. Per la Corte è inaccettabile che chiunque possa essere detenuto in condizioni nelle quali vi sia una assenza totale di attenzione ai suoi bisogni essenziali (si v. ancora Riad e Idiab.)

Naturalmente la detenzione deve rispondere alla ratio dell’art. 5, che mira a tutelare l’individuo rispetto all’arbitrio delle autorità statali, e che va al di là della semplice conformità al diritto nazionale, richiedendo anche che quest’ultimo sia conforme alla CEDU. Nella pronuncia in esame la Corte europea ha avuto modo di precisare i criteri in base ai quali deve verificarsi la non arbitrarietà di una misura restrittiva della libertà personale: 1) la detenzione deve essere disposta in buona fede; 2) deve essere strettamente legata allo scopo consistente nell’impedire ad una persona di entrare irregolarmente nel territorio; 3) il luogo e le condizioni della detenzione devono essere appropriati, dato che una simile misura si applica non a soggetti che hanno commesso reati, ma a stranieri che sovente, temendo per la loro vita, fuggono dal loro paese; 4) infine, quanto alla ragionevole durata, la detenzione non può eccedere il tempo necessario a raggiungere lo scopo perseguito. Così se la procedura non è condotta con la dovuta diligenza la detenzione cessa di essere giustificata (Saadi c. Regno Unito, §§ 90 ss.).

Per quanto riguarda invece la violazione dell’art. 3 Cedu va ricordato che esso proibisce in termini assoluti la tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti, consacrando uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Esso non è soggetto a restrizioni (diversamente da quanto accade per la maggior parte delle disposizioni della Convenzione e dei protocolli n. 1 e n. 4); e non ammette alcuna deroga in virtù dell’art. 15 CEDU, in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione. Ex plurimis si v. Irlanda c. Regno Unito, sentenza dell’8 gennaio 1978, § 163; Chahal, cit., § 79; Selmouni c. Francia, sentenza del 28 luglio 1999, Grande Camera, § 95; Al-Adsani c. Regno Unito, sentenza del 21 novembre 2001, Grande Camera, § 59; Chamaïev e altri c. Géorgie e Russia, sentenza del 12 aprile 2005, § 335.

Il divieto della tortura e di trattamenti inumani e degradanti, in quanto assoluto, quale che sia il comportamento della persona implicata, rende priva di rilevanza la natura della violazione attribuita al ricorrente (in tal senso si v. Indelicato c. Italia, sentenza del 18 ottobre 2001, § 30; Ramirez Sanchez c. Francia, sentenza del 4 luglio 2006, Grande Camera, §§ 115-116).

Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea, perché abbia rilievo ai fini dell’applicazione dell’art. 3 CEDU, un maltrattamento deve raggiungere un minimo di gravità. L’apprezzamento di questominimum è relativo, dipende dall’insieme degli elementi della causa, e principalmente dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (v., tra le altre, Price c. Regno Unito, sentenza del 10 luglio 2001, § 24; Mouisel c. Francia, sentenza del 14 novembre 2002, § 37; Jalloh c. Germania, sentenza dell’11 luglio 2006, Grande Camera, § 67). Al fine di un simile apprezzamento occorre tenere conto che la Convenzione è uno strumento vivente da interpretare alla luce delle condizioni di vita attuali e che il livello crescente di esigenze in materia di protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali implica, parallelamente e ineluttabilmente, una più grande fermezza nell’apprezzare le violazioni ai valori fondamentali delle società democratiche: si v. Mubilanzila Mayeka e Kaniki Mitunga c. Paesi Bassi, sentenza del 12 ottobre 2006, § 48; Saadi c. Italia, cit.

Per capire quando un trattamento possa definirsi inumano o degradante in primo luogo deve accertarsi che la sofferenza o l’umiliazione provocate vadano al di là di quelle che comportano inevitabilmente certe forme di trattamento o di pena legittimi (Labita c. Italia, sentenza del 6 aprile 2000, Grande Camera, § 120). Nel caso Riad e Idiab c. Belgio, sentenza del 24 gennaio 2008, la Corte ha giudicato “inumano” un trattamento per il fatto che era stato applicato con premeditazione per ore, causando lesioni corporali e sofferenze psichiche e mentali. Un trattamento è “degradante” quando la sua natura ispira alla vittima sentimenti di paura, di angoscia e di inferiorità allo scopo di umiliarla e avvilirla (v. Kudla c. Polonia, sentenza del 26 ottobre 2000, Grande Camera, § 92). Tuttavia l’assenza di un tale scopo non esclude in modo definitivo la constatazione di una violazione dell’art. 3 CEDU. Il carattere pubblico della sanzione o del trattamento può costituire un elemento rilevante ed aggravante a tal fine (si v.Raninen c. Finlandia, sentenza del 16 dicembre 1997, § 55). Tuttavia potrebbe essere sufficiente che la vittima risulti umiliata soltanto ai propri occhi, senza che lo sia anche agli occhi altrui (si v. Tyrer c. Regno Unito, sentenza del 25 aprile 1978, § 32 e Erdogan Yagiz c. Turchia, sentenza del 6 marzo 2007 (ric. n. 27473/02), § 37 si veda Lo straniero nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo Quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese Madrid, 25 – 26 settembre 2008 a cura di Barbara Randazzo).

Da ultimo va citata la sentenza Torreggiani/Italia nella quale la Corte afferma: “La Corte rileva che le misure privative della libertà implicano abitualmente per un detenuto alcuni inconvenienti. Tuttavia, essa ricorda che l’incarcerazione non fa perdere a un detenuto il godimento dei diritti garantiti dalla Convezione. Al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore protezione in ragione della vulnerabilità della sua situazione e perché essa si trova completamente sotto la responsabilità dello Stato. In questo contesto, l’articolo 3 impone all’autorità un obbligo positivo che consiste nell’assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato a una sofferenza di intensità tale che superi il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, pur rispettando le esigenze pratiche dell’incarcerazione, la salute e il benessere del prigioniero siano assicurate in maniera adeguata (Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000-XI ; Norbert Sikorski c. Polonia, precitato § 131).

Tutte le considerazioni di cui sopra valgono a maggior ragione nel caso di specie atteso che i migranti tutti minori non accompagnati si trovano trattenuti nel Cpsa di Contrada Imbriacola in condizioni oggettivamente inumane e degradanti senza alcun provvedimento né norma di legge a giustificazione della loro detenzione da oltre 14 giorni.

Nella medesima decisione la Cedu afferma (§ 48) che “la Convenzione prescrive l’esaurimento solo di quei ricorsi relativi alle disposizioni incriminate, disponibili ed adeguati”. Essi devono essere di certa e pratica attuazione. In ogni caso, secondo la Corte (§ 50)…”perchè un sistema di protezione dei diritti dei detenuti garantiti dall’art. 3 della Convenzione sia effettivo, i rimedi preventivi e compensatori devono coesistere in maniera complementare”. Pare opportuno ricordare come la Corte abbia costantemente affermato (cfr., ex plurimis, C.edu. Grande Camera, Paksas c/Lituania, 6.1.2011) la possibilità di ottenere la cessazione dell’illecito in caso di violazioni che realizzino una situazione continua, da intendersi quale stato di fatto originato da una condotta statuale, ivi inclusa l’emanazione di una disposizione legislativa che si estenda nel tempo.

E’ opportuno a tale proposito ricordare nuovamente che nel caso di specie i migranti non hanno alcuna possibilità di adire la magistratura italiana perché nessun provvedimento di trattenimento è stato mai loro notificato .

Peraltro nei casi dei minori non accompagnati non risulta essere stato nominato loro un tutore.

L’art. 13 della CEDU afferma il diritto ad un ricorso effettivo, stabilendo che “ ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”. Il successivo art. 14 della Convenzione afferma il divieto di qualsiasi discriminazione, in particolare di quelle fondate “sulla razza” o “sull’origine nazionale”, rispetto al “godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti” dalla stessa Convenzione.

L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale Secondo quanto previsto dalla norma “ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”.

In base all’articolo 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà.

Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui”. L’art. 52.3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea stabilisce che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non osta al diritto dell’Unione di concedere una protezione più estesa”.

E’ opportuno ricordare, a tale riguardo, che l’art. 6, par. 1, della versione consolidata del Trattato sull’Unione europea (cfr. GUUE n. C 115 del 9 maggio 2008, p. 19) riconosce «lo stesso valore giuridico dei trattati» ai principi contenuti nel testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vieta trattamenti inumani o degradanti, ai quali si può senz’altro ricondurre come fatto ormai notorio la detenzione a tempo indeterminato, in assenza di provvedimenti formali, subita dai migranti ancora rinchiusi nel centro di primo soccorso ed accoglienza (CSPA) di Lampedusa. Nell’esperienza delle pratiche di respingimento e di detenzione amministrative di molti paesi europei è emersa negli anni la tendenza delle autorità di polizia a considerare gli immigrati “irregolari” che facevano ingresso nel territorio nazionale come se non avessero mai superato il varco di frontiera, trattenendoli per settimane, qualche volta per mesi i situazioni di totale negazione dei diritti fondamentali della persona, al solo fine di facilitare le procedure di allontanamento forzato.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato in passato quei paesi che avevano praticato forme diverse di respingimento “sommario” in frontiera, istituendo negli aeroporti delle “zone di transito” specificamente destinate agli immigrati irregolari, che per questa ragione venivano allontanati più rapidamente, senza quelle garanzie di libertà e di difesa, a partire dal diritto ad un ricorso effettivo, che sono riconosciute a tutti gli altri immigrati privi di uno status di soggiorno regolare, comunque presenti nel territorio dello stato, quando sono destinatari di un provvedimento di espulsione. A tal proposito è interessante richiamare la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Amur/Francia del 1996. Si trattava di alcuni cittadini somali fermati nella zona di transito dell’aeroporto di Parigi per circa venti giorni.

La Corte riconosceva “il diritto incontestabile per gli Stati di sorvegliare l’ingresso ed il soggiorno di stranieri nel proprio territorio”. Tuttavia, tale diritto, che corrisponde alla sovranità dello stato, sempre secondo la Corte, deve esercitarsi in conformità della Convenzione e dunque senza violare alcuno dei principi affermati nella stessa CEDU, anche con riferimento al divieto di espulsioni collettive.
Lampedusa e Pozzallo non sono una zona di transito extraterritoriale, né può diventarlo per decreto di un ministro o per un provvedimento dell’autorità giudiziaria, magari neppure notificato e tradotto.

Le persone entrate o soggiornanti irregolarmente nel territorio italiano – tra queste anche i migranti giunti irregolarmente a Lampedusa, o Pozzalo a partire dal momento del loro ingresso in Italia, quando sia limitata la loro libertà personale, devono avere possibilità adeguate di presentare un ricorso effettivo davanti ad un’autorità giudiziaria avverso il provvedimento di trattenimento amministrativo e dunque devono essere comunque trattenute in base ad un provvedimento amministrativo.
Si rammenta infatti quanto disposto dagli articoli 5 e 13 della CEDU e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il diritto ad un rimedio efficace e ad un giusto processo, oltre naturalmente al principio del controllo giudiziario sulla detenzione, intesa come qualsiasi limitazione della libertà personale.
Il Regolamento Schengen per le frontiere esterne del 2006 ed il regolamento Dublino n.343 del 2003, sullo stato competente a ricevere le domande di asilo, contengono precise garanzie formali per chiunque varchi irregolarmente una frontiera esterna o interna dell’Unione Europea, con particolare riferimento alla forma dei provvedimenti da adottare e delle garanzie accordate a tutti i migranti, quale che sia la loro posizione giuridica..

Tutte queste regole di diritto internazionale, ed adesso di diritto dell’Unione Europea, sono richiamate dal diritto interno, all’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n. 286 del 1998 che sancisce, anche con riguardo agli immigrati irregolari, “i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore, e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”.

Malgrado tutto quanto precede i migranti continuano ad essere illegittimamente trattenuti nel Cpsa di Contrada Imbriacola e di Pozzallo in assenza della notifica di qualsiasi provvedimento amministrativo o giudiziario.
La condizione dei migranti giunti irregolarmente a Lampedusa, sia per le condizioni materiali di accoglienza, che
per la mancanza di provvedimenti formali che ne definiscano lo status giuridico, appare qualificabile come un “trattamento inumano e degradante”, vietato dall’art. 3 della CEDU, oltre a costituire una situazione di tensione esasperata che potrebbe produrre gesti di autolesionismo, oltre che tentativi di suicidio, come quello verificatosi nel Centro per richiedenti asilo di Mineo ( Catania) dove un giovane eritreo, in attesa da oltre sette mesi di una risposta sulla sua domanda di asilo, si è impiccato)

Inoltre, si tratta di testimoni e vittime di gravi reati che andrebbero non puniti e rinchiusi ma protetti e tutelati tramite il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, previsto (art. 11, lett. c bis) DPR 394/99) proprio nei casi in cui la presenza dello straniero nel territorio dello Stato sia indispensabile in relazione all’accertamento di gravi reati, esattamente come nel caso in esame oppure con il rilascio di un permesso di soggiorno ex art. 18 testo unico immigrazione.

La scelta di bloccare il trasferimento dei suddetti migranti e dunque di trattenerli presso il CSPA (centro di soccorso e prima accoglienza), di Lampedusa e di Pozzallo ha operato una completa inversione rispetto al funzionamento e alla natura stessa dei centri, che sarebbe invece quella di attuare un servizio di prima accoglienza e soccorso delle persone salvate in mare, con successivo quasi immediato trasferimento presso altri centri di accoglienza.

Numerosi rapporti, basati su visite e documenti inconfutabili, come nel caso della Commissione De Mistura nel 2007, e da ultimo le denunce di Amnesty International, hanno evidenziato come assai spesso gli stranieri vengano trattenuti presso gli attuali centri di prima accoglienza per periodi di tempo considerevolmente lunghi, variabili da alcuni giorni fino a settimane o mesi, senza che la normativa definisca con chiarezza e tassatività i diritti degli stranieri presenti e senza che tale situazione di effettiva limitazione della libertà personale sia sottoposta ad alcun controllo giurisdizionale. Va sottolineato che tale situazione, non conforme alla legislazione italiana in materia di provvedimenti limitativi della libertà, e che si configura come una violazione dell’articolo 13 della Costituzione italiana e dell’art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU), è stata recentemente oggetto di critiche da parte di tutti i diversi soggetti politici o agenzie umanitarie che hanno visitato i centri di prima accoglienza in Sicilia e quello di Lampedusa in particolare.

L’art. 13 della Costituzione italiana stabilisce comunque che “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, s’intendono revocati e restano privi di ogni effetto . Va anche ricordato che l’art. 13 della Costituzione stabilisce che. “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.”

Si deve a tale riguardo rilevare come la possibilità di un ricorso giurisdizionale contro il trattenimento de facto sia una mera possibilità teorica, mancando un provvedimento formale da impugnare. L’art. 21 comma 4 del Regolamento di attuazione n.394 del 1998, ribadisce che “il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea (oggi CIE) individuati ai sensi dell’art.14 ( del Testo Unico), o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario”.

Quanto osservato assume particolare rilievo nel caso dei migranti trattenuti per settimane senza alcuna notifica di nessun provvedimento nel Cpsa di Lampedusa né in quello di Pozzallo.

Viene attuata da settimane quindi una limitazione della libertà personale da parte dell’autorità amministrativa , in netto contrasto anche con i brevi termini ed il carattere di “straordinarietà ed urgenza” previsti dall’art. 13 della stessa Costituzione italiana. Neppure alcuna eventuale esigenza di indagine, potrebbe giustificare forme di trattenimento informale prive di provvedimenti regolarmente notificati ed impugnabili che ne costituiscano fondamento e base legale.

L’art. 13 della Costituzione prevede che: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.

L’art. 13 della Costituzione, nel prevedere l’inviolabilità della libertà personale, sancisce che non è ammessa alcuna forma di restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autoritàgiudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge; al comma 3 prevede inoltre che l’autorità di pubblica possa adottare provvedimenti provvisori solo nei caso di necessità e urgenza indicati tassativamente dalla legge, e comunque comunicando entro 48 ore il provvedimento all’autorità giudiziaria, che dovrà convalidarli entro le 48 ore successive, pena la revoca e la privazione di ogni efficacia del provvedimento.

Il Regolamento di attuazione n.394 del 1999, come detto, assume grande importanza in materia anche perché consente di individuare i cd. CPSA, come quello di Lampedusa, a Contrada Imbriacola, quei centri che secondo l’art. 23 sono destinati appunto alle “Attività di prima assistenza e soccorso”). Secondo il Regolamento dunque: le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all’articolo 22 ( CIE), per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato.

Tali disposizioni di fonte regolamentare, dunque, in ossequio alla legge – né potrebbe essere altrimenti, stante la riserva assoluta prevista dall’art. 13 della Costituzione – prevedono che la privazione della libertà personale dello straniero nei procedimenti amministrativi relativi al suo allontanamento può avvenire unicamente presso i CPT, mentre al di fuori di tali centri (e dunque anche nei CPA) possono svolgersi unicamente attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per esigenze igienico sanitarie, ma non può esservi limitazione della libertà personale; in ogni caso ogni eventuale limitazione della libertà personale deve obbedire ai rigidi criteri imposti dall’art. 13 della Costituzione e dalle disposizioni di legge in materia.

Ai sensi della normativa italiana in materia di immigrazione (T.U. Immigrazione D.L.vo 286/98 e successive modifiche art.19) il minore straniero migrante non può essere espulso e deve, anzi, essere accolto e protetto.

Tale protezione si deve tradurre nel suo pronto trasferimento, entro 48 ore dall’arrivo, in strutture di accoglienza adeguate a rispondere alle specifiche esigenze di cura, educazione e protezione che un minore, per sua natura, presenta.

A Lampedusa, quindi, i minori dovrebbero essere ‘accolti’ e non ‘rinchiusi’ nei Centri (ex Base Loran e CSPA di Contrada Imbriacola) solo per il tempo strettamente necessario a prestare loro le primissime cure ‘post sbarco’ e a completare la loro identificazione.

Il minore straniero non accompagnato, secondo la legge italiana, infatti, deve essere immediatamente segnalato a una serie di autorità titolate a incaricarsi della sua protezione, sotto vari profili, ossia:

Giudice tutelare

Tribunale dei minori

Comitato minori stranieri, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Comune (Sindaco)

La detenzione di un minore migrante è vietata dal nostro ordinamento nonché dalla Convenzione di New York sui diritti del Fanciullo.

In particolare l’articolo 37 della suddetta Convenzione prevede”: “Gli Stati parti vigilano affinché:

a) nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Né

la pena capitale né l’imprigionamento a vita senza possibilità di rilascio devono essere decretati

per reati commessi da persone di età inferiore a diciotto anni;

b) nessun fanciullo sia privato di libertà in maniera illegale o arbitraria. L’arresto, la detenzione o

l’imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire

un provvedimento di ultima risorsa ed avere la durata più breve possibile;

c) ogni fanciullo privato di libertà sia trattato con umanità e con il rispetto dovuto alla dignità della

persona umana ed in maniera da tener conto delle esigenze delle persone della sua età. In particolare, ogni fanciullo privato di libertà sarà separato dagli adulti, a meno che si ritenga preferibile di non farlo nell’interesse preminente del fanciullo, ed egli avrà diritto di rimanere in

contatto con la sua famiglia per mezzo di corrispondenza e di visite, tranne che in circostanze eccezionali;

d) i fanciulli privati di libertà abbiano diritto ad avere rapidamente accesso ad un’assistenza giuridica o ad ogni altra assistenza adeguata, nonché il diritto di contestare la legalità della loro privazione di libertà dinnanzi un Tribunale o altra autorità competente, indipendente ed imparziale, e che una decisione sollecita sia adottata in materia.

Non solo. L’articolo 39 della suddetta Convenzione prevede che: “Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per agevolare il riadattamento fisico e psicologico ed il reinserimento sociale di ogni fanciullo vittima di ogni forma di negligenza, di sfruttamento o di maltrattamenti; di torture o di ogni altra forma di pene o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti, o di un conflitto armato. Tale riadattamento e tale reinserimento devono svolgersi in condizioni tali da favorire la salute, il rispetto della propria persona e la dignità del fanciullo.”

La Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo prevede espressamente: “Articolo 3- Divieto della tortura. Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

Articolo 5- Diritto alla libertà ed alla sicurezza. 1. Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi seguenti e nei modi prescritti dalla legge:

a. se è detenuto regolarmente in seguito a condanna da parte di un tribunale competente;

b. se è in regolare stato di arresto o di detenzione per violazione di un provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;

c. se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o vi sono motivi fondati per ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso;

d. se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa per sorvegliare la sua educazione o della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità competente;

e. se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;

f. se si tratta dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione.

2. Ogni persona arrestata deve essere informata, al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa elevata a suo carico.

3. Ogni persona arrestata o detenuta, conformemente alle condizioni previste dal paragrafo 1 (c) del presente articolo, deve essere tradotta al più presto dinanzi ad un giudice o ad un altro magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere subordinata ad una garanzia che assicuri la comparizione della persona all’udienza.

4. Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.

5. Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione ad une delle disposizioni di questo articolo ha diritto ad una riparazione.

Articolo 6- Diritto ad un processo equo. 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità puó pregiudicare gli interessi della giustizia.

2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3. In particolare, ogni accusato ha diritto a :

a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;

b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c. difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

d. esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

e. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all’udienza.

Articolo 8- Diritto al rispetto della vita privata e familiare. 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.”

Va ricordato che le norme della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, hanno valore precettivo, secondo l’interpretazione che e ha dato la Suprema corte (cfr Cass. Sez. Unite 8 maggio 1989 n. 15) nel senso che esse sono di “immediata applicazione nel nostro paese e vanno concretamente valutate nella loro incidenza sul più ampio complesso normativo che si è venuto a determinare in conseguenza del loro inserimento nell’ordinamento italiano”

Già in precedenza, del resto, la Corte di giustizia delle comunità europee aveva riconosciuto alle disposizioni della CEDU la natura di principi generali dell’ordinamento comunitario, chiarendo che di tali principi avrebbero dovuto tenere conto anche i giudici nazionali, indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni per adire la Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 14 maggio 1974, Noldo; sent. 13 dicembre 1979, Hauer). Alla comunitarizzazione della normativa CEDU non può quindi che conseguire, in virtù del disposto dell’art. 10 Cost., una prevalenza delle disposizioni della Convenzione stessa sulle disposizioni della legislazione nazionale, anche posteriore. Le disposizioni della CEDU devono, inoltre, in ogni caso essere assunte quale criterio interpretativo ogniqualvolta l’applicazione di una disposizione della legge nazionale possa interferire nell’esercizio di un diritto sancito nella Convenzione stessa.

Qualsivoglia limitazione della libertà personale deve dunque, secondo il nostro ordinamento, essere sempre supportata da una convalida dell’autorità giudiziaria.

Si è già ricordato come il provvedimento con cui il questore dispone il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza temporanea e assistenza debba essere comunicato all’interessato unitamente al provvedimento di espulsione o di respingimento. La comunicazione, effettuata mediante consegna a mani proprie o notificazione dei provvedimenti, deve avvenire con modalità tali da assicurare la riservatezza del contenuto degli atti (art. 3, comma 3 Regolamento di attuazione). Se lo straniero non comprende la lingua italiana, detti provvedimenti devono essere tradotti in una lingua a lui comprensibile e ove ciò non sia possibile, in una lingua scelta tra l’inglese, il francese o lo spagnolo a seconda della preferenza indicata dall’interessato. La traduzione può non essere letterale e contenere solo una sintesi del contenuto degli atti. Poiché raramente sono fornite traduzioni dei provvedimenti in lingua araba, albanese o rumena, le comunicazioni degli atti agli stranieri avvengono per lo più nelle tre lingue europee che la legge indica in via subordinata.

Con la medesima comunicazione lo straniero è informato del diritto di essere assistito nel procedimento di convalida del decreto di trattenimento da un difensore di fiducia, con ammissione, ricorrendone le condizioni, al gratuito patrocinio a spese dello Stato. Allo straniero è dato altresì avviso che in mancanza di un difensore di fiducia, sarà assistito da un difensore d’ufficio, e che le comunicazioni dei successivi provvedimenti giurisdizionali saranno effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato o a quello incaricato d’ufficio (art. 20 comma 2 Regolamento di attuazione). Se nel verbale di notifica del decreto di trattenimento non risulta la facoltà di nominare un difensore di fiducia che assista lo straniero nel procedimento di convalida, o tale avviso non è stato tradotto in una lingua conosciuta all’espulso o in una delle tre lingue europee che la legge indica in via subordinata, il giudice, nel procedimento in camera di consiglio, non può convalidare la misura del trattenimento emessa dal questore.

La Corte costituzionale, con ordinanza del 22 novembre 2001 n. 385, dichiarava:

la manifesta inammissibilità della censura rivolta nei confronti dell’art. 20 del Regolamento “trattandosi di disposizione contenuta in un atto privo del requisito della forza di legge”;

la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 comma 3 del T.U. sollevata in riferimento all’art. 24 della Costituzione.

Secondo la Corte nel procedimento di convalida del trattenimento l’effettività del diritto di difesa non è compromessa, “potendo comunque lo straniero, fin dall’inizio del trattenimento nel centro, ricevere visitatori provenienti dall’esterno e in particolare il difensore che abbia eventualmente scelto ed essendogli altresì garantita libertà di corrispondenza, anche telefonica (art. 21, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 394 del 1999)”.

La limitazione della libertà di ricevere visite dall’esterno, come la privazione della libertà di comunicare telefonicamente con l’esterno, effetto delle più recenti circolari adottate dal Ministero dell’interno, incidono dunque sul corretto esercizio dei diritti di difesa comunque riconosciuti anche agli immigrati irregolari trattenuti nei centri di detenzione amministrativa, al di là della loro mutevole denominazione. Una prassi applicativa che, se giungesse all’esame della Corte Costituzionale, dovrebbe fare propendere i giudici per una sentenza di incostituzionalità e non per una sentenza di interpretazione conforme

In nessun caso, però, i trattenimenti delle centinaia di migranti minori ristretti nei Cpsa a Lampedusa sono stati supportati da provvedimenti di trattenimento amministrativo adottati dal Questore di Agrigento (né di nessun’altra questura), né risultano casi di convalide di detti trattenimenti.

Inoltre i diversi minori sono stati trattenuti in promiscuità con adulti almeno fino al 24 aprile scorso data nella quale venivano trasferiti fuori dall’isola gli ultimi adulti presenti nel Cpsa di Contrada Imbriacola

Ne consegue, pertanto, che il solo fatto di registrare la presenza migranti, a maggior ragione di minori ‘accolti’ sia al Cpsa di Pozzallo sia al CSPA di Contrada Imbriacola oltre le 48 ore di cui sopra (tempo minimo necessario alle attività di primo soccorso) è, di per sé, una violazione della tutela prevista dal nostro ordinamento.

Ciò posto, gli esponenti hanno registrato una permanenza dei minori sull’isola di Lampedusa superiore alle due settimane.

I minori migranti non accompagnati approdati in Italia dovrebbero essere immediatamente segnalati alle autorità competenti e sottoposti a tutela e trasferiti in comunità protette in cui si renda possibile un percorso di integrazione sociale e l’accesso a tutta una serie di servizi di base: cure mediche, assistenza psicologica, assistenza legale, educazione informale e formale.

Nella Nota del Commissario Gabrielli del 7 maggio 2011, “si evidenzia che i minori stranieri non accompagnati – minori che si trovano in Italia privi dei genitori o di altri a dulti legalmente responsabili della loro assistenza o rappresentanza – anche se entrati clandestinamente in Italia, sono titolari di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ove è peraltro previsto che in tutte le decisioni riguardanti i minori deve essere tenuto prioritariamente conto del “superiore interesse del minore… ai sensi della normativa vigente le forze di Polizia che registrano la presenza sul territorio nazionale di un minore straniero non accompagnato, sono tenute, previa identificazione e foto segnalamento, se il minore dichiara una età superiore ai 14 anni, a:

darne comunicazione alla competente autorità giudiziaria;

al collocamento in luogo sicuro del minore che si trovi in stato di abbandono;

ad informare il Comitato per i minori stranieri di cui all’art. 33 del d.lgs. 286 del 1998.”

Questa procedura non è stata assolutamente rispettata nel caso di specie non essendo i minori per tutto il tempo del loro trattenimento a Lampedusa mai stati sottoposti a tutela né presi in carico da nessuna delle autorità sopra menzionate.

Nel caso di specie infatti numerosi cittadini stranieri E TRA QUESTI ANCHE MINORI NON ACCOMPAGNATI ospitati presso il CPSA di Contrada Imbriacola ed il Cpsa di Pozzallo si sono trovati in unacondizione di limitazione della libertà personale (essendogli inibita l’uscita dal centro ed essendo a tal fine sottoposti a sorveglianza), senza che nei loro confronti sia stato adottato e notificato alcuno dei provvedimenti limitativi della libertà personale previsti dal D.Lgs. 286/98, e senza che il provvedimento sia stato sottoposto nei tempi di cui all’art. 13 Costituzione al vaglio giurisdizionale; né potrebbero nel caso in esame trovare applicazione le richiamate disposizioni in materia di fermo per identificazione, essendo ampiamente decorsi i termini di trattenimento indicati dalle norme indicate. In particolare per i minori non accompagnati non si sono disposte le procedure necessarie ed obbligatorie per legge, per l’apertura della tutela, con i conseguenti tempestivi avvisi al giudice tutelare ed alla procura del tribunale dei minori.

Appare di tutta evidenza come non si possa lasciare un MNA senza provvedimenti formali che gli assegnino un tutore, per il rischio, (che a qualcuno appare forse come una opportunità per l’adozione di provvedimenti di allontanamento forzato) che lo stesso minore possa compiere nelle more il diciottesimo anno di età e per i tutti gli evidenti e ben più gravi rischi circa l’incolumità ed il possibile traffico di minori.

Se nel nostro ordinamento esistono norme precise che consentono di legalizzare la presenza dei MNA, come l’affidamento disposto dal giudice tutelare, non si può consentire che gli stesi minori vengano abbandonati a loro stessi in una situazione di limitazione totale della libertà personale, con il rischio da un lato che in assenza di un provvedimento formale di affidamento e del rilascio di un permesso di soggiorno appena conseguita la maggiore età possano essere espulsi, e dall’altro che in assenza di una tutela e di una presa in carico di qualsiasi istituzione questi minori di fatto abbandonati dallo Stato e dunque invisibili vengano “fatti sparire” assorbiti in circuiti di assoluta illegalità.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 222/2004 la quale, come è noto, ha dichiarato illegittimo costituzionalmente l’art. 13 comma 5 bis ed ha con ciò reso di fatto illegittimi gli accompagnamenti di stranieri senza previa convalida dell’accompagnamento in contraddittorio alla presenza dello straniero e del suo difensore, convalida che peraltro nel caso di specie non è avvenuta.

Giova da ultimo richiamare alcuni passaggi della risoluzione del Parlamento Euorpeo del 12 settembre 2013 totalmente disattesi nel caso di specie:

Raccomandazioni generali

1.rammenta che un minore non accompagnato è innanzitutto un bambino potenzialmente a rischio e che la protezione dei bambini, e non le politiche dell’immigrazione, deve essere il principio guida degli Stati membri e dell’Unione europea a tal riguardo, rispettando il principio di base dell’interesse superiore del bambino; ricorda che per bambino e di conseguenza per minore si intende qualsiasi persona, senza alcuna eccezione, che non abbia ancora completato il diciottesimo anno di vita; rileva che i minori non accompagnati, in particolare le giovani, sono due volte più suscettibili di essere confrontati con difficoltà e problemi rispetto agli altri minori; osserva che essi sono particolarmente vulnerabili, nella misura in cui essi hanno le stesse esigenze degli altri minori e rifugiati con cui condividono esperienze analoghe; sottolinea che le ragazze e le donne sono particolarmente vulnerabili alle violazioni dei loro diritti nel corso del processo migratorio e che le ragazze non accompagnate sono particolarmente a rischio in quanto sono spesso il principale oggetto dello sfruttamento sessuale, degli abusi e della violenza; rammenta che nell’UE i minori non accompagnati sono spesso trattati dalle autorità come delinquenti che hanno violato le leggi sull’immigrazione, anziché come individui con diritti in funzione dell’età e delle circostanze particolari;

2.rammenta inoltre che l’interesse superiore del minore, quale sancito nei testi e nella giurisprudenza, deve essere considerato preminente, in qualsiasi azione intrapresa nei suoi confronti, sia da autorità pubbliche, sia da istituzioni private; invita la Commissione a favorire la corretta applicazione delle disposizioni legislative dell’UE sull’interesse superiore del bambino e a proporre orientamenti strategici, basati sulle prassi migliori, la giurisprudenza e il commento generale n. 6 (2005) del Comitato dell’ONU sui diritti del fanciullo, sul trattamento dei bambini non accompagnati o separati dalle loro famiglie, fuori dal loro paese di origine, e di valutare, sulla base di una serie di indici e criteri, quale sia l’interesse superiore del bambino; invita la Commissione ad attuare le misure legislative e non legislative volte ad assicurare un’adeguata protezione dei bambini e dei minori non accompagnati, intese, in particolare, a migliorare i metodi per trovare soluzioni sostenibili;

3. condanna fermamente le carenze esistenti in materia di protezione dei minori non accompagnati nell’Unione europea e denuncia le condizioni di accoglienza, spesso deplorabili, dei minori nonché le numerose violazioni dei loro diritti fondamentali in taluni Stati membri;

18. esorta gli Stati membri, al fine di garantire coerenza e di uniformare le norme in materia di protezione dei minori non accompagnati all’interno dell’UE, ad assicurare ai minori non accompagnati, indipendentemente dal loro status e alle stesse condizioni dei bambini cittadini del paese ospitante:

– un accesso a un alloggio appropriato: l’alloggio deve sempre includere condizioni sanitarie adeguate; l’alloggio «in un centro» non deve mai essere in un centro chiuso e nei primi giorni deve essere in un centro specializzato nell’accoglienza dei minori non accompagnati; questa prima fase deve essere seguita da una sistemazione più stabile; i minori non accompagnati devono sempre essere separati dagli adulti; il centro deve essere adeguato alle esigenze dei minori e disporre di attrezzature adeguate; l’alloggio presso famiglie ospitanti e in «unità di vita» e l’alloggio comune con familiari minorenni o altre persone minorenni di riferimento devono essere sostenuti quando sono adeguati e voluti dal minore;
–materiale adeguato, supporto legale e psicologico, che devono essere forniti dal momento in cui i bambini sono riconosciuti come minori non accompagnati;
– il diritto all’istruzione, alla formazione professionale nonché a un sostegno socio educativo e l’immediato accesso ad essi; la frequenza scolastica nello Stato di accoglienza deve essere consentita tempestivamente; a titolo integrativo, subito dopo il loro ingresso nel territorio nazionale di uno Stato membro, i minori non accompagnati devono ottenere accesso gratuito a corsi di lingua, e segnatamente nella rispettiva lingua nazionale; gli Stati membri devono agevolare il riconoscimento degli studi precedentemente seguiti dai minori al fine di consentire loro di accedere a un’istruzione complementare in Europa;
– il diritto alla salute e l’accesso a cure mediche di base adeguate; gli Stati membri devono altresì garantire l’accesso gratuito a servizi sanitari di base adeguati e inoltre assicurare un’assistenza medica e psicologica adeguata ai minori che siano stati vittime di torture, abusi sessuali o altre forme di violenza; gli Stati membri devono inoltre fornire, se del caso, un’assistenza speciale (ad esempio, l’accesso ai servizi di riabilitazione) per i minori che abbiano subito qualsiasi forma di abuso, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante o che abbiano sofferto gli effetti di un conflitto armato;
– l’accesso all’informazione e all’utilizzo dei media (radio, TV, Internet) per soddisfare le proprie esigenze di comunicazione;
– il diritto al riposo e al tempo libero, nonché il diritto al gioco e alle attività ricreative;
– il diritto di ciascun minore non accompagnato alla valorizzazione e all’ulteriore sviluppo della propria identità e dei propri valori culturali, ivi compresa la propria lingua madre;
– il diritto di manifestare e di praticare la propria religione;”

L’accoglienza o meglio la detenzione che viene riservata ai minori non accompganati è così inumana che induce il Prefetto Morcone ad ammettere: “Nel 2014 abbiamo accolto oltre 14mila minori in un modo che mi fa vergognare di essere italiano…. Il problema -ha sottolineato il capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, Mario Morcone, in occasione dell’audizione davanti al Comitato Schengen, presieduto da Laura Ravetto (Fi), nell’ambito dell’indagine «conoscitiva sui flussi migratori in Europa attraverso l’Italia, nella prospettiva della riforma del sistema europeo comune d’asilo e della revisione dei modelli di accoglienza»- non è la fuga, il 90% ha tra i 15 ed i 18 anni, qualcuno forse ha anche la maggiore età. Il tema vero è la modalità di accoglienza, fatta in modo approssimativo, dando spazio a chi non lo faceva per passione. I minori sono stati disseminati soprattutto al Sud spesso in condizioni non adeguate”.

Giusto il 28 aprile 2015, sull’agenzia di Redattore Sociale, si legge: “E’ una situazione paradossale, gli adulti vengono trasferiti mentre i minori no. E restano in queste strutture del tutto inadeguate per settimane o mesi. A Lampedusa ce ne sono alcuni che sono lì dall’inizio dell’anno”. A denunciare la condizione critica di alcuni dei minori non accompagnati sbarcati sulle nostre coste è Michele Prosperi, portavoce di Save the Children, che in questi giorni è in Sicilia per monitorare la situazione degli arrivi. Con l’ultimo sbarco di ieri a Taranto, secondo i dati dell’organizzazione, sono in tutto 25.837 i migranti arrivati in Italia dall’inizio dell’anno, di questi 2.258 sono minori, 1530 quelli non accompagnati. “Le condizioni dell’accoglienza per i minori sono inadeguate – spiega Prosperi ­. In particolare per i non accompagnati c’è una grossa difficoltà ad individuare posti nelle comunità. E il paradosso è che vengono prima trasferiti gli adulti, e loro trovano accoglienza per ultimi”. Il problema secondo il portavoce di Save the Children è dovuto ai ritardi nell’attivazione delle nuove strutture identificate dal ministero, che per ora sono ancora parzialmente utilizzate. “L’altro problema – aggiunge – è che molte comunità per minori non mettono a disposizione i posti per paura di non avere poi la copertura finanziaria. Insomma, i posti in teoria ci sarebbero ma è difficile attivarli. I minori non accompagnanti hanno bisogno di un’accoglienza che rispetti alcuni standard precisi e per questo per loro si creano le maggiori difficoltà. Speriamo che vengano attivati in fretta i nuovi posti annunciati dal ministero dell’Interno. Per ora la situazione è molto critica”.

Alla luce di quanto sopra esposto
chiediamo se siano ravvisabili nei fatti sopra esposti violazioni di legge e fattispecie di reato

In particolare si domanda di:

1.Accertare se i cittadini stranieri (ovvero alcuni dei cittadini stranieri) ed in particolare i minori ospitati presso il CPSA di Contrada Imbriacola e presso il Cpsa di Pozzallo si siano trovati in una condizione di limitazione della libertà personale; operare tale accertamento anche con riferimento a persone che siano già state trasferite, al momento della verifica, in altre strutture di accoglienza.

2. Accertare se nei loro confronti siano stati adottati e notificati provvedimenti amministrativi -e quali -che giustifichino tale privazione d’urgenza della libertà personale da parte delle autorità di polizia;

3. Accertare se tale privazione della libertà personale sia stata convalidata dalla competente autorità giudiziaria nei termini imposti dalla vigente normativa;

4. Accertare se la presenza all’interno del Cpsa di Contrada Imbriacola a Lampedusa di minori stranieri non accompagnati, sia stata immediatamente segnalata, così come previsto dalla normativa italiana, alle autorità titolate a incaricarsi della sua protezione, sotto vari profili, ossia: al Giudice tutelare al Tribunale dei minori, al direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione minori stranieri, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed al Comune (nella persona del Sindaco) e quali provvedimenti queste autorità abbiano eventualmente assunto nei confronti dei minori non accompagnati;

5. Accertare se i minori non accompagnati trattenuti nei Centri di Lampedusa siano stati ospitati in condizioni igienico-sanitarie inadeguate ed in condizioni di promiscuità con adulti, o tra maschi adulti e femmine minori;

6. Verificare se sia consentito trattenere per identificazione cittadini stranieri anche minorenni oltre le ventiquattrore previste dall’art. 11 D.L. 59/1978;

7. Verificare se siano stati accompagnati fuori dall’Italia alcuni dei cittadini stranieri trattenuti nel Cpsa di Contrada Imbriacola e presso il Cpsa di Pozzallo ed in base a quale provvedimento.;

8. Verificare se sia consentito trattenere in una condizione di totale privazione della libertà personale, come quella verificabile sia nel CPSA di Imbriacola, che nella ex base Loran di Lampedusa, strutture dallo stato giuridico ancora incerto, anche sulla base delle discordanti previsioni contenute nei documenti ministeriali, i cittadini stranieri minori anche oltre il termine di 48 ore senza preventiva udienza di convalida;

9. Verificare se sia possibile trattenere gli stranieri ed in particolare i minorenni privati della libertà personale in un Cpsa o in un Cie in mancanza di un provvedimento amministrativo di espulsione e di trattenimento ed in mancanza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 13 Costituzione;

10. Verificare se cittadini stranieri possano essere trattenuti pur in assenza di un decreto di espulsione in violazione del disposto di cui all’art. 14 d.l. 286/98;

11. Verificare se sia consentito non permettere agli stranieri seppure minorenni, trattenuti presso Cpsa o presso Cie in assenza di convalida giudiziaria, di uscire dai centri;

12. Verificare se sia consentito omettere di dare qualunque informazione seppure formalmente richiesta dal difensore di fiducia riguardo le sorti anche giuridiche di cittadini stranieri anche minori trasferiti verso destinazioni sconosciute impedendo di fatto all’avvocato di fiducia di svolgere l’esercizio del diritto di difesa.